Come gocce d’acqua recensione film di Stefano Chiantini con Sara Silvestro, Edoardo Pesce e Barbara Chichiarelli [Anteprima]
di Tancredi Toffoli
Il cinema italiano è ancora in grado di addentrarsi in profondità all’interno dei rapporti umani? Un fulcro narrativo da cui i nostri autori sono sempre più distanti, preferendo piuttosto un approccio stilistico poco attento ai risvolti strettamente emotivi ma più interessato ad un cinema inutilmente spettacolare.
Non è il caso di Come gocce d’acqua, l’ultima opera di Stefano Chiantini, che con il suo film riporta in auge un modo di fare cinema particolarmente legato ad un realismo sobrio e raffinato nell’esplorare il rapporto, attraversato da mille difficoltà, tra un padre ed una figlia.
Jenny (Sara Silvestro, nel suo primo ruolo) è una giovane promessa del nuoto che deve confrontarsi con il padre, Alvaro (Edoardo Pesce) per cui prova un lungo rancore dopo il divorzio con la madre (Barbara Chichiarelli).
Così, dopo una gara, il padre, ex camionista, la riaccompagna a casa in un viaggio sospeso tra silenzi e non detti. Alvaro, durante uno dei tentativi per riavvicinarsi alla figlia, le propone una gara di nuoto in mare, ovviamente squilibrata dato il talento di Jenny. Tuttavia, a causa dello sforzo fisico, Alvaro verrà colto da un aneurisma che lo costringerà ad una lunga riabilitazione. Una disgrazia che rinvigorisce il rapporto quasi compromesso con la figlia, che riserva al padre assistenza e amore, anche al costo di sacrificare il duro allenamento che richiede la sua carriera nel nuoto.
La regia e la sceneggiatura di Stefano Chiantini ricostruisce chirurgicamente, durante tutta la narrazione, il rapporto tra padre e figlia con un cinema di sottrazione, attento ai silenzi e agli sguardi dei protagonisti. La regia, sobria e misurata, riesce a catturare l’essenza della complessità di un legame caratterizzato da errori e rancori passati ma che cela al suo interno la vitalità che permette alla figlia e al padre di proseguire la loro vita.
Il rapporto frastagliato dei due protagonisti non sfugge mai alla macchina da presa che li pedina costantemente. Anche grazie ad un montaggio serrato, lo spettatore può entrare in simbiosi con i personaggi. L’occhio attento del regista cattura attentamente gli sguardi dei protagonisti senza emettere giudizi. Grazie a questa prospettiva sempre distante il film non inciampa mai in risvolti narrativi fastidiosamente retorici.
L’eleganza scenica deve però fare i conti con una sceneggiatura claudicante, soprattutto nella parte centrale, quando si addentra troppo nella riabilitazione del padre e nelle cure che gli riserva la figlia. Questi risvolti rendono inevitabilmente la narrazione eccessivamente prolissa. Anche il personaggio della madre rimane ai margini durante tutto lo svolgimento del film e rischia di appesantirlo inutilmente, soprattutto nelle ultime sequenze, quando avverrà una rivelazione che altera fin troppo la coerenza narrativa del film.
Come gocce d’acqua si regge anche in gran parte grazie alle interpretazioni dei due comprimari, Silvestro e Pesce, che regalano una prova attoriale perfettamente coerente con gli intenti del regista, riuscendo quindi a ricreare, passo dopo passo, quella simbiosi e armonia così profonda tra padre e figlia.