La ragazza dei Parioli

La ragazza dei Parioli recensione documentario di Rosa Chiara Scaglione e Simone Manetti [Sky Anteprima]

La ragazza dei Parioli recensione documentario Crime+Investigation scritto e prodotto da Rosa Chiara Scaglione e diretto da Simone Manetti

Cosa porta una ragazza di quasi – ma non ancora – quindici anni a prostituirsi?
Lei risponde “I soldi”, perché è una narratrice sincera, ma sotto sotto non ne è così sicura neanche lei. L’argomento è spinoso anche ad anni – otto – di distanza.
Lei si chiama Marianna e, se dopo la diffusione del documentario avrà vita una tempesta mediatica più o meno controllata, non sarà la sua prima volta. Forse le conseguenze saranno meno distruttive di otto anni fa.
La storia delle baby squillo dei Parioli è stata raccontata in tutte le salse, è stata distribuita tra gli adolescenti attraverso la serie Netflix Baby che ha quasi rischiato di romanticizzare tutta la faccenda. Alla luce di rappresentazioni non vere, solo lontanamente veritiere, Marianna ha deciso di prestarsi al documentario, di raccontare la propria storia in prima persona nel documentario La ragazza dei Parioli di Simone Manetti.

Insieme a lei, le altre due narratrici, sua nonna Sandra e sua madre Sabrina, che volenti o nolenti si sono trovate nella stessa tempesta di Marianna. Una tempesta in cui erano insieme ma separate da mura – Marianna in comunità, Sabrina in prigione, Sandra fuori, nel suo bar, in una normalità scossa.

Marianna
Marianna (Credits: A+E Networks Italia/Event Horizon)
La ragazza dei Parioli recensione documentario
La ragazza dei Parioli documentario Crime+Investigation di Rosa Chiara Scaglione e Simone Manetti (Credits: A+E Networks Italia/Event Horizon)

Diviso in due episodi – e, internamente, in vari capitoli – il documentario è un mezzo ma non un giudice. La regia di Manetti lascia che a raccontare siano le tre donne – attraverso parole e qualche foto – e i video dell’investigazione. Ma non si permette di giudicare, non sceglie un colpevole in una faccenda con troppe sfumature, non appoggia ma nemmeno va contro la decisione finale di condannare Sabrina per sfruttamento di prostituzione. Non sta allo spettatore prendere decisioni su questo caso, non dopo otto anni, non quando tutto, per le tre protagoniste, sta tornando finalmente alla normalità.

Come ha cominciato? Soprattutto, perché?
Chissà Marianna quante volte si è sentita fare queste domande.
Racconta tutta la storia, iniziando dall’idea di trovare un lavoretto estivo a come la sua migliore amica di allora – poi socia – abbia cominciato a prostituirsi. Racconta di quando è andata a guardarla e quando, la volta seguente, ha avuto effettivamente il primo rapporto, e di quando in macchina ha capito di avere davanti due sole possibilità: smetterla subito e affrontare il trauma o normalizzare la cosa andando avanti fino a desensibilizzarsi. Racconta di aver scelto la seconda, ovviamente, ma di aver comunque faticato a guardarsi allo specchio. Trovarsi faccia a faccia con se stessa l’avrebbe costretta ad ammettere di essere entrata in una situazione da cui non sarebbe stato facile uscire.

La ragazza dei Parioli recensione documentario
Marianna e Sabrina (Credits: A+E Networks Italia/Event Horizon)

Marianna racconta tutto, un po’ nei video della Procura, un po’ nella stanza antisettica in cui viene girato il documentario. Racconta l’arrivo di Mirko (praticamente un segretario), l’appartamento in cui lavoravano, la vita folle di quei tre mesi che le hanno portato più denaro di quanto ne potesse immaginare ma anche incubi, mani fredde che la toccavano di notte quando era a casa da sola.
Spesso, quando si ha a che fare con storie simili, ci si chiede dove fossero i genitori. I parenti. Gli amici. Non si pensa a quanto ognuno abbia una sua storia di drammi personali e ignoti.

Sandra, la nonna di Marianna, non aveva sospetti. Notava dei comportamenti nuovi nella nipote, certo, ma c’è un passo lungo tra un rossetto rosso indossato di giorno e la prostituzione.
Sabrina, che con Marianna viveva, sospettava qualcosa, soprattutto data la grande quantità di denaro che la figlia portava a casa, ma si accontentava delle spiegazioni che riceveva. Non che fossero accettabili, certo, ma quando Marianna le parlava di droga prima e di cocaina dopo, Sabrina le riteneva comunque più sicure della prostituzione.

Marianna
Marianna (Credits: A+E Networks Italia/Event Horizon)
La ragazza dei Parioli recensione documentario
La ragazza dei Parioli documentario Crime+Investigation di Rosa Chiara Scaglione e Simone Manetti (Credits: A+E Networks Italia/Event Horizon)

Quando parla delle bugie dette alla madre, Marianna parla anche di un desiderio di non nascondere che faceva a pugni con il non voler dire a Sabrina come stessero le cose. “Se lo scopre mi ci tira fuori”, diceva Marianna, ma con che cuore dire tutto alla madre?
Per questo Marianna tace, e tace fino all’arrivo della polizia, quella polizia che porterà lei in Procura (e poi in comunità) e sua madre a Rebibbia, in carcere, con l’accusa di sfruttamento di prostituzione. Quella polizia che le dividerà per tre anni quando pensavano di non vedersi per massimo qualche ora.

Il documentario La ragazza dei Parioli, che pure ha una forza narrativa non indifferente, ha un difetto che consiste nello scompenso visivo. Con un’esposizione dei fatti ottima ma una controparte visiva insufficiente, sembra un podcast mancato, un’occasione non colta nel migliore dei modi. In ogni caso, il prodotto finale è ben più che discreto, e un modo per restituire finalmente la narrazione a coloro a cui appartiene, ma a cui i media l’hanno tolta per anni.

Sintesi

La storia delle baby squillo dei Parioli è stata raccontata in tutte le salse e distribuita tra gli adolescenti attraverso rappresentazioni solo lontanamente veritiere che hanno quasi rischiato di romanticizzare la vicenda. Alla luce di questo le protagoniste si raccontano in prima persona attraverso il documentario di Rosa Chiara Scaglione e Simone Manetti, un mezzo ma non un giudice dalla forza narrativa non indifferente che restituisce finalmente la narrazione a coloro a cui appartiene, ma a cui i media l’hanno tolta per anni.

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