Nicola Pecorini: intervista al direttore della fotografia di Terry Gilliam [degenere]

Nicola Pecorini: intervista al direttore della fotografia di Terry Gilliam da Paura e delirio a Las Vegas a L’uomo che uccise Don Chisciotte, amico fraterno di Heath Ledger e DOP per William Friedkin e Paolo Virzì

Nicola Pecorini (Milano, 1957) è un direttore della fotografia italiano che ha lavorato prevalentemente negli Stati Uniti. Nipote di Fedele Toscani, è stato tra i primi operatori Steadicam al mondo, venendo chiamato su molti set in Italia, in America e in tutto il mondo. A metà degli anni novanta esordisce alla fotografia. Dal 1998 di Paura e delirio a Las Vegas fino al 2018 de L’uomo che uccise Don Chisciotte, Pecorini è stato il direttore della fotografia “fisso” del regista di culto Terry Gilliam, fotografando, tra gli altri, anche Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo, l’ultimo film di Heath Ledger. Tra gli altri film che Pecorini ha fotografato si ricordano Regole d’onore del premio Oscar William Friedkin, La setta dei dannati di Brian Helgeland sempre con Heath Ledger, Tutta la vita davanti e La prima cosa bella di Paolo Virzì, Incompresa di Asia Argento e La Befana vien di notte di Michele Soavi.

Qual è stato l’inizio del tuo percorso all’interno del mondo del cinema?

Nicola Pecorini: Io ho iniziato a lavorare come operatore di camera a mano per la televisione svizzera, dove in quel momento abitavo: facevo documentari, notiziari regionali e da un certo punto in poi anche reportage internazionali. Si trattava di lavori girati in 16mm, dei classici prodotti televisivi. Dopo aver iniziato come gavetta con le partite di serie B delle squadre svizzere, avevo iniziato ad andare in giro per il mondo; mi sentivo però sempre frustrato dalla mancanza di mezzi per fare movimenti di macchina a dovere. A un certo punto, durante una vacanza negli Stati Uniti, ho conosciuto la Steadicam, che allora era stata appena inventata da Garrett Brown, e me ne sono innamorato perché ti permetteva di muovere la macchina senza carrelli e macchinisti. Era perfetta per girare da solo, come facevo io. Ho comprato subito la Steadicam e, per ragioni di mercato, mi sono dovuto convertire dalla televisione al cinema, dove la Steadicam stava iniziando a diffondersi sulla scia del successo di film come Rocky e Shining.

Nicola Pecorini: intervista al direttore della fotografia di Terry Gilliam
Terry Gilliam e Nicola Pecorini (Credits: IMDb)
Una volta adottata la Steadicam come è cambiato il tuo percorso?

Nicola Pecorini: Dopo aver acquistato la Steadicam negli USA tornai in Italia e andai a Roma a farla conoscere: era un oggetto completamente sconosciuto da noi a quei tempi. Nei primi mesi mi domandavo se non avessi fatto il peggior investimento della mia vita, dal momento che tutte le persone a cui mostravo la Steadicam dicevano che era molto interessante ma nessuno mi chiamava, poi di colpo ho iniziato a lavorare e ho fatto sedici anni no-stop come Steadicam operator, passando da un set all’altro e riuscendo raramente a seguire un film dall’inizio alla fine: noi operatori Steadicam veniamo chiamati per scene specifiche, quindi è raro che possiamo assistere alle riprese di un intero film. Questi sedici anni come operatore di Steadicam hanno rappresentato una bella scuola per me: ho potuto lavorare con moltissime persone diverse e, vedendo all’opera registi bravi o meno bravi e direttori della fotografia bravi o meno bravi, ho potuto apprendere un’infinità di nozioni su tutto ciò che circonda la macchina da presa e l’illuminazione del set. Devo dire che impari più dai meno bravi, capisci subito le caxxate che non devi fare! È più facile capire un errore che il segreto di una cosa fatta bene.

Su quali set hai lavorato come operatore Steadicam e accanto a quali direttori della fotografia e registi?

Nicola Pecorini: Io ho avuto la fortuna di lavorare molto sia all’estero, spesso a Hollywood, che anche e soprattutto con i grandi maestri italiani. Con Bernardo Bertolucci ho fatto quattro film fotografati da Vittorio Storaro, ma ho lavorato anche al fianco di Giuseppe Rotunno e Beppe Lanci, Luigi Kuveiller, Blasco Giurato, Ennio Guarnieri e di tutti i maestri della fotografia italiani di fine Novecento. Altri registi italiani con cui ho lavorato sono stati Dario Argento, Marco Bellocchio, Mauro Bolognini, Giuliano Montaldo, Luigi Magni, Florestano Vancini. L’unico che mi dispiace non aver mai incrociato su un set, ma solo in occasioni conviviali, è stato Sergio Leone, ma ho avuto la fortuna di lavorare tanto e bene con Tonino Delli Colli, che era il suo cinematographer abituale e che per me è stato uno dei più grandi di tutti i tempi: con lui però non imparavi nulla tecnicamente, era tutto istinto, manco ci pensava alla tecnica.

Nicola Pecorini: intervista al direttore della fotografia di Terry Gilliam
Nicola Pecorini e Terry Gilliam (Credits: Lucca Film Festival)
Nel 1988 hai co-fondato assieme allo stesso Garrett Brown la Steadicam Operators Association: come vi venne l’idea e quali erano gli scopi dell’associazione?

Nicola Pecorini: È nato tutto così: un giorno ero a casa di Garrett, e lui aveva da poco comprato un nuovo Mac, uno di quelli con lo schermo verticale. Ai tempi la Steadicam era un oggetto abbastanza sconosciuto anche in America, c’erano pochi strumenti e accessori compatibili con quel supporto, e ancor meno erano i tecnici che li sapessero usare in maniera appropriata. Siccome quel giorno ci stavamo divertendo a usare il Mac e a scoprire quello che quel computer poteva fare, ci venne spontaneo pensare: “Facciamo un database di tutti gli operatori che conosciamo, che sono venuti ai workshop”. Da quattro anni Garrett ed io organizzavamo quattro o cinque workshop all’anno per presentare la Steadicam e spiegarne il meccanismo e le funzionalità, con ventiquattro studenti a workshop. Di questi ventiquattro di solito c’erano cinque o sei che capivano bene il funzionamento dello strumento, e che proseguivano nel mestiere. Noi avevamo conservato le liste, e le inserimmo nel database del computer: nacque semplicemente così la nostra Steadicam Operators Association. A quei tempi soprattutto gli accessori erano molto particolari e fuori mercato: la stragrande maggioranza dei “fuochi a distanza” erano fatti in casa, non potevi andare in un rental a comprarne uno. Serviva scambiare in continuazione informazioni e materiali tra noi pochi operatori di Steadicam che eravamo attivi ai tempi; e, inoltre, siccome eravamo pochi e ricevevamo tante proposte di lavoro, non potendo dire di sì a tutte sarebbe stato utile avere un database di persone referenziate: per questi due motivi Garrett ed io abbiamo fondato l’associazione, anche se io personalmente non sono mai figurato come iscritto. Sono un marxiano, non perché credo nelle teorie di Karl Marx ma perché credo nelle massime di Groucho Marx: “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me!”

Come e quando sei passato dall’essere operatore di Steadicam all’essere direttore della fotografia tout court?

Nicola Pecorini: Col tempo, lavorando come operatore di Steadicam, inizi a stabilire anche rapporti più duraturi con un regista o un direttore della fotografia, e inizi a fare un film dalla A alla Z stando sempre in macchina: e fu così che nel 1995, quando mi ero da poco trasferito stabilmente negli Stati Uniti per ragioni sentimentali, il regista Thomas Schlamme di cui ero amico, mi propose di fotografare una serie televisiva che stava per girare lì a Los Angeles. La serie si chiamava Tracey Takes On e vedeva come protagonista assoluta la comica Tracey Ullman, caratterista inglese trapiantata in America, una donna veramente geniale, una Serena Dandini all’ennesima potenza che sapeva interpretare uno dopo l’altro una serie di personaggi con accenti diversi. Dopo Tracey Takes On feci un ultimo film come operatore di macchina, ma quando accumuli tanta esperienza in un lavoro come quello di operatore, francamente ti capita di lavorare agli ordini di direttori della fotografia che hanno molta meno esperienza di te: ti trovi ad aiutarli, paradossalmente, risolvi al posto loro problematiche di luce in cui dovrebbero cavarsela da soli, e, trovandomi sempre più spesso in questa situazione, ho deciso di fare direttamente io la fotografia. Hai più responsabilità, ma anche più controllo.

Johnny Depp in Paura e delirio a Las Vegas
Johnny Depp in Paura e delirio a Las Vegas
Come proseguì allora la tua carriera da direttore della fotografia, e quando hai conosciuto Terry Gilliam?

Nicola Pecorini: Il primo film che ho girato come direttore della fotografia fu un indie a bassissimo budget, Rhinoceros Hunting in Budapest, diretto da Michael Haussman, che avevo conosciuto sui set di alcuni videoclip. Quel film è andato al Sundance e per una serie fortunata di incastri lì al festival ha attirato l’attenzione di un agente americano, laddove fino a quel momento non avevo avuto alcuna rappresentanza. Ad aprile 1997, attraverso l’agente, fui chiamato da Jeremy Thomas, che io conoscevo come produttore di Bernardo Bertolucci, che aveva bisogno urgente di un direttore della fotografia per finire le riprese di un film diretto da Johnny Depp, Il coraggioso, perché il direttore della fotografia, Vilko Filac, che era un collaboratore storico di Emir Kusturica, non so per quale ragione doveva abbandonare il set. Visto che già ci conoscevamo Jeremy mi propose con grande semplicità: “Domani mattina alle 8 potresti essere qui sul set? Ci sono scene con Johnny Depp e Marlon Brando, dobbiamo finirle”. Fu un’occasione unica e bellissima, superfluo dirlo. Lavorai un paio di settimane per terminare le riprese del film, e così divenni amico di Johnny. Di nuovo, caso volle che in quei giorni lui si stava preparando a girare Paura e delirio a Las Vegas con Alex Cox come regista. Alex Cox, non ho mai capito perché, litigò con tutti, dal cast ai produttori, l’hanno cacciato e hanno chiamato all’ultimo momento Terry Gilliam a fare il film.

In quale momento della produzione eri stato coinvolto nel film, e cosa cambiò nel film Paura e delirio a Las Vegas quando la regia è passata da Cox a Gilliam?

Nicola Pecorini: I produttori stavano facendo di tutto per girare il film il prima possibile, perché avevano una sorta di spada di Damocle pronta ad abbattersi su di loro: quel matto di Hunter S. Thompson aveva venduto i diritti del libro a più di una casa di produzione, e la donna che materialmente li deteneva li avrebbe persi se le riprese non fossero iniziate entro un certo giorno dell’agosto ’97. Terry riscrisse completamente la sceneggiatura insieme a Tony Grisoni, venne immediatamente da Londra per prepararsi a girarlo, ma in quel momento il suo usuale DOP Roger Pratt non era disponibile, perché stava girando un Harry Potter con budget pazzeschi e contratti blindati, e non poteva unirsi a questo film improvviso. Terry era allora alla ricerca di un nuovo direttore della fotografia e, anche se molti volevano lavorare con lui, per qualche strano motivo si era impuntato sul mio nome: un fattore determinante fu che essendo arrivato all’ultimo su un progetto già mezzo apparecchiato ci teneva a scegliere lui personalmente il direttore della fotografia e a non lasciare troppo spazio in questo alla produzione che fu convinta dal fatto che, prosaicamente, io costavo molto meno degli altri.

Johnny Depp in Paura e delirio a Las Vegas
Johnny Depp in Paura e delirio a Las Vegas
Come ti trovasti a collaborare con Terry Gilliam sul set del vostro primo film insieme?

Nicola Pecorini: Terry girò Paura e delirio a Las Vegas con 17 milioni di dollari di budget e ci trovammo molto bene a lavorare assieme: diventammo amici, e così proseguì la nostra collaborazione. Terry mi chiamò poco dopo per il primo Don Chisciotte, la versione poi naufragata del 2000; nel 2003 lavorammo insieme a I fratelli Grimm e l’incantevole strega ma dovemmo affrontare un’infinità di problemi durante e dopo le riprese a causa dei fratelli Weinstein, che erano i produttori del film; nel 2004 abbiamo fatto Tideland ma, siccome nel frattempo i Weinstein continuavano a tentare di rigirare e rimontare I fratelli Grimm in assenza di Terry, è finita che I fratelli Grimm e Tideland sono usciti quasi contemporaneamente a fine 2005; e poi siamo andati avanti con Parnassus, The Zero Theorem e il “vero” Don Quixote, L’uomo che uccise Don Chisciotte, oltre che con The Wholly Family, un corto del 2011 promosso da Pasta Garofalo e girato a Napoli. Con Terry siamo rimasti molto amici e ogni volta che c’è un progetto mi manda il copione; 9 su 10 non se ne fa nulla, ma lo sappiamo. Ho letto tantissimi copioni, a volte anche molto belli, ma mai successo. Terry ha una capacità incredibile nel fidarsi delle persone sbagliate.

Mettendo da parte il Don Chisciotte mai finito del 2000, il tuo secondo film con Terry Gilliam fu I fratelli Grimm e l’incantevole strega, con Matt Damon e Heath Ledger; come accennavi, di quel film è rimasto noto lo scontro tuo e di Terry Gilliam con i fratelli Weinstein, produttori del film, che di fatto portò al tuo allontanamento a metà riprese. Innanzitutto, come era nato il progetto?

Nicola Pecorini: La MGM aveva chiamato Charles Roven, che era stato il produttore de L’esercito delle 12 scimmie, presentandogli la sceneggiatura de I fratelli Grimm e l’incantevole strega e dicendogli “vorremmo che tu gestissi questo progetto e che portassi a bordo Terry Gilliam; però devi trovare la metà del budget, l’altra la mettiamo noi”, per un totale, se non ricordo male, di 80 milioni di dollari. Roven ha chiamato Terry e Terry ha subito accettato il film. All’inizio voleva avere Heath Ledger e Johnny Depp nei panni dei due fratelli Grimm, ma siccome per alcuni suoi trascorsi burrascosi Johnny non poteva tornare a Praga dove era previsto che girassimo, alla fine venne Matt Damon. Quando Charles è andato alla MGM per dire “ho tutto il pacchetto pronto, Gilliam in regia, Damon e Ledger nel cast e i soldi di Summit Entertainment a colmare il budget”, gli stessi che poi avrebbero fatto Twilight per intenderci, MGM di colpo rinunciò al progetto. Charles si trovava quindi a corto di quaranta milioni ma, siccome era sicuramente molto persuasivo come produttore, nel giro di poche ore riuscì a coinvolgere i fratelli Weinstein e a convincerli a fare quell’investimento. Non appena si sparse la voce che i Weinstein si erano interessati al progetto, MGM è tornata bruscamente sui suoi passi e ha accettato di co-finanziare il film, e alla fine chi si è trovata bruscamente esclusa è stata la Summit.

I fratelli Grimm e l’incantevole strega
I fratelli Grimm e l’incantevole strega
Quando le tensioni tra i Weinstein e Gilliam iniziarono a far vacillare il progetto?

Nicola Pecorini: I Weinstein, per quanto assurdo sembrasse, non conoscevano il lavoro di Terry Gilliam. Noi eravamo alla prima settimana riprese e un giorno uno dei produttori esecutivi, uno dei loro tirapiedi quindi, venne e mi disse: “Sono molto contento oggi perché ieri Bob ha guardato i film di Gilliam”. “Come, non li aveva mai visti?”, feci io. “No, non li conosceva”. Dio santo. “Quali ha guardato?”, chiesi. “Le avventure del barone di Munchausen e Brazil”, disse quello. “Gli sono piaciuti?”. “No!”. Lo scontro tra Terry e i Weinstein è iniziato subito, superfluo dirlo. Quando eravamo già andati a Praga a fare i primi sopralluoghi ma eravamo stati rimandati a casa all’improvviso dopo che la MGM si era momentaneamente sfilata dal progetto, io ero tornato a Los Angeles e Terry era tornato a Londra; siccome grazie a Charles Roven nel tempo di tre giorni il film era di nuovo in piedi, Terry era corso a Los Angeles per incontrare i Weinstein. Doveva arrivare un giovedì e ripartire il pomeriggio del venerdì dopo. Quando inizi a lavorare con due personaggi così è un testa a testa dall’inizio, è inevitabile. Harvey e Bob Weinstein volevano un film romantico, e si erano incaponiti nel dirgli che volevano scena alla Butch Cassidy and the Sundance Kid, quando Paul Newman porta Katharine Ross in bicicletta: loro volevano per forza quella scena ne I fratelli Grimm e l’incantevole strega, che era nato per essere un film di paura, di favole agghiaccianti per i ragazzini, il copione originale scritto da un maestro dell’horror come Ehren Kruger che si era fatto conoscere con The Ring.

Come avevi iniziato il tuo lavoro su I fratelli Grimm, e perché ti trovasti ad essere licenziato dai Weinstein?

Nicola Pecorini: Siccome i due fratelli Weinstein facevano un braccio di ferro con Terry per tutto il tempo, a un certo punto decisero di iniziare a tagliargli l’erba sotto i piedi. Già avevano iniziato imponendogli l’attrice co-protagonista, e al posto di Samantha Morton che era la scelta di Terry ci eravamo ritrovati con Lena Headey: ma nel giro di poche settimane di riprese Terry e i Weinstein si erano scontrati così tante volte che avevano finito per non parlarsi più. Un giorno che vennero a vedere i giornalieri Terry mandò da solo me da loro, pur di non incontrarli. Capita l’antifona, i Weinstein hanno deciso che dovevano togliere quanti più alleati possibili a Terry Gilliam: il primo alleato ero io e alla settima settimana di riprese mi hanno cacciato bruscamente.

L'uomo che uccise Don Chisciotte
L’uomo che uccise Don Chisciotte
Hai visto il film finito? Quanto pensi che le pressioni dei Weinstein abbiano influito sul risultato finale?

Nicola Pecorini: Secondo me I fratelli Grimm e l’incantevole strega è un casino, come si dice qui in Italia non è né zuppa né pan bagnato: Terry dopo il mio licenziamento si è intestardito ancora più del solito, e ha girato in un modo che era univoco. Non potevi cambiare il montaggio, non potevi cambiare ciak scegliendo sfumature di interpretazione in cui lei era più sexy per soddisfare sbavature sessuali di Harvey Weinstein: take così Terry non le aveva proprio fatte, non c’erano. Quando Terry consegnò il suo montaggio loro hanno provato a togliergli il film dalle mani e hanno iniziato a far rigirare alcune scene ai loro fidati giannizzeri. Il film però era girato in un modo troppo personale per finire in mano ad altri, e alla fine l’hanno ridato a Terry, per scegliere le musiche, e io stesso sono andato a fare la color correction.

Come si concluse allora la post-produzione de I fratelli Grimm?

Nicola Pecorini: Quando abbiamo riavuto il film Terry ed io abbiamo cercato di fare del nostro meglio, ma di fatti I fratelli Grimm e l’incantevole strega era un film sul quale Terry si era incaponito talmente tanto che alla fine ha fatto male anche a lui non aver fatto scelte un po’ più flessibili al momento delle riprese: alla fine eravamo a corto del materiale necessario e questo, secondo me, un po’ si sente. Ci sono scene sublimi e altre scene invece venute male. Adesso il fatto che Harvey Weinstein sia dietro le sbarre è una delle maggiori gioie nella vita. Tutti sapevano che aveva quel comportamento rispetto alle donne, da anni, e chiaramente nessuno aveva mai detto nulla. Tutto quello che sta passando se lo merita al quadrato, perché ha rovinato tante carriere. Io stesso per cinque o sei anni, forse anche di più, ho avuto problemi a lavorare per il sistema degli Studios americani: mi chiamavano proponendomi progetti ma alla fine mi cassavano, perché, come alla fine mi rivelò un amico che lavorava alla Warner Bros., io stesso ero finito sulla famigerata Black List dei Weinstein.

Tideland di Terry Gilliam
Tideland di Terry Gilliam
Come ci dicevi prima durante la travagliata post-produzione de I fratelli Grimm tu girasti con Gilliam Tideland, un altro road movie per certi versi ancora più visionario e onirico di Paura e delirio a Las Vegas. Fotograficamente parlando, quali nuove sfide ti portò questo progetto, e in che modo furono realizzate, sul set o in post, le visioni fantastiche dell’orfana protagonista del film?

Nicola Pecorini: Tideland secondo me è uno dei film più magici che Terry abbia mai fatto, un film quarant’anni avanti. Quando è uscito ha fatto circa 45 centesimi in giro per il mondo, già adesso è stato rivalutato ma solo fra molti anni sarà capito davvero. Tideland prendeva spunto da un libro di Mitch Cullin. Cullin aveva scritto una lettera a Terry dicendogli che gli avrebbe fatto un immenso piacere ricevere qualche parola di introduzione da parte sua; Terry aveva letto il libro, se n’era innamorato, e il suo unico, stringato commento è stato un “fucking brilliant” messo poi anche in copertina. Dopo aver letto Tideland Terry ne ha tratto un copione insieme a Tony Grisoni, era uno di quei progetti che teneva “nel cassetto”. Dopo essere stato praticamente licenziato dai Weinstein per I fratelli Grimm, per una serie di circostanze favorevoli Jeremy Thomas e Gabriella Martinelli, una produttrice che è canadese nonostante il nome italiano, si trovavano esattamente con i fondi necessari per farlo – otto milioni, certo non una cifra folle. Siamo andati in Canada e lo abbiamo girato subito, “cotto e mangiato”. Sicuramente Tideland è stato il film con la preparazione più breve tra quelli che ho fatto con Terry, visto che di solito con lui giocoforza c’è molta preparazione. Venendo alla tua domanda sulle visioni della protagonista, Tideland è un film in cui il 95% di quello che uno potrebbe chiamare effetti visivi sono stati fatti in camera sul set, non c’è praticamente nulla creato digitalmente. L’unica eccezione sono state alcune case che si vedevano sullo sfondo e che sono state cancellate, ma non si è creato nulla digitalmente: tutto fatto vecchio stile, con practical effects sul set e trucchi ottici di ogni genere.

Il tuo quarto film con Gilliam fu Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo del 2009, rimasto tristemente celebre per essere l’ultimo film interpretato da Heath Ledger, morto durante le riprese. Cosa ricordi della presenza di Ledger sul set di Parnassus e del precedente I fratelli Grimm?

Nicola Pecorini: Heath era un fratello per me. Io lo avevo conosciuto a Roma, dove avevo girato La setta dei dannati, per la regia di Brian Helgeland, noto soprattutto come lo sceneggiatore premio Oscar di L.A. Confidential e di Mystic River. Conobbi Heath in quell’occasione e diventammo subito profondamente amici. Ero sempre impressionato dalla facilità e al tempo stesso dalla profondità di tutte le sue produzioni. Fui io a presentarlo a Terry, raccomandarglielo: “Questo tipo lo devi conoscere”. Eravamo a ridosso delle riprese de I fratelli Grimm, e Terry immediatamente si innamorò di Heath che ai tempi ancora non era famoso come poi diventato, seppure era già sulla cresta dell’onda. Terry ed Heath divennero a loro volta molto amici, tanto più che, quando Heath accettò di interpretare il Joker nel secondo Batman di Cristopher Nolan, visse quasi un anno a Londra e loro due si vedevano quasi tutti i giorni. Per Parnassus Heath fu sin da subito la scelta iniziale di Terry per il ruolo di Tony Shepherd; e, siccome nel frattempo era uscito I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee e ormai lui era diventato una star di prima categoria, la presenza di Heath nel cast era stata fondamentale per mettere insieme il budget, che all’inizio era sui 21 milioni.

Heath Ledger in Parnassus - L’uomo che voleva ingannare il diavolo
Heath Ledger in Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo
Come reagiste alla notizia della morte di Heath Ledger durante le riprese, e come fu possibile riprendere a lavorare al film con Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell a sostituire Ledger?

Nicola Pecorini: La morte improvvisa di Heath fu uno shock per tutti noi ma, nel dolore di quei giorni, quello che ci colpì sul set di Parnassus fu la commovente risposta di solidarietà del gruppo di amici all’interno del mondo del cinema. Matt Damon il giorno stesso della morte di Heath mandò un messaggio a Terry dicendo di essere devastato e “Fammi sapere se posso aiutarti”: ci fu una solidarietà immensa e abbastanza inaspettata, che, dopo un primo momento in cui sembrava che Terry non avrebbe finito il film, ci ha permesso di completarlo in un modo che omaggiasse Heath. Secondo me Parnassus alla fine ha saputo essere nonostante tutto un film sublime. La soluzione che è stata adottata per sopperire alla mancanza di Heath ha aggiunto degli ulteriori livelli di stratificazione al film, con il cambio di fisionomia del suo personaggio ad ogni “viaggio”: e ci tengo a dire che Johnny Depp, Colin Farrell e Jude Law, che vennero a sostituire Heath nei tre viaggi, innanzitutto hanno avuto un compenso di 250.000 dollari a testa, che per gli standard di Hollywood è molto basso, e hanno donato tutto al fondo per la figlia di Heath.

Parnassus aveva un budget sui 30 milioni di dollari, uno dei più alti della carriera di Gilliam, ed è stato realizzato con un ampio impiego di effetti speciali e visivi. A livello di fotografia ed effettistica, dove e come è stato possibile ricreare i tre mondi fantastici che il personaggio di Heath Ledger penetra “attraverso lo specchio”?

Nicola Pecorini: Se per Tideland siamo riusciti a girare praticamente tutto dal vivo sul set, nel caso di Parnassus c’è stata una commistione di varie tecniche. Tutto quello che c’era “al di là dello specchio” è stato girato in teatro, con una combinazione di elementi veri: ad esempio la foresta in cui lei scappa inseguita dall’ubriaco all’inizio del film è in realtà composta da cartonati su cui erano stati disegnati degli alberi, che avevano a loro volta alle loro spalle un fondale pitturato. Per quella scena si trattava di effetti speciali da anni trenta, insomma! Altre scene invece le abbiamo girate sul green screen per poi ricreare i mondi, che erano stati decisi e disegnati a tavolino prima, ispirandoci fondamentalmente ad artisti figurativi che Terry amava e conosceva. In Parnassus poi la maggior parte degli effetti li abbiamo realizzati con le miniature: di nuovo, un metodo fondamentalmente vecchio stile, un tempo magari si riprendeva una miniatura e si realizzava lo sfondo col “matte painting”, adesso si prende la miniatura e si fa il matte painting in digitale. Un esempio di miniatura è l’esterno del tempio nella scena in cui Heath arriva in mezzo alla tempesta: si trattava di una struttura alta tre metri e mezzo, creata da un geniaccio delle miniature che si chiama Leigh Took di Mattes & Miniatures che ai tempi aveva il teatro nei leggendari Bray Studios a Windsor. Il bar che salta in aria all’inizio del film, anche quello è una miniatura che salta in aria, girata con sei macchine da presa contemporaneamente. Anche la testa di Parnassus che esce dalla terra è in realtà una miniatura. Nel caso di Parnassus, se dovessi indicare una percentuale come ho fatto con Tideland, avevamo 60% miniature – 40% digitale: a Terry piace lavorare così, e anche a me. Con Terry si cerca sempre di lavorare “on camera”, come si dice, dal vivo, davanti all’obiettivo. Avevamo girato gli esterni a Londra a Natale, poi a Vancouver abbiamo fatto tutti i blue screen e altre scene, tra cui la scena finale alla Public Library con Parnassus che vede la figlia al ristorante con la famiglia. Terry ha iniziato a montare e poi, capito esattamente di quali altre inquadrature aveva bisogno, siamo stati quattro settimane a Londra nei Bray Studios a girare gli effetti con le miniature. Quello con le miniature è un lavoro di cesello, che a me piace moltissimo: non c’è nessuno che ti disturba, ci stai solo tu con l’elettricista e il miniaturista, mentre il problema del set è che a volte c’è davvero troppa gente.

Nicola Pecorini: intervista al direttore della fotografia di Terry Gilliam
Monica Bellucci e Heath Ledger in Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo
Il successivo The Zero Theorem, uscito nel 2013 e interpretato da Christoph Waltz, si svolgeva in un’ambientazione fantascientifica ancora più cupa e kafkiana di quella del cult di Gilliam Brazil del 1984. Fotograficamente come hai caratterizzato il futuro distopico in cui è ambientato il film, e come hai collaborato con lo scenografo David Warren e il costumista Carlo Poggioli nella scelta dei colori, delle location, degli abiti?

Nicola Pecorini: Per quanto riguarda la coordinazione tra i diversi reparti secondo me Terry ha un grande modo di lavorare: durante la preparazione lavoriamo tutti nello stesso corridoio, con le porte sempre aperte. Anche nel caso di The Zero Theorem durante la preparazione stavamo in uffici attigui Terry, lo scenografo, io, e Carlo Poggioli: ci scambiavamo le idee continuamente, in un modo totalmente naturale. Carlo tornava dal mercato con la tenda della doccia e chiedeva a me e a David “Ti piace? Ti piace?”. David Warren poi ha molto curato l’interno della chiesa dove abbiamo girato il 70% del film: il concetto iniziale è di Terry, il disegno architettonico è di Dave con suggerimenti di tutti noi. Lavorando così braccio a braccio è spontaneo scambiarsi idee e suggerimenti, anche solo banalmente chiedere allo scenografo di costruire una parete in un certo modo per agevolare i movimenti di macchina.

Come si sono poi svolte le riprese del film?

Nicola Pecorini: Abbiamo girato The Zero Theorem in trentasette giorni, che è pochissimo per un film di fantascienza di quella portata. A volte le scelte nascevano da necessità pratiche, da mancanze pratiche o di tempo o di soldi: ma quando devi trovare soluzioni che stiano nel budget, se sai rispettare lo spirito di quello che vuoi fare, spesso le ristrettezze economiche sono di grande aiuto, perché ti impediscono di fare voli pindarici più complicati e fini a se stessi di quello che serve. Anche per la scena della visita medica, da cui poi tutta la trama si sviluppa, abbiamo trovato un laboratorio in Romania dove testano che il materiale elettrico sia a norma: tutte le apparecchiature che si vedono stavano realmente lì, e noi l’unica cosa che abbiamo dovuto realizzare ex novo è stata la pedana illuminata con una specie di paravento intorno al protagonista. La scena è venuta bene, ma è stata fatta tutta in funzione della location, arrangiandoci con quello che avevamo lì: ma quella stanza ci piaceva, quindi non è stato affatto un problema.

Adam Driver e Jonathan Pryce in L'uomo che uccise Don Chisciotte
Adam Driver e Jonathan Pryce in L’uomo che uccise Don Chisciotte
L’uomo che uccise Don Chisciotte, al momento l’ultimo film di Terry Gilliam, è stato notoriamente uno dei progetti più travagliati della storia del cinema, al pari del precedente Don Chisciotte di Welles. Ci puoi spiegare come e perché, dal settembre 2000 quando le riprese del film partirono con Johnny Depp e Jean Rochefort protagonisti, il film è uscito solo nel 2018, con Adam Driver e Jonathan Pryce?

Nicola Pecorini: Don Chisciotte è nato nel 2000, con un tarlo iniziale che era la megalomania dei produttori francesi, che non avevano capito la complessità del progetto. Siamo stati colpiti da autentica sfortuna all’inizio delle riprese, tra nubifragi e malori dei protagonisti. Per mancanza di coraggio dei produttori francesi non si è fatto un vero sforzo per andare avanti, ma si sono concentrati sul non perdere soldi, il che vuol dire, nella pratica, scaricare tutto sull’assicurazione, tant’è che lo stesso copione del film è diventato di proprietà dell’assicurazione. Negli anni successivi Terry ha perso tanto tempo a recuperare il copione, cosa per la quale è stato essenziale Jeremy Thomas con grande dispiegamento di mezzi legali e finanziari. Dopo di che il film era sempre problematico, complicato, non si trovava mai la quadratura del cerchio a livello di cast e a livello di produttori. A un certo punto è entrato in scena il produttore Paulo Branco. Dopo un paio di mesi si è capito chiaramente che con lui non avremmo concluso nulla ma, con la forza della disperazione, anche grazie all’aiuto della sua agente spagnola, Terry è riuscito a far quadrare il cerchio e a finire il film, estromettendo Branco. I problemi però non sono finiti con l’ultimo ciak e anche durante la post-produzione finivano in continuazione i soldi.
All’inizio era previsto che L’uomo che uccise Don Chisciotte dovesse andare a Cannes ma, siccome era in corso un contenzioso legale, gli Amazon Studios, che avevano fatto l’offerta di comprare i diritti di distribuzione nel film negli Stati Uniti, si sono tirati indietro, facendo naufragare tutto il progetto di promozione. In effetti Don Chisciotte è andato malino al botteghino, anche se adesso tra pay tv, streaming e noleggi si sta rifacendo
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Rispetto agli ultimi film che avevi girato con Terry Gilliam, L’uomo che uccise Don Chisciotte ha un’ambientazione relativamente più “realistica” e verosimile. Una volta ripartito il progetto, come si sono svolte le riprese e come hai variato la tua fotografia, girando in questo caso soprattutto negli ampi spazi della Spagna? È stato il vostro primo film ad essere girato in digitale?

Nicola Pecorini: L’uomo che uccise Don Chisciotte è stato il mio primo lungometraggio con Terry Gilliam ad essere girato in digitale, ma avevamo già fatto l’esperienza con il corto The Wholly Family. Girare in digitale non ha aiutato affatto: il digitale non aiuta per nulla, inoltre ti dico un piccolo segreto, oggi giorno costa meno girare in pellicola che in digitale. Non potevamo girare L’uomo che uccise Don Chisciotte in pellicola semplicemente perché in Spagna non c’è più nessun laboratorio che possa svilupparla, avremmo dovuto affidarci a laboratori al di fuori della Spagna e avremmo avuto un problema di tempistiche: siccome Don Chisciotte doveva essere girato su molte location diverse, non avremmo avuto modo di controllare i giornalieri spostandoci da una location all’altra se tutto il girato doveva essere trasportato all’estero e sviluppato prima che noi potessimo riaverlo indietro. Da un punto di vista fotografico, al di là del fatto che eravamo stati diciotto anni a preparare e ripreparare il film, che alla fine avevamo rivoltato come un calzino dodici volte – Terry mi ha dato come ispirazioni iniziali Goya e Velázquez, poi chiaramente ti adatti alle location, a cosa puoi fare, a dove puoi girare. Anche Don Chisciotte è stato un film abbastanza “mordi e fuggi”, a livello di settimane di riprese. Io sono abbastanza navigato da aver assaggiato il modo di fare film della cinematografia classica degli anni settanta, e quasi tutti gli ottanta, quando avevi il tempo di fare le cose fatte bene, dirigerle ed eventualmente rifarle se qualcosa non era andato esattamente come avresti voluto tu. Adesso questo lusso non c’è più, è tutto un correre. I film di oggi soffrono molto di questo.

Christoph Waltz e Mélanie Thierry in The Zero Theorem di Terry Gilliam
Christoph Waltz e Mélanie Thierry in The Zero Theorem di Terry Gilliam
Dopo sei film insieme, quale è il “metodo” che tu e Terry Gilliam adoperate per “decidere” la fotografia di un film? Quali pensi che siano le matrici, visive e non, del suo immaginario?

Nicola Pecorini: Terry spesso fa riferimento a pittori, ma non si ispira mai ad altri film: questo è un aspetto di lui che mi è sempre piaciuto, il fatto che Terry voglia sempre creare qualcosa di diverso. Se mai si riferisce a sensazioni, per descriverti quello che vuole: non ti dirà mai “Tieni a mente quella scena di Hitchcock”, ti dice al limite “Hai presente del vuoto allo stomaco che ti viene quando inizia la caduta sull’ottovolante? Io voglio creare quello”. Invece alla pittura fa riferimento spesso e volentieri, ma le sue non sono mai scelte scontate. Con Terry è sempre stato così, sin da Paura e delirio a Las Vegas: lui manda input visivi basati su pittori, su opere pittoriche piuttosto che su altri film. Per Paura e delirio il nostro principale riferimento era Robert Yeoman, che negli anni cinquanta aveva realizzato una serie di visioni di motel con colori straordinari. Per Parnassus i riferimenti erano vari: uno, quello fondamentale, che ha ispirato tutto il mondo “parnassussiano” delle scene con il diavolo e anche del finale, era un artista norvegese che si chiama Odd Nerdrum. È stato a lui che gli artisti digitali si sono ispirati per ricreare, sotto la supervisione di Terry, i mondi immaginari che si vedono nel film. Per Tideland la nostra principale reference era Andrew Wyeth, un pittore del Realismo americano che era famoso per le sue immagini bucoliche di vita in case isolate. Durante la preparazione del film ti circondi di quelle immagini e alla fine non devi neanche pensaci troppo, ti viene in automatico seguire una certa linea.

Qual è il metodo di Terry Gilliam sul set? Come dirige gli attori, come prepara le scene e come si confronta con te di take in take?

Nicola Pecorini: La direzione degli attori è un altro degli aspetti del lavoro registico che Terry cura più in preparazione che durante le riprese. Prima del primo ciak Terry fa infinite sedute “al tavolo”, sia con tutto il cast, sia con gli attori uno o due alla volta. Quando arrivano sul set, spesso e volentieri gli attori sanno esattamente che cosa e come vogliono fare le singole scene: c’è solo da adattarsi agli spazi fisici, perché una cosa è fare una scena in un ufficio, un’altra nella location vera e propria.

David Thewlis e Christoph Waltz in The Zero Theorem di Terry Gilliam
David Thewlis e Christoph Waltz in The Zero Theorem di Terry Gilliam
Quasi tutti i film di Terry Gilliam sono accompagnati da storie produttive di development hell cinematografiche e avventurose almeno quanto il film che poi riuscite a girare. A cosa pensi siano dovute queste difficoltà, e Terry come riesce a risolverle?

Nicola Pecorini: I film di Terry appaiono spesso molto più ricchi di quello che sono costati, ma lui è bravo a scegliere i collaboratori giusti, che gli danno ciò che vuole lui “a pizza e fichi”. In The Zero Theorem, ad esempio, gli abbigliamenti dei personaggi, tutti questi vestiti di plastica colorata, sono stati arrangiati nel senso più alto del termine: praticamente la sartoria non aveva un budget, c’era una somma veramente ridicola di 35.000 euro per vestire tutti ma Carlo Poggioli, il costumista, andando in giro per Bucarest per vedere in cerca di idee è incappato in un negozio cinese che vendeva a metri le plastiche. Non costavano nulla. Carlo ha preso le plastiche, ha chiamato le due sarte che si era portato da Roma e la sua squadra di sarte rumene, e hanno fatto quei costumi con tende da doccia, nella pratica! Anche per Tideland, non diresti mai che è costato quella cifra, con tutti gli effetti e le visioni che ha. C’è però da tenere in conto anche il fatto che Terry ha grande appeal per gli attori, che spesso accettano di venire per una frazione minima del loro cachet abituale. Anche quando Matt è tornato per The Zero Theorem è venuto praticamente gratis, il che è quanto dire per una star del suo calibro: poi c’erano le solite clausole hollywoodiane per cui non potevi evidenziare il suo nome nella locandina del film, ma, di fatto, appare nel film e ci è venuto per generosità e passione, perché il progetto gli piaceva.

Terry Gilliam da anni è un regista “di culto”, ma spesso i suoi film vengono distribuiti male, soprattutto in Italia. A cosa pensi sia dovuto ciò?

Nicola Pecorini: È vero: ho notato che con i film di Terry spesso e volentieri i distributori hanno un atteggiamento sbagliato, perché sanno che il film presto o tardi diventerà un “cult” e avrà quindi una durata nel tempo di continue entrate in home video e noleggi – Paura e delirio a Las Vegas è tuttora il titolo più venduto della Criterion Collection, a ventiquattro anni dalla sua uscita – per cui non si sforzano per nulla nella promozione immediata del film; sanno che è un bancomat, che ogni film di Gilliam continuerà comunque a darti i soldi nel futuro. La promozione di un film costa, per carità, costa a volte più del film in sé, ma non investono nulla. Parnassus, che pure era l’ultimo film di Heath Ledger, venduto malissimo in tutto il mondo al di fuori dell’Italia, che ha fatto più di dodici milioni di euro: in America è arrivato a sei. Lo stesso accadde con L’uomo che uccise Don Chisciotte, che dopo tante fatiche da parte nostra oggettivamente non ha avuto una grande diffusione e un gran successo ai botteghini.

C’è qualche nuovo progetto al quale tu e Terry Gilliam state lavorando assieme?

Nicola Pecorini: No. C’era un progetto che è naufragato, come spesso e volentieri accade con Terry, che era un copione sviluppato da Stanley Kubrick. Era stato proposto a Terry da Jan Harlan, il genero di Kubrick. Un anno fa eravamo vicini a partire, poi è arrivata la pandemia e il progetto è del tutto evaporato. Lo stesso Terry non ne ha più saputo nulla, per cui ora come ora progetti all’orizzonte non ci sono. Io stesso per il momento ho rinunciato a fare cinema, sto in Toscana a coltivare. Prima forse era diverso, ma adesso ci sono troppi idioti, nel mondo del cinema. I mulini a vento di Don Chisciotte sono nulla, in confronto. Se Terry fa un nuovo film torno volentieri, altrimenti resto qui in campagna a coltivare lavanda.

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