Shorta recensione film di Frederik Louis Hviid e Anders Ølholm con Jacob Lohmann, Simon Sears, Tarek Zayat, Özlem Saglanmak e Arian Kashef
Shorta è l’interessante lungometraggio di esordio dei danesi Anders Ølholm e Frederik Louis Hviid. Nonostante gli episodi dell’eccessiva forza da parte della polizia unita alla tensione razziale siano tragicamente noti, i registi riescono a plasmare una vicenda che guarda all’attualità per sviscerare temi universali, ponendo lo spettatore di fronte ad alcuni interrogativi circa il razzismo sistemico e la condizione umana.
Nell’odierna società multiculturale della Danimarca, Talib Ben Hassi (Jack Pedersen) è un immigrato di seconda generazione, che finisce in ospedale dopo essere stato fermato in modo violento dalla polizia. Il silenzioso agente Jens Høyer (Simon Sears) è combattuto tra il dire la verità sui fatti o coprire i suoi colleghi mentre esce di pattuglia con Mike Andersen (Jacob Lohmann), poliziotto violento e xenofobo.
Mentre gli agenti perlustrano Svalegarden, quartiere a maggioranza araba, viene annunciata la morte di Talib. L’episodio scatena agitazione e violente rivolte nel quartiere. I due poliziotti si trovano così in una trappola, un inferno senza uscita. Lasciare quel ghetto non sarà affatto facile. Messi alle strette da gruppi di giovani pieni di rabbia e indignazione, iniziano una corsa contro il tempo. Un poliziotto buono ed uno cattivo che, oltre il cliché, cercano in tutti i modi di salvare la pelle.
Shorta ricorda le atmosfere de L’odio, Antidisturbios e Les Miserables con i quali ha diversi punti in comune. I francesi potranno essere superiori nella potenza visiva ma anche i nordeuropei si distinguono per prospettiva e capacità di mantenere la tensione costante.
Il film affronta il tema centrale del razzismo riuscendo a far meditare lo spettatore su diversi punti di vista: le famiglie, il mutuo soccorso, i sogni, la speranza di un futuro migliore in un paese straniero.
Ricorda, e non potrebbe essere altrimenti, che siamo tutti essere umani e in qualunque momento potremmo aver bisogno dell’aiuto di una persona di qualsiasi razza mettendo da parte i pregiudizi. Ma soprattutto pone una domanda scomoda, fino a che punto si dovrebbe chiudere un occhio di fronte agli errori della polizia?
Quando sembra che il film stia andando per il verso giusto, un colpo di scena ricorda che la realtà non può essere semplificata.
L’interpretazione di tutti gli attori è impressionante, riescono a rendere umani personaggi diversi e complessi. Persone che commettono errori, vittime della rabbia. Che si tratti di Danimarca, Francia, Italia o di un altro paese, la stessa storia si ripete più e più volte in tutta Europa e nel mondo. Una storia sociale che dovrebbe porre interrogativi ad una società logorata da tensioni e razzismo da sempre presenti.
Shorta (in arabo “polizia”/”sbirri”) offre una storia densa e di poca pietà. Sassi e bottiglie volano nell’aria, gli scontri a fuoco e quelli corpo a corpo sono violenti e numerosi. Ma anche un ghetto di cemento ha il suo gruppo di bravi ragazzi. Compaiono silenziosi in scene quasi poetiche per aiutare sconosciuti e offrire un raggio di luce in un tunnel buio che sembra infinito.
Jens e Mike commettono atti crudeli per il loro lavoro e per la sopravvivenza. Li accompagniamo in questo viaggio. Forse è proprio questo rapporto conflittuale con i protagonisti ciò che rende il film interessante.