The Calendar Killer recensione film di Adolfo J Kolmerer con Luise Heyer, Sabin Tambrea e Friedrich Mucke [Amazon Prime Video]
Oggi più che mai, un film di genere deve affidarsi a un’idea originale e intrigante per attirare l’attenzione di un pubblico bombardato dall’offerta gargantuesca offerta dalle piattaforme streaming. Il più grande punto di forza di The Calendar Killer, disponibile su Prime Video, è soprattutto la sua premessa, profondamente legata al contesto tristemente attuale della violenza sulle donne.
Jules (Sabin Tambrea) è un operatore di ‘Ti accompagno a casa’, una linea telefonica d’emergenza per persone che pensano di essere in pericolo mentre sono da sole per strada. Riceve una chiamata da Klara (Luise Heyer), la futura vittima del Killer del Calendario. L’assassino s’introduce nelle case dei suoi bersagli, scrive col sangue la data della loro morte e poi, arrivato il giorno fatale, le uccide. Jules dovrà aiutarla a superare la notte, consigliandole come sfuggire al killer, ma anche aiutandola a non arrendersi e a confidarsi con lui.
L’idea di un thriller “a distanza” (un personaggio a un capo del telefono aiuta le persone dall’altro parte) era già stata sfruttata brillantemente da Il colpevole – The Guilty. Come nel film danese del 2018, The Calendar Killer costruisce la tensione sulla totale impotenza di Jules di fronte agli ostacoli che Klara affronta. Tutto ciò che può fare è ascoltare attraverso il suo auricolare e convincerla a seguire le sue istruzioni.
È proprio Klara il vero motore della storia, nonché portatrice e incarnazione del tema più importante della pellicola. Il vero pericolo per lei, infatti, non è tanto il killer, quanto Martin (Friedrich Mucke), il marito violento che abusa di lei da anni. Il film si immerge quindi nella vita di una donna prigioniera della violenza domestica e ormai portata sull’orlo del suicidio.
La fuga di Karla dal marito e la sua lotta per la libertà sostituiscono dunque l’impostazione “telefonica” che caratterizzava la prima parte del film. Questo però appiattisce inevitabilmente tanto l’intreccio quanto la sua l’originalità. In più, nonostante gli attori restituiscano bene gli effetti devastanti di un tale trauma sulle persone, l’argomento viene affrontato sfruttando dei cliché talmente artificiali da risultare quasi slegati dalla realtà.
Martin, infatti, non è semplicemente un marito violento, che liquida la paura della moglie di essere uccisa dal Killer del Calendario come frutto di vaneggiamenti e allucinazioni. È come se il regista Adolfo J. Kolmerer avesse pensato che le violenze quotidiane di un marito possessivo non fossero un materiale abbastanza impressionante. E quindi, Martin si rivela anche un pervertito che porta la moglie a festini esclusivi (con tanto di maschere alla Eyes Wide Shut), la droga e la sottopone a giochi sadomasochistici contro la sua volontà.
Tuttavia, in queste scene, in teoria angosciose, la messa in scena è talmente artificiale, piatta e poco ispirata che la violenza perde il realismo di cui necessita per essere veramente d’impatto. In un’epoca dove si cerca di svelare la violenza nascosta, sotterranea e quotidiana degli atteggiamenti possessivi, le esagerazioni di Kolmerer risultano semplicistiche e fuori luogo.
In preparazione al terzo atto, poi, il film rimescola le carte in tavola con un colpo di scena in un primo momento sorprendente, ma che risulta completamente irrealistico a un ragionamento un minimo approfondito. The Calendar Killer rivela così tutti i suoi limiti creativi e si arena su un finale sbrigativo e anche un po’ autocompiaciuto del lavoro svolto su una tematica alla quale, in realtà, non ha saputo rendere giustizia.