A Classic Horror Story

A Classic Horror Story recensione film di Roberto De Feo e Paolo Strippoli con Matilda Lutz [Netflix]

A Classic Horror Story recensione film Netflix di Roberto De Feo e Paolo Strippoli con Matilda Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta e Yulia Sobol

In Italia nessuno vuole avere paura. Entrate nel cinema e dite: ‘Che schifo! Aiuto!’ Poi però accendi la televisione e ci sono solo morti. Dalla mattina alla sera, morti. Perché a voi vi piace la studentessa che fa a pezzi la coinquilina, la mamma che soffoca il figlio, bellissimo!… E tu mi chiedi cosa stiamo facendo noi qua?”. È in questa battuta che si condensa tutto il senso e tutto il messaggio di A Classic Horror Story, opera seconda di Roberto De Feo in co-regia con l’esordiente Paolo Strippoli.

Prodotto da Colorado Film con un’importante partecipazione di Netflix sia come produttore che soprattutto come distributore nazionale ed internazionale, A Classic Horror Story è, a livello di trama, esattamente quello che il titolo promette: riallacciandosi dichiaratamente a La casa e inserendo di volta in volta nelle varie scene un gran numero di citazioni ai più grandi cult del genere, A Classic Horror Story è la storia di cinque sconosciuti che, trovatisi insieme in camper attraverso un’app per dividersi il viaggio, vanno presto fuori strada e si ritrovano sommersi da un incubo più grande di loro.

Matilda Lutz
Matilda Lutz (Credits: Loris T. Zambelli/Netflix)
A Classic Horror Story recensione film Netflix di Roberto De Feo con Matilda Lutz
A Classic Horror Story film Netflix di Roberto De Feo e Paolo Strippoli con Matilda Lutz (Credits: Loris T. Zambelli/Netflix)

Al tempo stesso però, proprio per il suo carattere molto consapevole nei confronti degli stilemi del genere horror, A Classic Horror Story ha un sapore volutamente meta – “metahorror” più che metacinematografico tout court. Un po’ come a suo tempo voleva fare Scream di Wes Craven, ma in maniera meno scherzosa e più riflessiva, il film di De Feo e Strippoli mostra dei protagonisti che conoscono le regole interne del loro stesso genere, fra cui un aspirante regista che si rivelerà la chiave di volta di tutte le dinamiche, sia narrative che concettuali, del film.

A Classic Horror Story ha dei punti di forza e altri punti di debolezza, o quantomeno di non spiccata originalità. Roberto De Feo e Paolo Strippoli, premiati come migliori registi al Taormina Film Festival, inseriscono nel film alcune inquadrature visivamente molto belle, anche grazie a un uso non banale degli obiettivi da parte del loro direttore della fotografia, Emanuele Pasquet, che già aveva collaborato con De Feo per The Nest; per il resto la regia è molto classica e tradizionale e, soprattutto all’inizio con le inquadrature dall’alto del camper, decisamente citazionista nei confronti dei capisaldi horror del passato.

Yulia Sobol, Matilda Lutz, Peppino Mazzotta e Francesco Russo
Yulia Sobol, Matilda Lutz, Peppino Mazzotta e Francesco Russo (Credits: Loris T. Zambelli/Netflix)
Alida Baldari Calabria in A Classic Horror Story
Alida Baldari Calabria in A Classic Horror Story (Credits: Loris T. Zambelli/Netflix)

Le interpretazioni sono nel complesso buone: spiccano in modo particolare Peppino Mazzotta, proveniente dal teatro e noto soprattutto per i suoi ruoli in Anime nere e ne Il commissario Montalbano, e la protagonista Matilda Lutz, che già aveva saputo diventare un’icona del genere con il rape and revenge movie francese Revenge, di Coralie Fargeat. Come rivendicato dai due registi, Elisa, il personaggio della Lutz, è in un certo senso la prima final girl della storia del cinema horror italiano, quantomeno recente: e la Lutz è molto convincente nei panni della vittima sacrificale destinata a diventare Erinni.

Quelli che invece sono i limiti del film si trovano forse già nei suoi intenti: queste operazioni in parte cinefile e in parte decostruzioniste, nei confronti del genere horror, spesso non sanno trovare il giusto confine tra la citazione e il ribaltamento del cliché. A Classic Horror Story è un film molto equilibrato, ma per quanto interessante sia il suo sottotesto meta – e anche i richiami al mondo dei social (non è ancora così diffuso il fatto che uno degli strumenti narrativi essenziali di un film possa essere lo smartphone e le sue applicazioni) – non riesce a sfuggire da un lato a una certa sensazione di già visto, dall’altro all’impressione di star accumulando davvero tanti archetipi all’interno dello stesso film.

Alida Baldari Calabria
Alida Baldari Calabria in A Classic Horror Story (Credits: Loris T. Zambelli/Netflix)

Da La casa a Midsommar, da Silent Hill ad Halloween, fino ad arrivare al curioso paradosso dei villain che parlano dialetto calabrese stretto, le molte citazioni non appesantiscono il film, ma in un certo qual modo lo rendono un po’ troppo “pensato”. Geniali sono però gli ultimi minuti, con la soggettiva di un computer in cui un utente dal volto nascosto, dopo essere passato per una chat di amanti degli snuff movie, entra su “Bloodflix” a vedere lo stesso film, per poi interrompere e andare a tavola chiamato da suo figlio.

Come hanno dichiarato gli stessi due registi, i veri temi di fondo di A Classic Horror Story sono “la pornografia del dolore” e “la spettacolarizzazione della morte”. Questa è un po’ una messa in questione dell’horror stesso, a ben vedere, dopo che per tutto il film ci sono stati mostrati sangue e violenza, e anche questo è un punto interessante. La sensazione che “in Italia non si possa fare horror” e la voglia di riscattare e ribaltare questo stereotipo avvolge il film fino alle battute dei suoi protagonisti, in particolare in certi discorsi di Fabrizio, il sedicente “aspirante regista” interpretato da Francesco Russo: A Classic Horror Story almeno in parte sa dimostrare su un piano pratico quanto i registi italiani possano dare, come accadeva negli anni sessanta e settanta, all’horror e al cinema di genere in tutte le sue declinazioni.

Ciò non toglie che il film al tempo stesso dimostri quanto è difficile creare qualcosa di innovativo, che non sia solo “meta-innovativo”, all’interno di uno dei generi più prolifici della storia del cinema, e quanto certe eredità del secondo Novecento filmico siano quasi impossibili da bypassare e ignorare.

Will Merrick
Will Merrick (Credits: Loris T. Zambelli/Netflix)

Sintesi

Decisamente citazionista nei confronti dei capisaldi del passato, A Classic Horror Story è un'opera equilibrata, in parte cinefila e in parte decostruzionista nei confronti del genere, che mettere in discussione l'horror stesso tra pornografia del dolore e spettacolarizzazione della morte.

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