Jacques Audiard intervista al regista di Parigi, 13Arr. – Les Olympiades in uscita nelle sale

Jacques Audiard: intervista al regista di Parigi, 13Arr.Les Olympiades in uscita nelle sale, Palma d’Oro a Cannes con Dheepan – Una nuova vita, Il profeta, Tutti i battiti del mio cuore e Un sapore di ruggine e ossa

In occasione dell’uscita in Italia di Parigi, 13Arr. – che abbiamo recensito in anteprima all’ultimo Festival di Cannes, titolo originale Les Olympiades – abbiamo avuto il piacere di incontrare il grandissimo Jacques Audiard, tra i registi francesi contemporanei più acclamati in assoluto, già vincitore della Palma d’Oro e del Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, ed ancora di due BAFTA, due Premi César e un Leone d’Argento a Venezia con pellicole come Dheepan – Una nuova vita, Il profeta, Tutti i battiti del mio cuore e Un sapore di ruggine e ossa.

Adattamento della graphic novel Morire in piedi di Adrian Tomine, Parigi, 13Arr. racconta, in un sontuoso bianco e nero, quattro destini che si incrociano tra interrogativi esistenziali, giovinezza, amore, amicizia e sessualità, impersonati dai giovani protagonisti Noémie Merlant, già nota al grande pubblico con Ritratto della giovane in fiamme e Jumbo, Lucie Zhang, Makita Samba e Jehnny Beth.

Vi lasciamo alla nostra intervista a Jacques Audiard, regista di Parigi, 13Arr. candidato a cinque Premi César e in uscita nelle sale a partire dal 24 marzo con Europictures.

Jacques Audiard intervista al regista di Parigi, 13Arr. - Les Olympiades
Noémie Merlant e Makita Samba (Credits: Shanna Besson/Europictures)

Jacques Audiard: intervista al regista di Parigi, 13Arr.

Come ti sei approcciato al tema della interetnicità?

Jacques Audiard: L’interetnicità è tratta dai romanzi illustrati di Adrian Tomine. Solo il personaggio di Camille è inventato con il fine di collegare tutte le storie, non è nato all’inizio dell’adattamento ma durante la lavorazione. Per me era un’evidenza già definita che una giovane asiatica avrebbe aperto una porta e dietro ad essa l’equivoco non sarebbe stato sul colore della pelle, ma sul sesso della persona che si trovava dietro quella porta.
Il mio intento era normalizzare l’aspetto interetnico, magari in anticipo rispetto alla società francese, e che questo apparisse come scontato, poggiandosi anche sulla globalizzazione, la mobilità internazionale e l’utilizzo delle applicazioni digitali che ci collegano in modo immediato indipendentemente da dove ci troviamo.

Il sesso ha sostituito l’ideologia come chiave di quest’epoca per i giovani?

Jacques Audiard: Non ho la pretesa di parlare al posto dei giovani, e non appartengo più alla categoria dei giovani da un bel pezzo, ma avevo voglia di scrivere una storia d’amore.
Per me il riferimento principale è stato a La mia notte con Maud di Éric Rohmer, è stato come fare un nuovo inventario sulla tematica amorosa, in maniera diversa perché adesso ci sono le app per incontri che oggi hanno invertito il discorso: prima si trascorreva una notte intera a parlare di filosofia, matematica, bellezza e le parole avevano già riempito la carica erotica, adesso si va subito a letto insieme… e la seconda sera cosa succede?
Il paradosso del film è che il discorso più intimo si svolge tra due donne, e soltanto attraverso lo schermo di un computer.

Oggi l’immagine ha preso il posto della parola?

Jacques Audiard: Probabilmente non abbiamo ancora scritto altrettanto e abbastanza su quest’epoca basata sulla messaggistica istantanea, ma certamente c’è un paradosso tra l’impero delle immagini e l’impero di un discorso generazionale povero in termini di testi.

Lucie Zhang
Lucie Zhang (Credits: Shanna Besson/Europictures)
Come ti sei approcciato alla scelta dell’utilizzo del bianco e nero, recentemente utilizzato da Kenneth Branagh in Belfast e Mike Mills in C’mon C’mon?

Jacques Audiard: Potrei parlare per tutta la giornata di questa scelta. Penso che il bianco e nero sia una sorta di fantasia per ogni regista, e credo che il bianco e nero lotti anche contro la televisione, bisogna infatti sapere che, almeno in Francia, per realizzare un film in bianco e nero vi daranno meno soldi.
Ho voluto il bianco e nero per mostrare Parigi in un altro modo, perché il bianco e nero è ormai uno standard del passato, io invece lo considero uno standard dell’era moderna, un modo per mostrare una Parigi che non fosse troppo romantica, museale o piccola ma graficamente complessa. Il bianco e nero potrebbe ad esempio dare l’impressione di trovarsi in una metropoli asiatica.

Quant’è costato il film in termini di budget di produzione?

Jacques Audiard: Il budget di produzione è stato di tre milioni e mezzo di euro per sei settimane di riprese, finanziato da France 2. Il film è già di per sé difficile da trasmettere durante una fascia di spettatori molto ampia, e se avessi mostrato un membro maschile avrei dovuto rimborsare la produzione, perciò ho dovuto rimuovere dal montaggio finale un pene in erezione. Si tratta di regole non scritte ma molto importanti, anche se non capisco perché il sesso maschile in erezione non si possa mostrare, mentre quello femminile si.

Come hai rappresentato l’immaginario sessuale del film?

Jacques Audiard: Trovo sbagliato che si parli d’amore evitando poi sempre l’atto amoroso, che diventa uno sciame di farfalle nei film Disney piuttosto che la classica sigaretta mentre la coppia è distesa sul letto.
Trovo sia bello girare queste riprese, anche se mi trovo a disagio, ma credo sia giusto e necessario da fare e rappresentare sullo schermo
.

Jehnny Beth
Jehnny Beth (Credits: Shanna Besson/Europictures)
Nell’epoca del politically correct racconti il sesso eterosessuale. Sai che il film in Italia sarà vietato ai minori di quattordici anni?

Jacques Audiard: È un peccato che il film venga vietato ai minori di quattordici anni. Per quanto riguarda l’amore eterosessuale ed omosessuale, il paradosso del film è che la relazione più intima e sincera si svolga tra due donne esclusivamente attraverso lo schermo di un computer. Chissà, potrei raccontare in un sequel l’amore tra le due protagoniste.
Parigi, 13Arr. è la storia di un ragazzo e di due donne che si sbagliano su ciò che sono davvero: Emilie è una piccola punk dell’amore, Camille un dandy arrogante e molto libertino, Nora si sbaglia assolutamente su se stessa, ma il film ci racconterà come sono davvero questi giovani. Solo Amber si conosce già dal punto di vista amoroso ed intellettuale, tutti gli altri si sbagliano.

I personaggi sembrano recitare una versione di se stessi alla luce di come vogliono apparire sui social.

Jacques Audiard: Per quanto riguarda Emilie e Camille volevo due personaggi che chiacchierano molto e si piacciono a tal punto da essere un po’ sgradevoli, perché si reputano molto intelligenti e confidenti in se stessi. Mi sono divertito molto a scrivere questi due personaggi così tracotanti da venir voglia di prenderli a schiaffi. In realtà sono degli adolescenti ancora immaturi. Loro adorano parlare ed il silenzio sarebbe per loro l’inizio della morte, a volte dicono grandi cavolate pur di aprir bocca.
Io appartengo alla vecchia scuola, per me non c’è niente di più seducente del discorso e della parola, l’intelligenza e il fascino passano dalla parola e il mio modello di seduzione maschile è sempre stato Jean-Louis Trintignant, perciò quando ho fatto il mio primo film ho voluto che fosse con lui. Per me la seduzione passa attraverso la parola.

Come ti rapporti al cinema di tuo padre Michel Audiard?

Jacques Audiard: Forse sono un figlio un po’ indegno: i dialoghi nei film di mio padre erano aggressivi e performativi, molto spiritosi e divertenti. Ma non ricordo nella filmografia di mio padre Michel di grandi dialoghi di storie d’amore. Forse io sto colmando un vuoto.

Jacques Audiard intervista al regista di Parigi, 13Arr. - Les Olympiades
Lucie Zhang (Credits: Shanna Besson/Europictures)
Che differenza c’è tra adattare una graphic novel e un romanzo, nel passaggio tra fumetto e schermo con tavole e inquadrature già pensate?

Jacques Audiard: Non ho incontrato difficoltà diverse rispetto al romanzo, forse una cosa di cui mi sono accorto tardi è che una delle ultime graphic novel di Adrian Tomine è in bianco e nero e forse la mia ispirazione è venuta da lì, chissà.
Quando si fa l’adattamento di un romanzo straniero, anglosassone o americano, si pone il problema dell’esotismo che partecipa all’attrattiva dell’opera. Credo che l’aspetto interetnico abbia giovato al mio interesse per l’adattamento, il contributo dei romanzi illustrati di Tomine è stato quello di propormi personaggi a cui non avrei mai pensato, questa interetnicità non esiste nel cinema francese
.

In Parigi, 13Arr. colpisce l’assenza di personaggi adulti.

Jacques Audiard: I personaggi del film si trovano nella fase prima di quella in cui vanno presi gli impegni, professionali o amorosi, e vogliono rimanere in questo limbo. Oggi in molti lasciano il lavoro presso le grandi città, il mondo professionale si è degradato e, come è stato sottolineato dai sociologi, si va a vivere in provincia vivendo di lavoretti abbandonando le responsabilità lavorative del passato.

Qual è stata la scena più difficile da girare?

Jacques Audiard: Le scene d’amore o di sesso sono difficili da girare, se si mostra l’atto poi si sfora nel pornografico. Ho scelto di far lavorare gli attori con un coreografo e un coach, solo successivamente abbiamo iniziato a girare e li ho ripresi.
È importante che gli attori comprendano che il sesso è parte integrante del loro personaggio, non è qualcosa di separato, e una volta compreso questo li aiuta ad essere più tranquilli e propositivi sul set.

Noémie Merlant
Noémie Merlant (Credits: Shanna Besson/Europictures)
A parte Noémie Merlant, gli altri attori protagonisti sono debuttanti.

Jacques Audiard: Si, ed è stato il motivo per cui abbiamo fatto tantissime prove e ho affittato un teatro a Parigi per svolgere tre giorni di prove e recitare insieme il film per intero. La paura delle riprese è un po’ scemata, gli attori a quel punto sapevano cosa fare, sono venuti fuori punti di forza e debolezze e questo è stato molto importante.

Qual è il rapporto tra il cinema asiatico e il modo in cui i personaggi vivono i loro drammi?

Jacques Audiard: Il cinema di Wong Kar-wai mi ha segnato tantissimo per quanto riguarda il dramma dei personaggi. Ad esempio per il personaggio interpretato da Lucie Zhang, Emilie, il fatto che la nonna possa essere ricoverata in una casa di cura è un trattamento assolutamente disumano.

Parigi, 13Arr. ha una finale molto ottimista che si distacca dal resto.

Jacques Audiard: Sarebbe impossibile per me non avere un finale di speranza, non potrei mai raccontare una storia che finisce irrimediabilmente male. Volevo un finale che sottolineasse il cambiamento di questi personaggi e che la loro vita cambierà, come nei romanzi di formazione.

Lucie Zhang, Noémie Merlant e Makita Samba
Lucie Zhang, Noémie Merlant e Makita Samba (Credits: Shanna Besson/Europictures)
Come pensa sarà accolto il suo nuovo film?

Jacques Audiard: Ciò che può sembrare esotico od oltraggioso per i francesi può sembrare normalissimo per un altro pubblico come quello americano, per questi ultimi un rapporto tra un’asiatica e un nero non è considerato ideologico bensì assolutamente quotidiano. Da spettatore e cinefilo francese conosco il pubblico francese o quantomeno so cosa aspettarmi o cosa diranno. Poi ti aspetti anche che la critica possa insegnarti o farti riflettere su qualcosa, anche se è molto raro che questo accada.

Quali sono i tuoi film e registi preferiti? Hai delle reference in particolare?

Jacques Audiard: Anzitutto devo premettere che non penserei mai a cosa un regista del passato avrebbe fatto al posto mio, non penserei mai ad un regista in questi termini.
Ad un certo punto dell’esperienza cinefila ci si rende conto che da spettatori abbiamo visto migliaia di film. Il cinema ci ha insegnato molto, ci ha educato in qualcosa di molto importante che riguarda l’individuo in termini di sentimenti e relazioni interpersonali e lavorative, il cinema è un potente educatore.
Io sono stato educato da film come La mia notte con Maud di Éric Rohmer, che ho visto quattro volte in una settimana quando uscì, penso anche ad Happy Together e In the Mood for Love di Wong Kar-wai, Sesso, bugie e videotape di Steven Soderbergh, ad alcuni film di Ingmar Bergman e Woody Allen.
Credo però di essere più un lettore che un cinefilo, su un’isola deserta porterei Alla ricerca del tempo perduto di Proust piuttosto che un qualsiasi film.

Cosa puoi anticiparci sui tuoi lavori futuri?

Jacques Audiard: Il mio prossimo film sarà una commedia musicale che girerò in Messico. In realtà le commedie non mi piacciono molto, quindi ho un po’ di paura per questo nuovo progetto (sorride).

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