Campioni recensione film di Bobby Farrelly con Woody Harrelson, Kaitlin Olson, Ernie Hudson, Cheeck Marin e Matt Cook
Secondo l’immaginario collettivo sportivo, chi solleva la coppa al cielo è considerato un campione. Tra coriandoli colorati nell’aria, fuochi d’artificio e standing ovation del pubblico che commosso applaude. Così nel calcio, nella pallavolo, nel baseball, alle Olimpiadi. Ma è davvero un premio a rendere qualcuno un campione o è lo spirito di squadra una vittoria già di per sé?
Al cinema combattere con un paio di guantoni o buttarsi a capofitto in uno sport rappresenta la valvola di sfogo per fuggire a un disagio esistenziale. Mettendo una pietra sopra l’abisso della degradazione (vedi The Fighter, David O. Russell 2010, e Million Dollar Baby, Clint Eastwood 2005). Bobby Farrelly, prendendo le distanze dai film offensivi fatti insieme al fratello Peter, dirige una commedia ironica con toni umoristici, modellati su una storia che arriva dritta al cuore. È il basket a farne da padrona. Uno tra gli sport che esemplifica il gioco di squadra tra tutti i cinque giocatori in una partita. E parliamo di tutti i giocatori, anche quelli con disabilità intellettive.
E chi meglio di Marcus Marakovich (Woody Harrelson) può saperlo, un ex allenatore di pallacanestro che alzava volentieri il gomito dopo averla combinata grossa. Costretto dal giudice ad allenare una squadra di atleti disabili alle prime armi. La sua vita cambia, le abitudini diventano una scoperta giorno dopo giorno.
Marcus studiava le strategie d’attacco e di difesa, osservava il gioco dietro la linea di campo e schematizzava la mossa vincente. Ma è solo il trofeo che conta? È un oggetto d’oro sepolto dalla polvere del tempo che celebra un player? Certo fa gola, è la consacrazione di tanta fatica e sacrificio ben ripagati. Ma non è così per una squadra di giovani ragazzi che deve affrontare sfide più difficili di un incontro giocato fuori sede. Marcus è sconfitto, intima di andarsene. Poi ci ripensa e adocchia i potenziali punti forti, conosce i suoi nuovi compagni d’avventura e si innamora. Quel luogo, quella palestra, la bella Alex (Kaitlin Olson), quel gruppo che vive di piccole gioie divengono parte integrante della sua esistenza.
Ecco che lo sport diventa una terapia. Non per arrivare primi in classifica. Ma per ritrovarsi, come team, come persone che camminano a testa alta lungo il sentiero della vita nonostante gli ostacoli.
Campioni, remake dell’omonimo film spagnolo (Campeones, Javier Fesser 2018), insegna che dal basso si può arrivare in alto, non importa la strada che c’è da fare. È il percorso che porta al gran finale, con nuove conoscenze che apprezzano i valori morali con i suoi deficit in una vera e propria lezione di vita. Qualche anno fa Gavin O’Connor aveva diretto una pellicola simile, Tornare a vincere (2020) con Ben Affleck nel ruolo dell’allenatore alcolizzato Jack Cunningham. Ma Campioni rende protagonista la sindrome di down che si (auto)ironizza in una visione divertente e godibile, anche se risolve tutto in maniera semplicistica. Magari fosse davvero così.