Only Murders in the Building recensione serie TV Disney+ di Steve Martin, Dan Fogelman e John Hoffman con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez, Aaron Dominguez, Amy Ryan e Tina Fey
Only Murders in the Building è una serie crime comedy che ha debuttato su Hulu ed è poi arrivata su Star, sezione della piattaforma streaming Disney+. Ideata da Steve Martin e Martin Short – qui nelle vesti anche di due dei protagonisti – insieme con lo sceneggiatore di Grace and Frankie John Hoffman, la serie racconta di un caso di omicidio avvenuto nel lussuoso palazzo newyorkese chiamato l’Arconia. A indagare su quello che apparentemente sembra solo un suicidio ci sono tre personaggi davvero particolari.
Only Murders in the Building: la trama
Quando all’Arconia il corpo dello scontroso Tim Kono (Julian Cihi) viene ritrovato senza vita, Charles Haden Savage (Steve Martin), Oliver Putnam (Martin Short) e Mabel Mora (Selena Gomez) che avevano visto l’uomo in ascensore poco prima della sua morte, non riescono ad accettare che si tratti di suicidio e iniziano a indagare. Per documentare ogni indizio e scoperta, decidono di registrare tutto e a Oliver viene in mente un’idea geniale: da veri appassionati di True Crime e avendo tra le mani un vero caso di omicidio, il passo successivo non può che essere quello di dar voce a un podcast.
Così, in un sofisticato gioco metanarrativo, la serie e il podcast che i protagonisti stanno registrando si intrecciano, tanto che il titolo di ogni episodio corrisponde al titolo della puntata registrata.
New York e un trio di personaggi unici
Ma cosa rende così piacevole Only Murders in the Building? Innanzitutto, l’ambientazione: New York è da sempre al centro di pellicole, corti, serie tv e l’abbiamo vista ritratta in molteplici modi, è probabilmente la città più filmata al mondo: perché è la città in cui i sogni si realizzano, è l’emblema vivente dell’American Dream, in cui convivono anime diverse, ricche di sfumature. La serie riesce a catturare le contraddizioni della città in cui ambienta le vicende e le declina attraverso i suoi personaggi: Charles è un ex star della tv, divenuto celebre per il ruolo di Brazos, una sorta di Chuck Norris anni ’70 e che dopo il periodo d’oro in tv si è ritirato in un appartamento in solitudine, misantropo e cinico. Oliver invece è un regista squattrinato di Broadway, eccentrico e ascoltandolo si percepisce chiaramente la frenesia di Broadway, di chi sogna in grande e altrettanto in grande fallisce, ma Oliver, pur squattrinato e indebitato, non ha ancora intenzione di rinunciare ai suoi progetti e con il podcast sembra riacquistare una nuova energia. Mabel è una Millennial ironica e spigliata, al passo con i tempi rispetto ai suoi comprimari decisamente più attempati. Vive in un appartamento da ristrutturare per conto della zia ed è una ragazza molto solitaria.
Inoltre, il rapporto tra Charles, Oliver e Mabel è esente da sessismo e paternalismo: i tre si ascoltano e si supportano a vicenda, compensando le rispettive mancanze, in un rapporto egualitario. I personaggi, comparse comprese, sono perfettamente tratteggiati, dall’abbigliamento all’arredamento della casa, passando anche per il modo di esprimersi e di raccontare le vicende, switchando il punto di vista e stile della narrazione. Basti pensare all’episodio 5, narrato dalla detective Williams (Da’Vine Joy Randolph), poliziotta nera e queer, felicemente sposata e in attesa di un figlio con la sua compagna e che ci mostra la difficile situazione del crimine newyorkese. A ciò aggiungiamo anche che l’episodio 7 viene raccontato quasi interamente dal punto di vista di un personaggio con una disabilità uditiva, l’attore sordo James Caverly e, a eccezione della colonna sonora, l’intero episodio è una puntata non verbale, che vede l’impiego della lingua dei segni e che ci permette di seguire lo sviluppo delle vicende da un punto di vista inedito.
Only Murders in the Building riutilizza, inoltre, sapientemente tutti i cliché del genere giallo, dimostrando di conoscere a fondo i meccanismi che regolano le murder mistery series, senza però che questo intacchi la freschezza della serie.
Anche i dialoghi sono estremamente curati e rimandano in molti casi alla commedia sofisticata della Old Hollywood. Merito di tutto ciò è sicuramente della sceneggiatura di Steve Martin, ritornato in tv dopo il suo ritiro dalle scene nel 2013. Oltre ai dialoghi brillanti e alla costruzione minuziosa del caso (a proposito, tenete d’occhio le mensole degli appartamenti dei vari inquilini, si nascondono indizi importanti!) Only Murders in the Building porta in scena personaggi non più nel fiore degli anni, ma che non per questo hanno perso la voglia di vivere nuove avventure: una rappresentazione che non risente di patetismi, ma è anzi realistica e veritiera.
Only Murders in the Building si è rivelata una piacevole sorpresa, un prodotto raffinato e curato, già rinnovato per una seconda stagione.