Rifkin's Festival

Rifkin’s Festival recensione film di Woody Allen [Anteprima]

Rifkin’s Festival recensione film di Woody Allen con Wallace Shawn, Gina Gershon, Louis Garrel, Elena Anaya, Sergi López e Christoph Waltz

Più volte rimandato nell’uscita in sala in Italia a causa del Coronavirus, il 6 maggio arriva finalmente al cinema Rifkin’s Festival, cinquantesimo film di Woody Allen e sua quarta collaborazione consecutiva con il direttore della fotografia tre volte premio Oscar Vittorio Storaro. Come suggerito sin dal titolo, il film è ambientato a San Sebastián durante i giorni della celebre kermesse cinematografica che si svolge nella città spagnola ogni anno a settembre, e nella cui ultima edizione il film è stato presentato.

Protagonista è Mort Rifkin, un professore di cinema sui sessant’anni di origini ebraiche e con vagheggiate velleità letterarie, convinto controvoglia a tornare al festival da sua moglie, addetta all’ufficio stampa di un giovane regista di grido parigino: durante i giorni del festival, cresce in Mort il sospetto che tra la moglie e il registino ci sia una storia, e lui stesso inizia a frequentare una avvenente dottoressa del posto, Jo Royas, sposata a sua volta con un egocentrico e fedifrago pittore spagnolo.

Rifkin’s Festival recensione film di Woody Allen
Wallace Shawn, Gina Gershon e Louis Garrel (Credits: Vision Distribution/Wildside)
Rifkin’s Festival recensione film di Woody Allen
Gina Gershon (Credits: Vision Distribution/Wildside)

Girato nella vera San Sebastián nel corso dell’estate 2019, Rifkin’s Festival è il primo film di Allen ad essere prodotto e distribuito dopo il suo chiacchierato licenziamento da parte di Amazon Studios a seguito del riemergere delle accuse di molestie sessuali da parte della figlia adottiva: è ancora in dubbio se Rifkin’s Festival sarà distribuito negli States, e la co-produzione internazionale che ha reso possibile il film era per due terzi europea, con un importante apporto italiano da parte di Wildside e di Sky. Anche per questo motivo Allen non ha potuto disporre del cast corale hollywoodiano che aveva contraddistinto le sue ultime opere, ma si è affidato ad interpreti europei di minor fama ma uguale bravura fra cui spiccano il protagonista Wallace Shawn, Louis Garrel, più in parte del solito, nei panni del giovane regista à la page, e un breve cameo di Christoph Waltz in un’irresistibile parodia della Morte de Il settimo sigillo di Bergman che stavolta raccomanda al protagonista di “non dimenticare la colonscopia“.

Vittorio Storaro e Woody Allen
Vittorio Storaro e Woody Allen (Credits: Vision Distribution/Wildside)

Una positiva impressione si profila sin dai primi minuti del film, e si mantiene fino alla fine: Rifkin’s Festival è il miglior film di Woody Allen da diversi anni a questa parte, almeno dai tempi di Irrational Man con Joaquin Phoenix ed Emma Stone. Suoi film più recenti come il drammatico La ruota delle meraviglie e il più leggero Un giorno di pioggia a New York erano caratterizzati da un certo squilibrio tra la marcata preziosità della fotografia e l’equilibrio narrativo delle sceneggiature, sospese fra momenti di puro genio e passaggi decisamente più forzati e fiacchi. Rifkin’s Festival è più equilibrato da entrambi i punti di vista: si avverte pienamente dietro la macchina da presa la presenza di un maestro assoluto come Vittorio Storaro, ma, considerando anche come una parte preponderante del film si svolga in esterni o comunque in pieno giorno, non c’è nessun eccesso di zelo o barocchismo; la sceneggiatura è organica, compatta e drammaturgicamente molto precisa, contraddistinta da una leggerezza senile che nei film precedenti Allen non sembrava ancora pienamente aver messo a fuoco. Gli attori sono tutti bravi, l’ambientazione è una goduria alla vista e le musiche, forse un po’ troppo presenti, sono piacevoli e calibratamente leggere: il film non aggiunge un nuovo capolavoro alla filmografia di Allen, ma senz’altro è una magnifica fantasia di evasione.

Elena Anaya e Wallace Shawn
Elena Anaya e Wallace Shawn (Credits: Vision Distribution/Wildside)

Il punto di maggiore forza di Rifkin’s Festival è senza dubbio la sua cinefilia. Già altre volte Allen aveva affrontato svariate declinazioni del metacinema, mettendosi in gioco in prima persona anche come attore nei panni di un regista cieco in Hollywood Ending, e in generale tutti i suoi film erano puntellati da citazioni di altri film, soprattutto del grande cinema europeo del Novecento. Nel suo assommare le citazioni e portarle, anche grazie all’ambientazione festivaliera, a un piacevole parossismo, Rifkin’s Festival rappresenta in un certo senso un film “testamentario”, nell’unico modo in cui Woody Allen avrebbe potuto fare un film di questo tipo: una carrellata spensierata, con sporadiche inquietudini esistenzialiste, del cinema che l’ha influenzato e nutrito. Particolarmente suggestive sono, da questo punto di vista, le sequenze oniriche o immaginifiche in bianco e nero in cui il protagonista Mort si reimmagina all’interno di grandi film del passato assieme ad altri personaggi del film o a figure della sua infanzia: si va da Quarto potere a 8 e 1/2, dal bergmaniano Persona al bunueliano L’angelo sterminatore, passando per la Nouvelle Vague di Jules e Jim e Fino all’ultimo respiro. Nettamente predominante, in questa successione di titoli, è il cinema europeo degli anni sessanta in cui Woody Allen si stava formando come stand-up comedian e come regista, ma del resto lo stesso Rifkin si fa dire da Jo, momentaneamente trasfiguratasi nel personaggio che era di Liv Ullmann in Persona, che “il suo solo peccato” era quello di “amare troppo i film sottotitolati“.

Elena Anaya
Elena Anaya (Credits: Vision Distribution/Wildside)
Louis Garrel e Woody Allen
Louis Garrel e Woody Allen (Credits: Vision Distribution/Wildside)

Solo Woody Allen – solo il duo Allen-Storaro – avrebbe potuto concedersi una tale carrellata di rifacimenti, omaggi e scimmiottamenti, ma sicuramente queste sequenze cinefil-oniriche sono quelle più inventive e che restano più impresse del film: e, se è vero che come ricordato in una battuta della moglie di Mort “il cinema è un sogno in celluloide“, tutto Rifkin’s Festival si muove in un’atmosfera piacevolmente sognante e marina.

In attesa che Woody Allen inizi a girare il suo già confermato cinquantunesimo film, Rifkin’s Festival è uno dei titoli più adatti con cui celebrare il ritorno in sala, un omaggio sentito al cinema che ci ha preceduti e accompagnati e al tempo stesso un’invenzione originale di nuovi codici, di nuove giunture.

Rifkin’s Festival recensione film di Woody Allen
Louis Garrel (Credits: Vision Distribution/Wildside)

Sintesi

Magnifica fantasia di evasione cinefila e miglior film di Woody Allen dai tempi di Irrational Man, Rifkin's Festival è uno dei titoli più adatti con cui celebrare il ritorno in sala, un omaggio sentito al cinema che ci ha preceduti e accompagnati e al tempo stesso un'invenzione originale di nuovi codici e di nuove giunture.

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