Paternal Leave recensione film di Alissa Jung con Luca Marinelli, Juli Grabenhenrich, Arturo Gabbriellini, Joy Falletti Cardillo e Gaia Rinaldi.
Quando una persona la si conosce poco, se non per video, foto o fievoli ricordi, qual è il modo giusto per presentarsi al primo “ufficiale” incontro? Cosa è bene dire e viceversa? Come si risponde ad una eventuale domanda scomoda?
A tutte queste domande il personaggio interpretato da Luca Marinelli in Paternal Leave (diretto e scritto dalla moglie e attrice tedesca Alissa Jung, in arrivo al cinema dal 15 maggio con Vision Distribution) cerca di trovare le risposte, non individuando mai quelle “corrette”.
Ha vissuto la propria vita fino al momento in cui rincontra Leo la figlia abbandonata (Judi Grabenhenrich), che però non ha mai dimenticato, senza mai porsi davvero il problema. Ha cercato di tenere in piedi un altro nucleo familiare, con una nuova compagna e una bambina più piccola. Ma come potrebbe davvero rispondere alle sue domande? Non ha vissuto alcun momento dell’infanzia della ragazza, che ora è un’adolescente.
In tutti questi anni, nonostante la lontananza, Paolo ha comunque provato di tanto in tanto a riallacciare i rapporti con la figlia e con la sua ex compagna. Simpatico, in questo senso, il siparietto tra Grabenhenrich e Marinelli, in cui la ragazza ripete al padre ritrovato il proprio nome e quello della madre, quasi come in una di quelle interviste surreali condotte da Nardwuar.
Tuttavia, il tempo era ormai passato, e lui si era costruito un’altra vita. A suo dire, quando la figlia era venuta al mondo — avuta con una diciannovenne tedesca — non si sentiva realmente pronto: sia per l’età precoce (appena vent’anni), sia per la sua difficoltà a gestire situazioni familiari complesse, senza gli strumenti adatti.
Leo, in ogni caso, sente il bisogno di conoscere suo padre: vuole sapere perché non ha mai cercato di rintracciarla e quali siano stati i motivi che hanno portato al suo abbandono.
Per questo decide di partire dalla Germania e raggiungerlo in Italia, partendo da un presupposto: scoprire chi sia davvero la figura paterna nella sua vita. Ma, soprattutto, mettersi in gioco, accettando la propria vulnerabilità — che in questo caso non è un segno di debolezza, bensì un’apertura autentica alla vita; comprendere cosa si vuole essere nel mondo, nonostante si trovi ancora in una fase di forti cambiamenti fisici ed emotivi.
La vita è imprevedibile e raramente appare nella forma che noi essere umani vorremmo, poiché risulta difficile pianificare ogni singolo dettaglio. Purtroppo, l’imprevisto può materializzarsi in qualsiasi momento e risulta quindi normale restare spaesati, come accade d’altronde al personaggio interpretato da Luca Marinelli (oramai e con assoluto merito tra gli attori più validi non solo della sua generazione, ma volendo esagerare pure di quelle precedenti, tacendo per modo dire sul fatto che ogni personaggio lo impersonifichi in maniera rigorosa).
Lo stato confusionale va accettato così com’è provando a convincervi con esso, la società odierna lo sta attraversando da tempo immemore, tuttavia bisogna porci comunque fiduciosi alla vita, poiché a volte sa sorprendere in modo positivo.
Ad ogni avversità comunque è bene reagire con concretezza e spirito creativo, cercando sempre di allontanare la negatività, magari attraverso la scoperta di una parte intima nascosta. Questo, in sostanza, è ciò che la regista Alissa Jung vuole raccontare per immagini, sempre raffinate e mai fuori posto. Può sembrare un difetto di maniacale di perfezionismo, ma qui hanno senso perché a servizio di una storia dai connotanti poetici tramite sequenze ricolme di veridicità, inserendo tocchi fiabeschi laddove la narrazione si fa mezzo per descrivere gli stati d’animo dei vari interpreti.
Paternal Leave è un film che fa del realismo la forza motrice, senza appesantire la storia con inutili sovrastrutture tese a mostrarci una realtà solo apparente, ma al tempo stesso consapevole di non voler essere portatore di messaggi obbligatoriamente benevoli. Attraverso lo sguardo della regista e le interpretazioni di tutti gli attori – gli elogi sono da fare anche a Juli Grabenhernich, capace di dare molteplici sfumature ad un personaggio solo all’apparenza semplice – il film non ha la necessità di dover a tutti i costi essere legato ad una fantomatica verità, perché d’altro canto nemmeno la vita fuori dallo schermo lo pretende.
A differenza di molte altre opere che trattano tematiche simili o adottano un approccio analogo, Paternal Leave sceglie la via più breve, ma non quella più facile. Infatti, nell’atto conclusivo si avverte una leggera pesantezza narrativa e un ripetersi delle situazioni. Fortunatamente è possibile perdonare queste leggere sbavature grazie alla potenza espressiva (non che quella visiva giochi in un campionato secondario) messa in scena precedentemente.
Alissa Jung tramite Paternal Leave prende spunto dalla tradizione cinematografica europea (anche nel resto del mondo vengono realizzate storie simili, chiariamoci, semplicemente nel continente europeo c’è una familiarità diversa, con diversi nomi all’appello che si potrebbero citare), portando lo spettatore a venire a patti con se stesso, cercando di non lasciarlo solo, ma soprattutto evitando di metterlo dinanzi a delle domande che per forza devono ottenere quel tipo di risposta.
Non trovare la corrispondenza corretta non è un limite, ma una presa di posizione per far capire una volta per tutte che siamo degli esseri umani, non sempre capaci di prendere le sagge decisioni in prima battuta.
Paternal Leave è una fra le rappresentazioni più concrete del rapporto padre-figlia dell’ultimo periodo che il cinema italiano abbia mai avuto il piacere di manifestare attraverso la macchina da presa.
Il trailer italiano del film: