Curon: recensione serie TV Netflix con Valeria Bilello, Luca Lionello, Federico Russo, Margherita Morchio, Alessandro Tedeschi e Juju Di Domenico
Dentro di noi vivono due lupi:
uno è il lupo calmo, gentile, che caccia per i suoi cuccioli e difende il suo branco.
E l’altro è il lupo oscuro, rabbioso, spietato.
Lottano tra di loro per il controllo della nostra anima.
Vince colui a cui diamo da mangiare.
(Curon)
La tensione immediata che non ti aspetti in un avvio con atmosfere da haunted house alla Locke & Key per Curon, produzione italiana Netflix che, oltre a richiamare l’opera di Joe Hill, si staglia a metà tra i mostri tenebrosi e paranormali di X-Files e il tema del doppio malvagio visto recentemente in Noi di Jordan Peele.
Il suggestivo ed al tempo stesso inquietante campanile solitario immerso nel lago azzurro di Curon, paesino di poco più di duemila anime nell’Alto Adige avvolto nel dramma di un lago usurpatore che ha sommerso le loro terre, diventa simbolo di un serial che rincorre la suspense a piè sospinto tra effetti speciali sonori di sottofondo, maschere demoniache, crocifissi poco rassicuranti, ceri votivi perennemente accesi e misteri talmente spaventosi da allontanare una figlia dal proprio padre per ben diciassette anni.
I cittadini di Curon cercano di tenere lontane le ombre, le stesse verso le quali Anna e i suoi gemelli Mauro e Daria sembrano andare più o meno inconsapevolmente incontro.
Non possiamo vivere con le nostre ombre.
(Curon)
Seppur con alcune ingenuità iniziali dovute alla rincorsa spasmodica del jump scare tra apparizioni improvvise, luci intermittenti, inseguimenti notturni, angosce ed ululati, Curon funziona molto meglio nella costruzione del mistero che nella dinamiche adolescenziali, e ciò è un bene sia per l’aderenza al genere di riferimento che per le aspettative del pubblico verso il mistery drama di qualità.
Il brivido a freddo diventa marchio distintivo della prima parte della serie, le cui campane gettano tristi presagi sui malcapitati che le sentono suonare fondendo con creatività e brillantezza storia reale e mitologia di finzione in una narrazione horror che si fa apprezzare per la riscoperta del genere nel panorama della serialità italiana, seppur ossequioso di alcuni cliché sul fascino del male e sulle dinamiche slasher che qui appaiono un po’ forzate, distraendoci dall’arco narrativo principale dedicato alla famiglia Raina.
Molto bene Luca Lionello nelle vesti di Thomas, padre famiglia dei Raina, colpevoli di aver rovinato l’esistenza di Curon già una volta e, tra leggende di vicende terribili, sparizioni, morti violente e suicidi, accusati di aver scatenato una maledizione sul paese e sul suo lago le cui acque si placheranno soltanto quando l’ultimo dei Raina scomparirà.
Si dice che in certe sere si sentono le campane suonare.
E chi le sente poi muore.
(Curon)
Il reiterarsi di alcune dinamiche poco convincenti riguardanti le apparizioni e le azioni dei villain della serie indebolisce un po’ la seconda parte della narrazione intaccando in qualche misura anche il soggetto principale, ossia il lignaggio dei Raina e il loro legame indissolubile con le visioni e le ombre di Curon che forse avrebbe meritato l’esclusiva su determinate soluzioni narrative.
Rimangono inoltre avvolti nel mistero le origini della maledizione di Curon, le cause per le quali essa è da imputare alla famiglia Raina, la natura del male che si sprigiona nel paese sommerso ed il riferimento costante seppur mai chiarito ai lupi che popolano i boschi intorno al lago… Materiale più che sufficiente per la prossima stagione.
L’incubo vissuto da Anna, interpretata dalla convincente Valeria Bilello, mantiene comunque alta la tensione del racconto rappresentando la lotta tra la parte visibile e la parte nascosta che risiedono in tutti noi, in un serial paranormale a tinte horror che ha il coraggio di osare aprendo a nuovi orizzonti per la serialità italiana e misurandosi a livello internazionale con le migliori produzioni di genere distribuite da Netflix che ha creduto e puntato fortemente sul lavoro di Ezio Abbate, Ivano Fachin, Giovanni Galassi e Tommaso Matano per offrire al pubblico italiano un prodotto più familiare e vicino al nostro territorio, eppure parimenti in grado di soddisfare le aspettative e le esigenze della sua smaliziata utenza.