Manhunt: Unabomber

Manhunt Unabomber recensione serie TV Netflix con Sam Worthington e Paul Bettany [Netflix]

La recensione della Serie TV Manhunt: Unabomber distribuita negli USA da Discovery Channel e in Italia da Netflix.

Manhunt: Unabomber recensione serie TV Netflix con Sam Worthington, Paul Bettany, Chris Noth, Keisha Castle-Hughes, Jane Lynch, Mark Duplass, Michael Nouri e Brian d’Arcy James

Manhunt: Unabomber, o l’uomo in bilico tra anarchia e società civile

Un pezzo di carta può attraversare il Continente come gli appunti che ci passavamo in classe
[…] E tutto questo funziona solo perché ogni persona coinvolta nella catena si comporta come se fosse un robot senza cervello: io scrivo un indirizzo e lei obbedisce.
[…] Perfino voi, con tutte le vostre proteste sul libero arbitrio, se arriva una scatola a vostro nome non riuscite neanche a immaginare di fare altro se non obbedire.
(Paul Bettany è Ted Kaczynski in Manhunt: Unabomber)

Anche le piattaforme streaming, spesso bistrattate dai “puristi” e dagli snob per professione, producono a volte delle piccole perle. Come ad esempio Netflix: soprattutto negli ultimi cinque, sei anni ci ha abituato a produzioni originali di grande qualità (citiamo solo per fare qualche esempio prodotti come Ozark, Mindhunter, Dark o anche The Witcher se parliamo di serie TV, oppure The Irishman se parliamo di film). Ma anche a distribuire in Italia serie di eccellente fattura, che sono state prodotte da altri network negli Stati Uniti (parliamo di cavalli di battaglia come Better Call Saul, prodotto da AMC).

Eppure alcune produzioni di qualità, paradossalmente, sono passate leggermente in sordina rispetto al valore dell’elaborato finale. E oggi, restando agganciati proprio al catalogo italiano di Netflix, vi scriviamo di un caso peculiare in materia: quello di una bella e coinvolgente miniserie di qualche anno fa, Manhunt: Unabomber, distribuita negli USA da Discovery Channel (quindi in questo caso non parliamo di un prodotto originale Netflix).
Questa miniserie a tema crime (mai un termine è stato così riduttivo) è stata prodotta nel 2017 da Andrew Sodroski, Jim Clemente e Tony Gittelson ed è passata nel silenzio, seppur di fronte alla vasta platea degli abbonati Netflix.

La serie, e qui non facciamo di certo un grande spoiler, è la narrazione della caccia al serial killer che, tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’90 terrorizzò gli Stati Uniti con i suoi pacchi bomba: il famigerato Unabomber.

Ma non è nella vicenda in sé che è racchiuso il suo segreto.

Paul Bettany è Ted Kaczynski in Manhunt: Unabomber
Paul Bettany è Ted Kaczynski in Manhunt: Unabomber (Credits: Netflix)

Uomo libero e uomo “civile”

Il tema della libertà è uno dei temi da sempre più inflazionati su grande e piccolo schermo.

Un assunto che spesso viene evocato è quello dell’uomo che, di fronte alla società contemporanea deve godere di pari diritti rispetto al suo concittadino. Il che è uno dei cardini del nostro “quieto vivere”, in fondo. Cosa accade, invece, quando questa libertà diventa una costrizione? E quando uguaglianza diventa sinonimo di “omologazione”? E forse da qui, da questo postulato, che si dipana l’intera narrazione delle vicende narrate.

Assistiamo infatti ad uno scontro titanico tra due concezioni filosofiche che da sempre monopolizzano il dibattito sui diritti civili di un essere umano:

  • Da un lato, abbiamo l’uomo di natura, tanto caro ai vari Rousseau, Jack London e altri fautori del ritorno alla natura e in simbiosi con essa dell’essere umano (una teoria che in buona parte dei casi è legata all’ideologia del primitivismo);
  • Dall’altro lato, invece, abbiamo la concezione dell’uomo civile e “politicamente libero” che nasce durante la modernità dei nostri tempi. La sua concezione viene spesso considerata nascere in concomitanza con l’Illuminismo, ma viene fortemente forgiata e modellata temporalmente più in là da filosofie come il liberalismo.
Manhunt: Unabomber recensione serie TV Netflix con Sam Worthington e Paul Bettany
Manhunt: Unabomber serie TV Netflix con Sam Worthington, Paul Bettany, Chris Noth e Keisha Castle-Hughes (Credits: Netflix)

La coesistenza impossibile (?)

E su questo nodo, tra il vivere secondo lo Stato di Natura e vivere secondo le leggi dello Stato, che si basa tutto: nel confronto tra Jim Fitzgerald/Sam Worthington da un lato (lo ricorderete come uno dei protagonisti di Avatar) e Ted Kaczynski/Paul Bettany (lui vi sarà familiare per essere Visione nel Marvel Cinematic Universe).

In questa caccia all’uomo, che non risulta mai un’indagine fine a se stessa, tocchiamo con mano tutte le sfaccettature della fragilità dell’essere umano. Un’umanità incatenata ai gangli della razionalità, ma che al tempo stesso vuole essere maledettamente libera da ogni vincolo. Ed è questo il fil rouge che lega indissolubilmente tutti i personaggi del grande teatro della vita: nessuno di noi è un blocco monolitico di sensazioni e sentimenti.

Al contrario, ognuno di noi lotta per affermare la propria personalità. Nel contempo, cerchiamo tutti di essere degli animali sociali, in un eterno desiderio di approvazione da parte di chi ci sta attorno.

Un dualismo che traspare sia dai comportamenti a volte contradditori dei “cacciatori di taglie”, sia dai lunghi (e incredibilmente) tristi monologhi di Unabomber.

Chris Noth
Chris Noth (Credits: Netflix)

Spazio – Tempo – Sguardo

Ma la serie presenta anche altri elementi interessanti, apparentemente secondari ma senza dubbio funzionali alla riuscita del risultato finale.

In primo luogo il montaggio, che spesso ci racconta in parallelo periodi temporali diversi. Ma che riesce, in tal modo, a darci un disegno più ampio del bandolo della matassa da sciogliere. Ci sentiamo, in questo modo, anche noi parte dell’indagine. E a volte addirittura abbiamo maggiore onniscienza degli stessi protagonisti, ingarbugliati loro malgrado nei meandri del loro presente.

Anche la fotografia di questa serie riesce non di rado a regalarci frame molto intensi.
Da un lato lo spazio angusto della narrazione, che a volte segue i binari dell’indagine quasi come un ritaglio di giornale, è accompagnato da inquadrature degne dei migliori film di inchiesta di genere. Dall’altro lato, come perfetto contrappunto, i momenti di maggiore intensità emotiva ci regalano uno sguardo ampio, introspettivo e visivamente dilatato sui nostri interpreti.

Paul Bettany
Paul Bettany è Ted Kaczynski in Manhunt: Unabomber (Credits: Netflix)

Conclusioni

Quelli che vi abbiamo elencati sono, pertanto, tutti ottimi motivi per intraprendere la visione di queste otto puntate: se volete assistere ad una miniserie di genere crime dal taglio vagamente documentaristico, a metà tra romanzo filosofico e biopic, siete di certo approdati sulla sponda giusta del fiume. Qualora invece siate in cerca di qualcosa di più “leggero”, o di comunque di una serie che strizzi maggiormente l’occhio all’action, forse è meglio spingersi altrove e continuare a navigare.

In ogni caso Manhunt: Unabomber rappresenta di certo un fiore all’occhiello tra le produzioni per il piccolo schermo degli ultimi anni, che oscillano tra opere di livello e roba che merita assolutamente il dimenticatoio.

Nota a margine

Ai lettori che avranno avuto modo di apprezzare questa serie consigliamo anche la visione di Manhunt: Deadly Games, che è a tutti gli effetti la seconda stagione di Manhunt: Unabomber, che dunque si è trasformata in una serie antologica vera e propria. Nello specifico, Manhunt: Deadly Games segue le vicende successive all’attentato terroristico ai Giochi Olimpici del 1996 di Atlanta, anche se a nostro parere ha una forza emotiva meno marcata rispetto alla stagione precedente.

L’unica brutta notizia, per gli abbonati Netflix, è che non troveranno sulla piattaforma questa seconda miniserie: in Italia, infatti, è targata StarzPlay. Uno degli incerti da mettere in conto, purtroppo, nella giungla dei servizi in streaming contemporanei.

Sintesi

Vivere secondo lo stato di natura o vivere secondo le leggi dello stato: con Manhunt: Unabomber, preziosa miniserie crime a metà tra romanzo filosofico e biopic, tocchiamo con mano tutte le sfaccettature della fragilità dell’essere umano, incatenato ai gangli della razionalità ma al tempo stesso desideroso di essere libero da ogni vincolo, in bilico tra l'affermazione della propria personalità ed il desiderio di approvazione sociale.

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