La Trama Fenicia recensione film di Wes Anderson con Benicio Del Toro, Mia Threapleton, Michael Cera, Bill Murray e Scarlett Johansson
di Giorgio Maria Aloi
La Trama Fenicia racconta la storia di un’azienda di famiglia che si trova al centro di una trama intricata e carica di tensione. Al centro della vicenda ci sono Zsa-Zsa Korda (Benicio del Toro), uno degli uomini più ricchi e potenti d’Europa, e sua figlia (Mia Threapleton), sempre accompagnata dal suo tutore Bjorn Lund (Michael Cera).
Nonostante lavorino fianco a fianco nell’azienda di famiglia, il loro rapporto è segnato da conflitti e incomprensioni, creando una dinamica familiare tesa e fragile, che sembra essere sempre sull’orlo della rottura. I due condividono un passato irrisolto e una quotidianità fatta di silenzi pesanti e sguardi sfuggenti. Questa complicata relazione padre-figlia subisce un ulteriore scossone quando entrano in un turbinio di eventi legati a un’oscura vicenda di spionaggio internazionale, che coinvolge segreti industriali, intercettazioni e ricatti.
In un clima crescente di tradimenti e inganni, Zsa-Zsa e sua figlia si trovano costretti a fare scelte morali discutibili che minano ancora di più il loro rapporto, già compromesso da vecchie ferite mai del tutto rimarginate.
Un film di Wes Anderson è facilmente riconoscibile. Il suo stile è ormai consolidato e, a prescindere dalla storia raccontata e dalla qualità di essa, non si smentisce mai. Lo stile è caratterizzato da un mix di elementi visivi, narrativi e tematici che lo rendono unico nel mondo del cinema. Una fusione di elementi visivi, narrativi e tematici che lo rendono un regista riconoscibile e ammirato. La sua capacità di creare mondi artificiali e ordinati, storie ironiche e personaggi eccentrici, e temi complessi con una sensibilità unica, lo ha reso uno dei registi più influenti del cinema contemporaneo.
Anderson è noto per il suo approccio meticoloso alla fotografia, utilizzando colori vividi e pastello uniti da combinazioni spesso insolite. Le simmetrie sono un elemento chiave del suo stile che creano immagini ordinate e equilibrate. L’attenzione maniacale ai dettagli, dalle scenografie curate agli oggetti di scena, contribuisce a creare un’atmosfera unica e riconoscibile. Si può affermare che l’architettura sia la vera protagonista dei suoi film.
Altra caratteristica del suo stile è la narrazione, che spesso unisce diversi generi ed è caratterizzata da un’ironia sottile, talvolta accompagnata da elementi surreali. I personaggi sono eccentrici e fuori dal comune, con difetti e debolezze che li rendono più umani e riconoscibili. Le storie esplorano temi come la famiglia, la perdita e la ricerca di un significato, ma lo fanno con un’ironia e un umorismo che le rende coinvolgenti e divertenti.
Le storie affrontano temi complessi come il dolore, la solitudine, la perdita e la famiglia disfunzionale. Tuttavia, lo fa con una sensibilità e un’attenzione ai dettagli che rendono questi temi più umani e accessibili. L’ironia sottile e l’umorismo vengono utilizzati per affrontare questi temi, rendendo il suo cinema un mix di comicità e riflessione.
Tutto sommato, Anderson ha sempre avuto un enorme potenziale, ma ultimamente non si capisce se l’abbia lasciato andare o se sia semplicemente diventato troppo pigro. Sembra dare più importanza all’estetica e alla presenza di un buon cast, ma chi conosce il detto ‘bello ma non balla’ sa bene che il pubblico più esigente e attento non si accontenta di un film visivamente spettacolare ma privo di sostanza
La Trama Fenicia può vantare di un’estetica incredibile e della presenza di un fantastico cast, ma oltre questo cosa rimane? Nulla, perché lascia molte perplessità.
I temi affrontati includono la relazione padre-figlia, la fiducia, le scelte morali, l’eredità, il capitalismo americano degli anni ’30 (raffigurato con sequenze oniriche, quasi fiabesche, ma con chiari rimandi alla politica attuale), la materialità, la spiritualità e molto altro. Tuttavia, a parte il rapporto padre-figlia — incarnato dai due protagonisti principali — tutto il resto resta in superficie. Si torna così al difetto maggiore degli ultimi film di Anderson: un’estetica curata che però non va di pari passo con la profondità narrativa. La sua ultima opera, frutto di una creatività che sembra essersi fatta “pigra”, ne è la conferma.
Il titolo allude anche al ciclo di vita, alla morte e alla resurrezione, come nel mito della fenice. I significati ci sono ma si ha la netta sensazione di non aver visto trattato questi temi come si avrebbe dovuto e che si poteva gestire meglio tutto questo.
Che si dia una svegliata Anderson e che torni alle origini, prima che sia troppo tardi.