Anselm

Anselm recensione documentario di Wim Wenders dedicato ad Anselm Kiefer [Anteprima]

Il documentario di Wim Wenders dedicato ad Anselm Kiefer e presentato al Festival di Cannes 2023.

Anselm recensione documentario di Wim Wenders dedicato ad Anselm Kiefer [Anteprima]

 

Per Wim Wenders il 2023 è stato un anno prolifico, avendo presentato al Festival di Cannes sia Perfect Days (candidato agli ultimi premi oscar come miglior film internazionale) sia Anselm, documentario incentrato sul pittore e scultore tedesco Anselm Kiefer.

Siamo abituati a pensare, quantomeno in ambiti più mainstream, ai documentari incentrati su grandi figure artistiche come prodotti meramente espositivi (con varie interviste a persone che commentano il lavoro dell’artista in questione) e quasi sempre composti da toni esageratamente adulatori, con gli intervistati unicamente interessati a tessere lodi sperticate, al limite del lecchinaggio. Un esempio recente lo abbiamo avuto nell’ultimo Festival di Venezia con Dario Argento panico.

Wim Wenders adotta un approccio completamente diverso: elimina quasi completamente le interviste (limitate a pochi sprazzi composti da materiali d’archivio) ed evita l’adulazione eccessiva. Non che la stima verso l’artista non traspaia. Ma Wenders sceglie di esprimerla tramite quello che è (o almeno dovrebbe essere) lo strumento primario della settima arte: l’immagine.

La macchina da presa ci guida tra le opere dell’artista in una sorta di gita simile a quelle delle simulazioni in 3-D tipiche dei parchi divertimenti. Non a caso il film è realizzato proprio con la tecnica sopra citata, già usata dal regista nel 2011 per un altro documentario, ovvero Pina. Grazie a essa aumenta l’effetto immersivo nel lavoro di Kiefer, permettendo in particolare di dare maggior risalto alle forme delle sculture.

Oltre che nello spazio, il regista si muove liberamente attraverso il tempo, rinunciando a una linearità di esposizione e preferendo saltare tra varie fasi della vita di Anselm Kiefer, sia artistica che personale. Oltre all’artista nel presente troviamo anche alcune riproduzioni della sua giovinezza (a interpretare la sua versione infantile è tra l’altro Anton Wenders, pronipote del regista). Non è un caso che il titolo originale del film sia Anselm – Das Rauschen der Zeit, traducibile in italiano come Anselm – La corsa del tempo.

Infine, Wenders riflette sulla spiritualità dell’arte, tramite inquadrature oniriche e contemplative che attraversano ciclicamente il film per tutti i 90 minuti di durata.

Il regista propone così un approccio poco convenzionale al documentario, dimostrando come una costruzione efficiente della messinscena e un gran controllo della macchina da presa possono riuscire, in appena un’ora e mezza, a raccontare un percorso artistico in maniera molto più potente di quanto facciano ore e ore di interviste o dialoghi.

Sintesi

Anselm rinuncia a descrizioni didascaliche e vuote idolatrie in favore di un percorso artistico più improntato all'uso espressivo dell'immagine per poter esplorare al meglio il lavoro dell'artista al centro del documentario

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