Back to Black recensione film di Sam Taylor-Johnson con Marisa Abela, Jack O’Connell, Eddie Marsan, Juliet Cowan e Lesley Manville [Anteprima]
Il biopic musicale è sicuramente uno dei generi cinematografici più “alla moda” degli ultimi anni.
Nei primi anni Duemila ci sono stati i primi accenni con Walk the Line (2006) e Last Days (2005). Ma dall’uscita di Bohemian Rhapsody, nel 2018 (e del conseguente successo agli Oscar), c’è stato vero e proprio boom da quelli più riusciti come Rocketman (2019) ed Elvis (2022) a quelli meno riusciti come Whitney – Una voce diventata leggenda (2022) e Respect (2021).
Ora è il turno di una delle artiste più iconiche della musica moderna, sia per il suo talento che per la sua vita, ricca di alti e bassi e con un tragico finale.
Stiamo parlando di Amy Winehouse, una cantante che ha segnato gli anni Duemila grazie alla sua voce unica e vibrante ma anche a causa dei numerosi scandali di cui è stata protagonista fino alla sua prematura morte all’età di 27 anni.
C’era, quindi, molta apprensione per questo biopic, diretto da Sam Taylor-Johnson e interpretato da Marisa Abela.
Back to Black è sì un biopic su Amy Winehouse ma si concentra sulla sua nascita come artista e sulla registrazione dell’album omonimo che l’ha consacrata nella storia della musica.
Ci troviamo intorno al 2002, quando un amico e cantante soul di Amy Winehouse invia una sua demo ad un talent scout, che la porterà a firmare il suo primo contratto con l’etichetta discografica Island/Universal.
Amy è una ventenne alle prime armi nella scena musicale, si esibisce in locali e compone le sue canzoni direttamente nella sua cameretta. Emergono chiari segni di irrequietezza nella sua vita amorosa e personale, evidenziati anche dal suo eccessivo consumo di alcol e sigarette.
Tra le ragioni di questa turbolenza, spicca sicuramente sicuramente il divorzio dei suoi genitori, sopportato malamente dalla giovane. Tuttavia può sempre fare affidamento sul rapporto con la nonna Cynthia (Lesley Manville).
Il suo primo album ottiene un tiepido successo, insufficiente per poter sbarcare negli Stati Uniti. Di conseguenza le viene richiesto di incidere un altro album ma, per farlo, Amy ha bisogno di “vivere e provare emozioni”, per questo molla la casa discografica e si rifugia in un pub.
Ed è qui che incontra Blake Fielder-Civil, l’uomo con cui avrà una relazione caratterizzata da alti e bassi per tutta la vita. Tra eccessi di alcol, droghe e scatti d’ira, la loro storia porterà entrambi all’autodistruzione. Una relazione nata in maniera difficile che porterà alla luce il lato peggiore di entrambi, ma che nonstante le liti (anche furiose) continuerà a sopravvivere negli anni.
In questo periodo tormentato, Amy perde anche l’ultimo baluardo di salvezza con la morte della nonna Cynthia a causa del cancro. Dopo questo lutto e il continuo tira e molla con Blake, scrive l’album Back to Black che la consacra nell’Olimpo della musica, ma che in realtà è frutto del suo dolore e della sua autodistruzione.
Seguono episodi di violenza, intervallati da piccoli periodi di pace, il tutto filmato e documentato dai giornalisti che non la lasciano in pace, soprattutto nei momenti peggiori.
Back to Black è un biopic che si concentra su una piccola parte della breve vita della cantante, mostrando il suo talento e le sue vittorie, ma anche i suoi momenti più autodistruttivi.
Sam Taylor-Johnson decide di concentrare il suo racconto sulla relazione tossica con Blake Fielder Civil (interpretato da Jack O’Connell). Un approccio diverso che limita fortemente il film e banalizza la figura di Amy Winehouse.
La sua storia, la sua musica e la sua voce vengono quasi messe da parte rispetto alla sua relazione con Blake. In realtà rimane tutto in secondo piano: i concerti nei quali l’artista non riusciva ad esibirsi perché troppo ubriaca, la sua storia famigliare drammatica, il continuo tormento dei giornalisti che non la lasciavano mai in pace spiattellandola in prima pagina.
Tutto ridotto ad una storia d’amore, che di amore non ha nulla.
Parliamo, quindi, di un biopic che sembra essere su un pianeta totalmente diverso rispetto ad Amy, il documentario del 2015 vincitore anche di un Oscar.
La performance di Marisa Abela, però, è da plauso. Non era semplice interpretare un’artista complicata e Abela riesce a catturare le sue sfumature e le sue gestualità, frutto di uno studio attento e accurato (forse anche fin troppo simile).
È stata utilizzata la voce dell’attrice per le canzoni del film: una scelta, forse, che poteva essere fatta diversamente data la particolarità della voce di Amy Winehouse, che non lascia scampo a nessun paragone.
Nonostante la bravura di Abela e O’Connell, Back to Black rimane un prodotto fin troppo patinato e banalizzato mettendo in secondo piano quello che dovrebbe essere al centro di un film musicale, ovvero la musica.
La realizzazione del lungometraggio è stata fatta col contributo della stessa famiglia di Amy Winehouse e questo probabilmente penalizza la veridicità dei fatti, non attribuendo nessuna colpa a chi le era vicino e che non l’ha mai aiutata fino in fondo (soprattutto il padre, interpretato da Eddie Marsan). La sua sofferenza viene circoscritta senza esplorare altri piani emotivi: come il desiderio di essere madre e non riuscirci, di essere amata e ricordata per la sua voce o il dolore per non riuscire ad essere migliore.
Il risultato finale è l’ennesimo biopic musical edulcorato, superficiale e limitato che non rende giustizia ad un’artista della sua caratura.
Un film che si allinea a Bohemian Rhapsody: entrambi hanno raccontato la vita complicata di una star fermandosi alla superficie senza mai trattare in fondo la loro sofferenza, rimanendo un prodotto estremamente commerciale e poco veritiero.