La nostra storia recensione film di Fernando Trueba con Javier Cámara, Nicolás Reyes Cano, Juan Pablo Urrego, Patricia Tamayo e Elizabeth Minotta
Fernando Trueba è uno dei registi spagnoli più prolifici e premiati di sempre. La vittoria agli Oscar nel 1995 con il film Belle Epoque nella categoria miglior film straniero gli ha permesso di far conoscere il suo lavoro in tutto il mondo e anche di iniziare a dirigere in America, senza però mai dimenticare la sua lingua e le sue origini. Dopo quarant’anni di carriera torna al cinema con il suo ultimo progetto, La nostra storia (El olvido que seremos in originale), selezionato al Festival di Cannes 2020, presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma e nelle sale italiane dal 17 giugno. Il film è basato sul romanzo dello scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince, che racconta meticolosamente tutta la storia di suo padre, Héctor Abad Gómez, uno dei più importanti attivisti per i diritti umani ed eccentrico professore di medicina.
È il 1983, Héctor Abad Faciolince studia Letteratura all’Università di Torino, parla ancora poco l’italiano e scrivere è il suo sogno nel cassetto. Una sera torna a casa e ha un messaggio urgente in segreteria che lo aspetta: il padre sta per andare in pensione dall’insegnamento e ci sarà una cerimonia in suo onore. Héctor prende il primo aereo e torna in Colombia, a Medellín, dove è cresciuto e anche il film torna indietro riavvolgendo il nastro fino al 1971, iniziando così a raccontare la storia della sua famiglia.
Héctor Abad Gómez, interpretato da un ottimo Javier Cámara (The Young Pope), e sua moglie Cecilia (Patricia Tamayo) hanno sei figli, cinque femmine e un maschio. Vivono in una grande casa a Medellín, lei è una stenografa, lui insegna medicina e ogni giorno si batte per migliorare la situazione medica nei luoghi più poveri del paese. Fonda e si occupa di molto progetti per garantire ai bambini di ogni villaggio acqua pulita per scongiurare malattie mortali e assistenza medica a sempre più persone. La sua vita è divisa tra la famiglia e il lavoro, una continua lotta interiore tra priorità di padre/marito e di quelle che si è autoimposto per cambiare in meglio un paese che sembra rimanere fermo. Il suo lavoro infatti inizia ad essere ostacolato dalla chiesa e dal governo perché è uno dei pochi senza bandiera ed interessi, una persona libera, troppo scomoda per delle autorità impegnate in una guerra civile.
La fortuna di Héctor è avere una famiglia disposta ad accettare tutte le conseguenze del caso, la scritta comunista sul muro di casa, la scritta fascista sulla porta dell’ufficio e un immediato trasferimento dall’altra parte del mondo perché troppo ingombrante e libero dalle catene di qualsiasi dogma. Coltellate morali che però non riescono a fermare la voglia del medico di cambiare le cose, di non restare a guardare un paese che lascia indietro i più deboli e per tutto un decennio lotterà senza mai fermarsi, anche quando nel 1983 riceve il pensionamento e avrà la forza di appendere la giacca da professore, ma non quella della sua missione verso il bene che finirà tragicamente nel 1987 perché chi pensa solo al bene non dura molto in un luogo che brucia nel male e nella corruzione.
La nostra storia è un film semplice, sincero e come unica pretesa quella di raccontare la storia di un uomo diviso tra la sua famiglia e il suo lavoro. Regia e sceneggiatura sono volutamente invisibili per lasciare spazio ai personaggi della storia e al contesto politico e culturale in cui si trovano. Il film riesce a restituire benissimo l’atmosfera della famiglia di Héctor e dei suoi rapporti interni, emerge l’amore di una moglie che si è fatta da parte per permettere al marito di seguire il suo obiettivo, emerge il fortissimo legame tra i sei figli e la loro evoluzione durante gli anni, ma ciò su cui si concentra maggiormente è il particolare rapporto padre-figlio (gli unici uomini della famiglia) e la figura privata e pubblica di Héctor Abad Gómez.
L’intento dell’opera di Fernando Trueba è proprio quello di mostrare la vita di un uomo come tanti, che non si è accontentato di un lavoro fisso e l’amore di una famiglia calorosa, ma che ha sacrificato i suoi affetti e la sua felicità per cambiare gli equilibri, per rompere uno status quo pieno di violenza, sofferenza e omertà assoluta da parte di chi dovrebbe essere in prima linea per il bene della Colombia.