Marvel Cinematic Universe – l’Origin Story

I tardi anni ’90, la caduta e la rinascita

Nel 1996, Marvel fece un passo avanti nel controllo delle proprie sorti cinematografiche: vendette le proprie azioni di Toy Biz, e con il ricavato fondò Marvel Studios, che, sotto la direzione del presidente di Marvel Films Avi Arad e del presidente di Marvel Entertainment Group Jerry Calabrese, si sarebbe occupata di svolgere tutto il lavoro preliminare alla realizzazione dei film (arruolare sceneggiatori e registi, approvare script, procedere al casting) e avrebbe poi consegnato il ‘pacchetto’ agli studios per l’effettiva realizzazione.

Negli ultimi anni, l’affannosa ricerca di profitti aveva logorato Marvel, che – come il resto del settore – aveva affidato le proprie sorti ai portafogli dei collezionisti, tra ‘limited edition’, crossover di portata pluriannuale ed una gamma di albi troppo ampia: una strategia non troppo lungimirante, come aveva ammonito l’autore DC Neil Gaiman già nel 1993, quando aveva paragonato la speculazione sulle collector’s edition alla cosiddetta ‘bolla’ dei tulipani, che nei Paesi Bassi del diciassettesimo secolo aveva dapprima gonfiato a dismisura il prezzo dei bulbi per qualche decennio grazie all’interesse per il nuovo fiore, per poi vederlo crollare improvvisamente devastando l’economia del Paese.
Nonostante una serie di licenziamenti e ristrutturazioni, l’editore si era ritrovato in rosso per svariati anni di fila, rassegnandosi infine, nel dicembre 1996, a richiedere il supporto del Chapter 11, ossia la procedura necessaria per adottare misure speciali e per evitare la bancarotta.

Nel corso di due anni, la battaglia per ‘salvare’ Marvel (o meglio: prenderne il controllo per renderla di nuovo una gallina dalle uova d’oro) vide opposte tre fazioni: da una parte il finanziere Carl Icahn, dall’altra il proprietario Ron Perelman, e infine Avi Arad e Ike Perlmutter di Toy Biz, preoccupati che, chiunque altro avesse prevalso, avrebbe terminato la loro esclusiva per la produzione di giocattoli. Inizialmente Icahn arrivò ad acquisire il controllo – peraltro sbattendo fuori Arad anche da Marvel Studios -, ma nel 1998 la fazione Toy Biz ebbe la meglio: Perlmutter e Arad riuscirono finalmente a rassicurare le banche creditrici e i tribunali, e, rovesciando gli equilibri dopo soli cinque anni, acquisirono Marvel e fusero Toy Biz e Marvel Entertainment Group nella nuova entità Marvel Enterprises. L’anno successivo, alcune delle acquisizioni fatte in precedenza (come Fleer e Panini) vennero rivendute.

Sempre nel 1998, in un altro tribunale, venne sbrogliata la matassa dei diritti su Spider-Man, che si era fatta piuttosto ingarbugliata. Abbiamo già ricordato che verso la fine degli anni ’80 Cannon Films, che aveva opzionato il personaggio dal 1985 al 1990, venne acquisita dal finanziere italiano Giancarlo Parretti, che la ribattezzò Pathé Communications (Parretti aveva intenzione di comprare lo studio francese Pathé, ma venne bloccato dal governo francese), e che il suo manager Menahem Golan ottenne di portare con sé nel suo nuovo impiego presso 21st Century Film Corporation la possibilità di girare un film sull’Uomo Ragno. Nel 1989 Golan aveva rinegoziato con Marvel questo accordo, estendendo la durata dei diritti fino al 1992. Poi, in disperato bisogno di finanze, li rivendette a diverse entità: i diritti per lo sfruttamento del film in sala a Carolco Pictures (che ancora contava di affidare il film a James Cameron), quelli per i passaggi in televisione a Viacom, e quelli per lo home video a Columbia Tri-Star.
Golan aveva imposto a Carolco una condizione aggiuntiva: ricevere il titolo di produttore quando il film sarebbe uscito in sala. Ma quando Cameron si accordò per girare il film, il contratto con Carolco (una copia-incolla di quello firmato per Terminator 2) non conteneva alcuna menzione di Golan, dando invece al regista il potere di decidere chi sarebbe comparso nei credits. Nel 1993, quindi, Golan chiamò in tribunale Carolco. Quest’ultima, dal canto suo, cercò di annullare la parte di contratto che riguardava Viacom e Columbia, che a loro volta contro-denunciarono Carolco, 21st Century Film e Marvel.
Carolco ottenne da Marvel un’altra estensione fino al 1996 ma, arrivato quell’anno, aveva chiuso i battenti, acquistata da Metro-Goldwyn-Mayer, che nel frattempo era stata acquistata da Parretti e fusa con Pathé Communications. MGM aveva comprato anche 21st Century Film. Avendo inglobato o sotto controllo tre delle società coinvolte nella vicenda (Cannon, Carolco e 21st Century), MGM aveva ereditato il treatment di James Cameron, e contava di avere abbastanza appigli legali per aggiudicarsi la possibilità di produrre Spider-Man: si affrettò quindi a contestare in tribunale la validità dei vari passaggi di mano.
Marvel sosteneva invece che, poiché in tutto questo tempo nessuno era riuscito a portare un film nei cinema, l’Uomo Ragno dovesse tornare alla casa madre, ma i contratti firmati non erano così categorici.
In totale, cinque diverse cause legali intrecciavano il loro corso al tribunale di Los Angeles.

L’ingarbugliata situazione si risolse con un vero e proprio implausibilissimo colpo di scena, quando l’avvocato che si occupava della causa per Marvel, Carole Enid Handler, si accorse di una minuzia sfuggita a tutti per tredici anni, ma fondamentale dal punto di vista legale: la vendita dei diritti a Cannon nel 1985 non era mai stata registrata presso lo U.S. Copyright Office, quindi di fatto non era mai stata valida. La svolta restituì a Marvel la possibilità di fare ciò che voleva, ossia vendere i diritti a Sony per dieci milioni di dollari. MGM si rifarà, negli stessi anni, conservando i diritti su James Bond, come abbiamo raccontato in un’altra occasione, e vendendo a Sony il famoso trattamento di James Cameron, in quale, in ogni caso, era passato ad un contratto in esclusiva con 20th Century Fox, e ad altri progetti.

Un ulteriore evento segnerà il 1998: Wesley Snipes aveva abbandonato l’idea di interpretare Black Panther ma non quella di vestire i panni di un supereroe di colore, e pensò che portare sullo schermo un vampiro non avrebbe presentato le stesse difficoltà di altri supereroi. Grazie a New Line Cinema e la regia dell’Inglese Stephen Norrington, Blade arrivò al cinema, e con lui, dopo decenni di tentativi andati a vuoto, finalmente Marvel vide realizzato il suo potenziale. Per quanto l’uscita del film abbia portato nelle casse dell’editore solo 25mila dollari dei 130 milioni ricavati al botteghino, il messaggio era diventato chiaro a tutta l’industria: acquistare i diritti di un personaggio, anche non di primissimo piano, poteva portare grandi guadagni.

La sceneggiatura di Blade era opera del giovane sceneggiatore, e appassionato di fumetti, David S. Goyer. Lo stesso anno, Goyer aveva scritto un altro script, che non riscontrò lo stesso successo: Nick Fury: Agent of S.H.I.E.L.D. vedeva David Hasselhoff nel ruolo  dell’ex-capo dell’agenzia speciale, richiamato in servizio dalla Contessa Valentina Allegra de Fontaine. Prodotto da 20th Century Fox, il film avrebbe dovuto essere l’episodio pilota di una serie tv che non si concretizzò mai.

Fox Kids, invece, aveva ormai preso lo slancio con altri cartoon, con protagonisti Spider-Man, Silver Surfer e gli Avengers. Su UPN, arrivarono nuove avventure animate de L’incredibile Hulk, doppiato ancora una volta da Lou Ferrigno.

La fiducia di Hollywood riempì i budget a sufficienza da dare lo slancio, con il nuovo millennio, al fenomeno dei cinecomics. Nel luglio 1999, Avi Arad aggiornò Variety sullo stato di lavorazione di diverse iniziative, sottolineando il controllo creativo esercitato da Marvel in modo che i suoi personaggi non venissero snaturati: per esempio, assicurandosi che lo Spider-Man in preparazione presso Sony Pictures non uccidesse nessuno (regola, pare, infranta nella versione Cameron).
Tra i titoli che oggi ci sono familiari, a questo stadio, il film sull’Uomo Ragno non aveva ancora un regista, né uno sceneggiatore; l’X-Men di 20th Century Fox, ancora senza cast, poteva contare sulla regia di Bryan Singer e la sceneggiatura di Singer e Tom DeSanto; Marvel aveva rinnovato a Universal Studios la fiducia per un film su Hulk, che a questo punto non aveva ancora coinvolto Ang Lee, e come sceneggiatore contava su Michael France, uno degli autori di GoldenEye, che stava ri-scrivendo una precedente stesura di John Turman; per Fantastic FourFox aveva adocchiato il regista di Mai stata baciata e Mamma, ho preso il morbillo, Raja Gosnell.
Tra quelli che restarono sulla carta, c’erano un film dedicato a Silver Surfer (sul quale era all’opera lo sceneggiatore Andrew Kevin Walker, autore di Seven per David Fincher), uno per Captain America per la produzione di Mutual Film (che aveva sviluppato con Spielberg Salvate il Soldato Ryan), un Doctor Strange adocchiato ancora da Sony/Columbia Pictures, e una pellicola su Namor, per la sceneggiatura di Sam Hamm (l’autore della storia per i due Batman di Tim Burton).
Peraltro, Wesley Snipes non aveva del tutto abbandonato le sue mire su Black Panther.
La tecnologia, dopotutto, stava rapidamente evolvendo, e dopo le uscite nel 1999 di The Matrix e The Phantom Menace, era chiaro più che mai che la computer graphics stava per condurre il cinema in una nuova era.

Continua: Gli anni 2000 e l’alba di una nuova era

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