Realismo zombie: intervista ad Henry Hobson regista di Contagious – Epidemia mortale con Arnold Schwarzenegger [degenere]

Per la nostra nuova rubrica Degenere, abbiamo intervistato Henry Hobson, il regista dello zombie movie Contagious – Epidemia mortale (Maggie) con Arnold Schwarzenegger. L’intervista

Henry Hobson è un regista e graphic designer inglese. Laureatosi in disegno grafico al Royal College of Art, si è spostato negli USA per intraprendere la sua carriera nel mondo del cinema e della pubblicità. A partire dal 2006 ha realizzato un gran numero di spot pubblicitari per importanti marchi fra cui PlayStation, Apple, Xbox, Pepsi ed Adidas, vincendo anche numerosi premi di categoria. Ha inoltre ideato i titoli di testa di film come Sherlock Holmes di Guy Ritchie e Robin Hood di Ridley Scott e della serie tv The Walking Dead, nonché che i titoli e le animazioni accompagnavano le premiazioni degli Oscar nel 2013 e nel 2014. Nel 2015 è stato presentato al Tribeca Film Festival il suo primo lungometraggio di finzione, Contagious – Epidemia mortale (Maggie in lingua originale), un’originale zombie movie che vede un inedito Arnold Schwarzenegger nel ruolo drammatico di un padre che assiste impotente alla zombieficazione della figlia (Abigail Breslin, già protagonista di Little Miss Sunshine).

Henry Hobson: intervista al regista di Contagious – Epidemia mortale (Maggie)

Arnold Schwarzenegger e Abigail Breslin
Arnold Schwarzenegger e Abigail Breslin (Credits: Inferno Entertainment, Silver Reel, Lotus Entertainment, Gold Star Films, Silver Lining Media Group)

Qual è stata la tua formazione come grafico e regista? Come hai iniziato a lavorare nel mondo della pubblicità?

Henry Hobson: Io da sempre ho voluto essere un regista, ma un giorno andai a una conferenza di art designing e parlai con una persona dei miei sogni, ma questa persona mi chiese se conoscevo qualcuno nell’industria cinematografica; io dissi di no, al che lui ribatté che “allora non potrai andare da nessuna parte”. Io ero amareggiato ma subito dopo questa persona aggiunse: “sai però, hanno iniziato come graphic designer Alfred Hitchcock, Ridley Scott, Abbas Kiarostami, Michael Moore, studia come grafico per diventare regista”. Seguendo i suoi consigli sono entrato nel Royal College a studiare disegno grafico, e ho capito che veramente quella era una via segreta per entrare nel mondo del cinema. Mi ha fatto capire come funziona il linguaggio cinematografico e mi ha permesso di lavorare già in quella fase con gli attori: era davvero il modo giusto per iniziare a formarti come regista.

Contagious - Epidemia mortale (Maggie) con Arnold Schwarzenegger
Contagious – Epidemia mortale (Maggie) con Arnold Schwarzenegger

Quali film horror formano il tuo immaginario da spettatore? Parlando nello specifico del genere dell’epidemia zombie, quali film o serie TV degli ultimi anni crede abbiano rappresentato gli zombie in un modo innovativo?

Henry Hobson: Il sottogenere degli zombie per me è molto interessante. Non ho una particolare passione per l’horror in generale, ma il genere degli zombie solleva forti interrogativi sull’umanità in un modo unico: non a caso i primi film sugli zombie trattavano questioni razziali. Due film sugli zombie recenti che hanno portato nuovi approcci al genere sono stati L’alba dei morti viventi di Zack Snyder e James Gunn e Shaun of the Dead di Edgar Wright: in modo particolare L’alba dei morti viventi ha dato ai film degli zombie un nuovo livello di umanità. Non ho mai provato al cinema un senso di paura tanto reale e tanto viscerale come nella sequenza di apertura del film di Snyder. Inoltre io ho lavorato per The Walking Dead, di cui ho disegnato i titoli di testa poco prima di iniziare a lavorare a Contagious – Epidemia mortale, quindi ho letteralmente assistito alla nascita di quella serie ed è stato utile per il mio film.
Sicuramente negli anni passati ci sono state delle nuove idee piuttosto eccitanti, fra film e serie tv, a partire dal personaggio degli zombie.

Abigail Breslin e Arnold Schwarzenegger
Abigail Breslin e Arnold Schwarzenegger

La sceneggiatura di Contagious è stata scritta da John Scott 3 ed è stata inclusa nella prestigiosa Black List delle migliori sceneggiature non ancora trasformate in film. Quando ti è stata offerta la possibilità di dirigere il film? Hai portato nuove idee nella sceneggiatura?

Henry Hobson: Prima di ricevere Contagious – Epidemia mortale mi erano state offerte molte sceneggiature di film sugli zombie – zombie sott’acqua, zombie sugli alberi, zombie dappertutto – ma Contagious – Epidemia mortale di John Scott 3 si distingueva completamente da tutte le altre perché era nettamente la più reale: si sentiva davvero che il diventare zombie ha a che fare con una malattia, la sceneggiatura dava l’impressione di raccontare un’epidemia zombie come se avvenisse nel mondo reale e adesso a causa della pandemia di COVID è ancora più realistica. Ho subito sentito una connessione emotiva verso la protagonista Maggie, perché in fondo è come una ragazza che sta morendo di cancro. Leggendola mi sono subito innamorato di quella sceneggiatura, ho incontrato immediatamente John e il suo manager Trevor, e di lì il film è partito produttivamente in tempi relativamente rapidi: ho letto la sceneggiatura nel 2012 e nel 2014 già stavamo girando. Nel frattempo The Walking Dead era uscita e aveva raccolto grande entusiasmo: avvertivo che in quel momento c’era un grande interesse per le storie di zombie, ma al tempo stesso mi accorsi che dovevo stare attento a non rendere il mio film troppo simile a quella serie perché anche The Walking Dead ha un approccio molto “umano”. Insieme John ed io ci siamo impegnati al massimo per realizzare il film e andare anche oltre The Walking Dead.

Arnold Schwarzenegger e Abigail Breslin
Arnold Schwarzenegger e Abigail Breslin

I film sugli zombie, come tutti i sottogeneri dell’horror, hanno le loro convenzioni e le loro regole: gli zombie non corrono, se vieni morso ti zombifichi, devi rompergli il cranio per essere sicuro di aver ucciso lo zombie che ti insegue, e via dicendo… L’originalità di Contagious – Epidemia mortale stava innanzitutto nella sua prospettiva e nel suo sguardo drammatico e introspettivo che si limitava a rappresentare la vita di una singola famiglia già in lutto piuttosto che mostrare l’epidemia su larga scala. Ci sono state nondimeno delle regole del genere da cui ti sei deliberatamente allontanato mentre sviluppavi Contagious?

Henry Hobson: Mentre stavo preparando Contagious – Epidemia mortale sono stato invitato a parlare alla prima World Zombie Conference, in qualità di ideatore dei titoli di testa di The Walking Dead. In quell’occasione ho conosciuto George A. Romero e il cugino di Michael Jackson che era lì a parlare di Thriller, quindi c’erano degli autentici “dei” del mondo zombie, ma ciò che quella conferenza mi ha lasciato di più è stato capire come fosse il mondo dei fan degli zombie, quanto fossero importanti per loro, anche su un piano affettivo, certe regole del genere. Con Contagious violiamo solo una regola: di solito nei film di zombie non appena sei morso ti trasformi anche tu in un non-morto; Maggie invece ha una lunga agonia, nel nostro film la “zombieficazione” prende mesi. Da quella conferenza sono uscito convinto del fatto che, se avessimo cambiato altre regole, inserendo zombie che corrono o altre innovazioni di questo tipo, avremmo perso il punto del film: infrangere troppe regole insomma ci avrebbe estraniato troppi fan del genere.

Contagious ha ricevuto grande attenzione anche per via del suo prestigioso cast. Come e quando avete ottenuto il coinvolgimento di Arnold Schwarzenegger sia come protagonista che come coproduttore?

Henry Hobson: Arnold Schwarzenegger si è aggiunto al progetto poco prima che iniziassimo a girare. Lui ovviamente è una grandissima star e una personalità unica, ma ciò che mi eccitava di avere lui nel ruolo di Wade era il fatto che Arnold è un attore che si porta dietro tutto un suo linguaggio e un suo immaginario: sia come body builder che come attore che come politico, lui dava sempre l’idea di essere la persona più “forte” e potente della stanza. Se tu invece, come abbiamo fatto noi per Contagious, gli togli via tutto questo potere e rendi lui o almeno il suo personaggio profondamente vulnerabile crei un ribaltamento davvero interessante ed eccitante. Per me è stato un onore e un compito importante dirigere ed aiutare a fare una performance drammatica un attore come lui, noto per i suoi ruoli in film d’azione o in commedie: questo era un altro aspetto molto eccitante, e sia lui che io ci siamo ispirati al lavoro di Clint Eastwood quasi come un archetipo, perché anche lui ha iniziato con ruoli d’azione per poi spostarsi su un registro più drammatico diventando anche regista.

Arnold Schwarzenegger in Contagious - Epidemia mortale (Maggie)
Arnold Schwarzenegger in Contagious – Epidemia mortale (Maggie)

Avere Schwarzenegger nei panni del protagonista Wade era per certi versi molto in linea con i suoi precedenti ruoli, per altri una scelta originale e innovativa. Certamente è raro vedere una star nota per i suoi ruoli action come Schwarzenegger recitare un ruolo drammatico – e questa in Contagious potrebbe essere indicata come la sua performance migliore – ma in una tua precedente intervista ho letto come tu evidenziavi che Schwarzenegger fosse una sorta di “scorciatoia” per il personaggio di un padre protettivo, nel senso che non hai avuto il bisogno di girare scene che presentassero Wade come tale perché l’audience era già abituata a vedere così Schwarzenegger. Quali implicazioni tematiche e narrative pensi che il casting di Schwarzenegger abbia avuto per il tuo film?

Henry Hobson: Sì, Arnold è in un certo senso una “scorciatoia” per suggerire al pubblico forza, potere. È quel tipo di figura pubblica e, nel suo caso, anche di figura politica da cui ti aspetti di sentirti dire: “andrà tutto bene”, “non ti preoccupare per la pandemia”, “le cose si risolveranno”. Se invece dici al pubblico “Arnold Schwarzenegger piangerà e sarà indifeso” subito trasmetti un forte senso di paura: è come quando sei bambino, e non c’è niente di più terrificante che vedere i tuoi genitori che piangono perché capiamo che se loro sono sconsolati, è arrivato il momento di preoccuparsi davvero. Nel caso di una star come Arnold ognuno ha dei preconcetti, una sorta di sostrato di memoria cinematografica comune: noi ci siamo appoggiati su questo sostrato per costruire la tensione che attraversa il film. Contagious è un film drammatico che ha anche un suo ritmo lento, ma il passato cinematografico di Schwarzenegger aiuta a creare un legame più forte con il pubblico, e quando lui scoppia in lacrime si avverte davvero tanto l’emozione della scena.

Abigail Breslin
Abigail Breslin

In Contagious c’è quella che sicuramente è la prima scena di pianto in tutta la carriera di Arnold Schwarzenegger. Schwarzenegger quale metodo ha usato per piangere sul set e tu come lo hai aiutato a “tirare fuori” le sue emozioni?

Henry Hobson: Il set di un film è un luogo particolare, dove soprattutto un attore protagonista come lui è circondato da centinaia di persone, e ti sembra difficile che le emozioni vengano fuori lì per lì, quasi a comando. Inizialmente pensavo che ci saremmo appoggiati a qualche trucco, o direttamente con gli effetti speciali o comunque con l’aiuto del make-up, ma quando ci stavamo preparando a filmare quella scena parlandone con Arnold lui mi ha detto semplicemente: “non ti preoccupare”. Dato il ciak noi lentamente ci siamo avvicinati con la macchina da presa a lui e abbiamo visto che stava piangendo, tutta la troupe era immobile a guardare quella scena, perché tutti stavano pensando “Oh mio Dio! Arnold sta davvero piangendo”. Quella scena è stata completamente naturale, senza trucchi o lacrime finte: Arnold è un talento naturale, che si dedica completamente a ogni progetto che fa. Lì sul set vedevamo venir fuori le emozioni di Arnold, quelle vere. Lui ha figli, immagino che provasse soprattutto in quella scena un legame molto forte col suo personaggio. Io sicuramente sono molto fiero del risultato.

Le riprese del film si sono svolte in un tempo molto breve, appena 26 giorni, anche grazie a uno storyboard molto dettagliato che tu hai disegnato personalmente. Come pensi che le tue precedenti esperienze come graphic designer e come regista di spot pubblicitari abbia influenzato i tuoi metodi di lavoro sul set del tuo primo lungometraggio?

Henry Hobson: Senza le mie precedenti esperienze come regista di spot pubblicitari non avrei potuto dirigere il film. Ciò che il mondo della pubblicità ti insegna è raccontare la storia il più rapidamente possibile, partire praticamente già a metà del racconto, in un film tu hai un’ora e mezza ma anche al cinema il risultato è migliore se puoi raccontare qualcosa in una singola inquadratura. Per fare un esempio pratico, pensiamo a questa inquadratura: AbigailMaggie – guarda il sole che tramonta facendo una smorfia di dolore. Questa scena ci dice molte cose: innanzitutto, lei fra poco non vedrà più nessun tramonto, il tempo sta sfuggendo via, le è rimasto poco da vivere. È qui che il lavoro nel mondo della pubblicità ha influenzato il mio lavoro anche per un film destinato al cinema: mi ha fatto capire che devi arrivare dritto al messaggio, e che devi raccontare la storia dando molta enfasi all’effetto visivo.

Abigail Breslin
Abigail Breslin

Contagious – Epidemia mortale ha una bella fotografia a cura di Lukas Ettlin, cinematographer anche della serie Netflix Daredevil, fra le altre cose. Quale macchina da presa avete utilizzato per girare Contagious? Quali indicazioni hai dato ad Ettlin prima di iniziare a girare il film?

Henry Hobson: Contagious era un film con un budget molto basso, sotto ogni profilo. Siccome una parte dei fondi provenivano dall’Europa così come Arnold e l’attrice Joely Richardson che interpreta il ruolo della matrigna Caroline, anche molte delle figure tecniche erano europee, a cominciare dal montatore che era italiano. A causa del poco budget cercavo un direttore della fotografia che sposasse davvero il progetto, che diventasse quasi un mio “complice”: durante la preparazione del film ho incontrato Lukas, svizzero, ho parlato brevemente con lui e subito si è creata una forte intesa, già dalla prima telefonata. Una delle nostre principali reference era Senza santi in Paradiso(Ain’t Them Bodies Saints) di David Lowery, anche se quello è un film in costume che risponde a certi canoni della cosiddetta New American Aesthetic, sia Lukas che io riconoscevamo una certa analogia con il tipo di film che volevamo fare: il parallelo stava soprattutto in questo ritmo lento del racconto in cui la bellezza della natura assume un ruolo sinistro, perché ricorda che tutto sta per essere perduto; anche in Contagiousabbiamo cercato di mettere in scena una natura strana, grigia, che rappresenta un intero mondo che sta morendo, che si sta zombieficando. Da subito Lukas si è rivelato il miglior partner che potessi avere nel girare un film con così tante limitazioni: anche per motivi di buget alla fine ci siamo ritrovati a girare unicamente con lenti da 65mm, inizialmente era una scelta, poi ci siamo ritrovati costretti a restituire tutte le altre lenti per non sforare col budget; questa però è stata una limitazione fortunata, perché girare con un’unica lente ti dà una sensibilità unica, e Contagious – Epidemia mortale crea un legame tanto forte con i personaggi perché solo una lente da 65mm ti permette di stare tanto vicino agli attori. A livello di macchina da presa abbiamo girato con una Arry, utilizzando il ProRes e non i file in Raw: così non abbiamo potuto avere tutte le informazioni sul colore che volevo avere, ma per il risultato finale non è stato un problema.

Joely Richardson e Arnold Schwarzenegger
Joely Richardson e Arnold Schwarzenegger

Come credi che aver lavorato su Contagious abbia influenzato i tuoi metodi di lavoro per gli spot pubblicitari che hai girato dopo il film? Stai lavorando a un secondo lungometraggio?

Henry Hobson: Ciò che è eccitante degli spot pubblicitari è raccontare una storia in un tempo breve, nel giro di pochi secondi, e questo ha ripercussioni anche sulla produzione, perché puoi e devi girare in pochi giorni. Contagious mi ha insegnato ad essere veloce, a fidarmi delle mie idee, a non pensare troppo e una volta tornato a girare spot pubblicitari questo mi ha molto aiutato; inoltre mi sono familiarizzato molto di più con la macchina da presa. Girare un film sicuramente è un grande allenamento. Certo, anche le pubblicità sono molto eccitanti: un giorno giri uno spot ambientato negli anni della Seconda Guerra Mondiale, pochi giorni dopo ti ritrovi a girare in una astronave. Girare un lungometraggio però ti fa vivere in una storia più lunga per un tempo più lungo, e ti dà una serie di abilità, di skills, che magari ti porti dietro dal mondo della pubblicità ma che sul set di un film affini e che quando torni a girare spot ti agevolano il lavoro. Contagious – Epidemia mortale è stata un’impresa impegnativa e abbastanza folle, avevamo poco budget e molte limitazioni. Dopo aver fatto quel film ho girato una serie di nuovi spot cercando di costruire nuovi mondi, di iniziare a sperimentare lì delle nuove storie, su diversi argomenti, che potrei raccontare. Adesso ci sono all’orizzonte un paio di progetti di più ampia durata, ma per il momento non ne possono parlare, sto aspettando l’occasione e la storia giusta.

Stephen King, nell’introduzione del suo romanzo Cell, affermava che l’archetipo dello zombie affonda le sue radici nella Peste Nera del Trecento, ma che ha cambiato il suo significato metaforico di secolo in secolo e che adesso lo zombie può essere collegato sia all’ossessione social per l’apparenza del corpo sia alla spersonalizzazione collettiva provocata dal crescente utilizzo dei cellulari. Nel tuo film l’agonia di Maggie non sembra molto diversa da quella di una giovane malata di cancro, o di un sieropositivo. Di quali concetti e condizioni pensi che il personaggio dello zombie possa essere usato adesso come metafora? Come pensi che cambieranno i film sugli zombie, dopo la pandemia di Coronavirus?

Henry Hobson: Vero: gli zombie possono essere facilmente collegati al cancro, all’AIDS, e anche Contagious riecheggia consapevolmente queste malattie. Con Contagious raccontavamo i meccanismi sociali di una piccola cittadina e come gli abitanti cerchino di fronteggiare la malattia che tramuta le persone in zombie, ma il vero problema è ben al di sopra delle loro possibilità di risoluzione. Nessuno di noi però poteva prevedere il COVID e immaginare che sarebbe stato tanto simile a quello che raccontiamo nel film, con la polizia che porta via gli infetti per metterli in quarantena. Penso che a causa del Coronavirus i film sugli zombie si trovino, per così dire, in una posizione vulnerabile: penso che dopo che il COVID ci ha mostrato che queste cose possono accadere davvero, il pubblico non abbia il desiderio di vedere di nuovo la storia di un virus zombie che arriva nel mondo mietendo vittime. I film e le serie tv sugli zombie scompariranno per un po’, e serviranno delle nuove idee per riportare gli zombie nella cultura di massa.

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