La casa di carta: Corea

La casa di carta Corea recensione serie TV con Yunjin Kim e Jeon Jong-seo [Netflix]

La casa di carta: Corea recensione serie TV Netflix con Yunjin Kim, Yoo Ji-tae, Park Hae-soo, Jeon Jong-seo, Kim Ji-hun, Lee Won-jong, Jang Yoon-ju, Kim Sung-oh, Park Myung-hoon, Lee Joo-bin e Lee Hyun-woo

Da Non siamo più vivi a Sweet Home, da Hellbound e The Silent Sea, senza ovviamente dimenticare la serie più vista di sempre su Netflix, Squid Game, la corrente coreana del K-Drama ci ha riservato nell’ultima stagione esclusivamente brillanti sorprese, divenute poi conferme, magari grazie anche ad una fortunata selezione delle nostre visioni domestiche.

La casa di carta: Corea non è il primo remake “al contrario” che dall’Occidente si veste di Oriente per quella che è la terza industria per volume di produzioni seriali dietro agli Stati Uniti e al Regno Unito, e dopo il remake di serie estere quali Suits, The Good Wife e Designated Survivor, la maschera di Salvador Dalì si trasforma in una maschera tradizionale Hahoe che va a coprire il volto di un nuovo gruppo di ladri spregiudicati, fedeli alla visione e ai piani del loro leader, Il Professore (Yoo Ji-tae).

La casa di carta: Corea recensione serie TV Netflix
La casa di carta: Corea serie TV Netflix con Yunjin Kim, Yoo Ji-tae, Park Hae-soo, Jeon Jong-seo e Kim Ji-hun (Credits: Jung Jaegu/Netflix)
Yoo Ji-tae è Il Professore
Yoo Ji-tae è Il Professore (Credits: Jung Jaegu/Netflix)

Investire in una proprietà intellettuale così forte potrebbe aver sottratto risorse importanti al comparto creativo e tecnico, o almeno questa è la spiegazione che proviamo a darci nell’assistere ad una copia carbone sbiadita del popolarissimo show creato da Álex Pina, che non riesce a smuoversi da una narrazione svogliata, frettolosa e priva di carica emotiva, che sia sprigionata indifferentemente dai personaggi ritratti o dalle situazioni e dagli eventi messi in scena.

Il contesto, che giustifica il criptico titolo internazionale Money Heist: Korea – Joint Economic Area, in realtà molto esile nella sua rappresentazione piuttosto che solido elemento distintivo, viaggia indietro nel tempo alla divisione della Corea post Seconda Guerra Mondiale e post guerra di Corea, reimmaginando la zona demilitarizzata coreana o area di sicurezza congiunta come nuova area di sviluppo economico congiunto per le due Coree, in un tanto promettente quanto travagliato percorso di riavvicinamento verso la riunificazione ideologica, politica ed economica della Corea che, realtà alla mano, potrebbe dare vita ad una superpotenza economica mondiale che in alcune decine di anni, stando alle stime di Goldman Sachs, raggiungerebbe il potenziale per poter eguagliare il Giappone.

Yunjin Kim è la nuova Lisbona
Yunjin Kim è la nuova Lisbona (Credits: Jung Jaegu/Netflix)
Park Hae-soo è Berlino
Park Hae-soo è Berlino (Credits: Jung Jaegu/Netflix)

Peccato che il contesto finisca qui e che anzi chi vi scrive ci abbia aggiunto un po’ del suo nel ritrarvelo, in quanto La casa di carta: Corea fa davvero fatica sia a smarcarsi dall’originale che ad emularlo e a proporre validi motivi per trattenere in primis gli affezionati della serie spagnola. Tutto appare ristretto, contratto, poco ispirato, dalle scenografie alle coreografie degli inseguimenti, dai dialoghi alla costruzione dei personaggi, come anticipato pocanzi sia arte che tecnica vanno in sofferenza in un prodotto seriale che, anche isolato dall’universo de La casa de papel e rifocalizzato soltanto sul genere heist, patisce per scarsa convinzione e tensione nello smuovere sia il dramma che l’azione.

Anche sul fronte delle caratterizzazioni dei personaggi La casa di carta: Corea non riesce ad andare oltre la superstar coreana Yunjin Kim (Lost) nelle vesti della “nuova” (e migliore) Lisbona e la rivisitazione di Berlino da parte di Park Hae-soo (Squid Game), con Park Myung-hoon (Parasite) a presentarci un Arturito che qui diventa particolarmente cattivo oltre che odioso, dove persino l’affascinante Tokyo di Jeon Jong-seo si spegne rapidamente e l’unica vera sorpresa positiva è Kim Ji-hoon che ci allieta con il suo Denver, alle prese con la futura Stoccolma interpretata da Lee Joo-bin, mentre l’anonimato avvolge gran parte del rimanente cast.

Ma la serie scritta da Ryu Yong-jae, Kim Hwan-chae e Choe Sung-jun e diretta da Kim Hong-sun ha anche e soprattutto il demerito, nella sua mancanza di identità e nel suo mero tentativo di imitazione dell’originale spagnolo, di sbiadire i toni tipici del K-Drama che anche il pubblico occidentale ha scoperto ed iniziato ad amare proprio perché ancora vergini da compromessi, incisivi, seducenti, spietati, certamente sovversivi rispetto all’appiattimento da politicamente corretto che imperversa volente o nolente nelle writers’ room occidentali.

Jeon Jong-seo è Tokyo ne La casa di carta: Corea
Jeon Jong-seo è Tokyo ne La casa di carta: Corea (Credits: Jung Jaegu/Netflix)
Kim Ji-hun bravissimo con il suo Denver
Kim Ji-hun bravissimo con il suo Denver (Credits: Jung Jaegu/Netflix)

Sintesi

La casa di carta: Corea fatica sia a smarcarsi dall'originale che ad emularlo: tutto appare ristretto, contratto, poco ispirato, sia arte che tecnica vanno in sofferenza in un prodotto seriale che, anche isolato dall'universo de La casa de papel, patisce per scarsa convinzione e tensione nello smuovere sia il dramma che l'azione. Se anche le caratterizzazioni dei personaggi lasciano a desiderare, il maggior demerito de La casa di carta: Corea è sbiadire i toni tipici del K-Drama che anche il pubblico occidentale ha scoperto ed iniziato ad amare.

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