La hija de un ladrón recensione film di Belén Funes con Greta Fernández, Eduard Fernández, Àlex Monner e Tomás Martín presentato al CinemaSpagna 2020
Il lungometraggio d’esordio di Belén Funes La hija de un ladrón è un esempio di cinema sociale privo di qualsiasi artificio, riflette soltanto la realtà. Una storia chiara e trasparente, quella della giovane Sara che vive una vita anomala, impotente e senza riferimenti. Un film costruito con ritagli di vita legati da una insulsa routine, dalla sopravvivenza, dal vivere l’immediato presente; poiché è impossibile pianificare un futuro.
Sara è interpretata dalla magnifica e incredibile Greta Fernández. Lei è una madre single e il mancato impegno del padre di suo figlio ostacola quel desiderio di una famiglia che le è sempre stato negato. Funes impiega buona parte del film costruendo, in maniera quasi ossessiva, l’ambiente intorno a Sara, che risulta un cosmo credibile. Un mondo silenzioso, pervaso da una plumbea malinconia e da soffocante routine.
La custodia del suo fratellino, che vive in centri di assistenza, è la sua più grande motivazione per trovare una qualunque occupazione. Per di più, il problematico padre esce di prigione e riappare dopo tempo nella sua vita. Come sempre lei ha fiducia nella redenzione dell’irregolare figura paterna, ma la delusione è la costante nella loro relazione.
Sara, così, resta sempre in disparte nella vita, ai confini di una marginalità che nel complesso ignoriamo. Sequenze come quella della comunione del fratello o quella del processo sono di natura apparentemente semplice ma raccontano situazioni amare, cicatrizzate. I personaggi finiscono per essere compresi e rispettati dallo spettatore, anche quando il loro comportamento può essere discutibile.
Viste le premesse, sarebbe stato facile cadere nel melodramma e nelle lacrime facili. Tuttavia la regista si aggrappa con ferma forza alla sobrietà visiva e alla semplicità narrativa. Con l’occhio che sfiora il taglio documentaristico, Belén Funes riesce a controllare il film senza perderne l’emozione che ne gocciola.
La hija de un ladrón, vincitrice di diversi premi tra cui Goya e Gaudì, è un film autentico e introspettivo, che riesce ad abbracciare con grande sensibilità una storia di solitudine, di perdita e di quanto sia faticoso costruirsi una gioia ai margini della società. Un film piccolo, ma di portata universale.
Le interpretazioni sono uno dei punti di forza. Greta Fernández abita la pelle di questa ventenne che fatica ad andare avanti. Ha un bambino che tratta come un adulto e un padre – il bravissimo Eduard Fernández – appena uscito di prigione, che si comporta invece come un bambino. La regista trasmette con maestria questa catena di disaccordi emotivi che ruotano intorno alla sua protagonista.
La sceneggiatura invece risulta malferma in alcuni tratti, zoppicando in alcuni silenzi che risultano più eloquenti di quello che dovrebbero essere, lasciando inoltre la sensazione che ci sia qualche altro messaggio che la regista vuole trasferire allo spettatore ma che, purtroppo, rimane sospeso come un grido strozzato in gola.