Karate Kid: Legends recensione film di Jonathan Entwistle con Jackie Chan, Ralph Macchio e Ben Wang [Anteprima]
Karate Kid: Legends concretizza definitivamente una nuova frontiera nello sfruttamento dei franchise: il crossover con sé stessi. Più precisamente, l’incontro tra declinazioni diverse dello stesso brand, avvenuto finora più che altro in ambito supereroistico. Infatti, finora gli autori avevano fatto interagire varie versioni degli stessi supereroi – come i giovani e i vecchi X-Men in Giorni di un futuro passato o i tre diversi Spider-Man in No Way Home – grazie a escamotage come i viaggi nel tempo o i multiversi.
In questo caso si bypassa direttamente qualsiasi escamotage, limitandosi a canonizzare con nonchalance quello che inizialmente doveva essere un semplice remake. Ecco quindi che a inizio film vediamo Jackie Chan riprendere il ruolo del maestro di kung fu Han, apparso per la prima volta nel film del 2010 The Karate Kid – La leggenda continua, che passa appunto dall’essere remake dell’originale Karate Kid a diventare parte della saga originale.
Stavolta a essere addestrato dovrà essere il giovane Li Fong (Ben Wang), pronipote dello stesso Han. Per dare al ragazzo una maggior abilità combattiva Han richiamerà Daniel LaRusso (Ralph Macchio), allievo del defunto maestro Miyaghi (Pat Morita) per integrare il suo karate al kung fu.
Nasce così la giunzione definitiva, in cui un tentativo fallito di rilancio viene integrato con la saga originale (ora al vertice della popolarità grazie alla serie Cobra Kai) per inseguire la redditizia pratica del crossover.
Il risultato finale risulta però azzoppato da due enormi problematiche. La prima è il discutibilissimo livello tecnico. Il montaggio in particolare è terribilmente deficitario, caratterizzato da tagli bruschi che fanno passare lo spettatore da una situazione all’altra senza un costrutto sensato. Ancora peggio con le scene d’azione, difficili da seguire a causa proprio dei tagli poco sensati.
Secondo problema è la gestione della storia. A fine visione la sensazione è che inizialmente il soggetto del film non avesse nulla a che fare con i ritorni di Han e LaRusso e che questi siano stati aggiunti in un secondo momento per rendere l’operazione il più marketizzabile possibile.
Per i primi 50 minuti (più della metà del film, che dure solo un’ora e mezza) quella che abbiamo davanti è infatti un’interessante variazione sul tema della saga, che permette di dare al film un’identità ben distinta dai suoi predecessori. Ma ecco che nell’ultima quarantina di minuti il film, dovendosi piegare alle attuali logiche di mercato, butta via questo spunto, diventando un classico film di Karate Kid.
Di fatto siamo di fronte a due film compressi in uno, con conseguenti problemi sia per la tecnica (si spiegano così i bruschi tagli del montaggio, che servono a strizzare la trama in un minutaggio troppo scarso per contenerla) sia per l’intreccio, che non può sviluppare nessuna delle sue potenzialità.
Mentre i titoli di coda scorrono rimane solo un senso di dispiacere per un’operazione che poteva dare molto di più, ma non le è stato concesso.