Erica “Erika” Blanc è la protagonista della nuova intervista di Degenere, la rubrica di MadMass.it dedicata al cinema di genere. Da Operazione paura di Mario Bava a Io, Emmanuelle di Cesare Canevari, fino al Globo d’Oro per Cuore sacro di Ferzan Özpetek, ripercorriamo la carriera della diva tra cinema e teatro
Hai esordito a metà degli anni Sessanta prendendo subito parte a film di tutti i generi, dall’horror de La vendetta di Lady Morgan allo spionistico di Da 077: intrigo a Lisbona. Era un cinema povero, ma che nel tempo ha guadagnato uno status cultuale assoluto
Erica “Erika” Blanc: Venivamo pagati pochissimo, noi attori, in questi film, era un cinema di serie B. Come sai ho lavorato anche con Mario Bava in Operazione paura, un film diventato nel tempo famosissimo in tutto il mondo. Per quel film, pensa non ho visto un soldo: mi hanno dato una cambiale, che al momento dell’incasso ho scoperto essere protestata. Era l’epoca della Pop Art, dei barattoli di marmellata di Andy Wharol, così avendo in casa una bella cornice dorata, ho deciso di mettere la cambiale su un bel fondo blu, appendendola in casa, accanto ad altre opere dello stesso tipo, tra le quali una che avevo fatto con i fiammiferi Minerva. Un giorno vennero a trovarmi degli amici che rimasero impressionati dalla bellezza e dall’originalità del quadro con la cambiale, chiedendomi quanto l’avessi pagato! Al che risposi: “Trecentomila lire, è una cambiale che non mi hanno pagato”. Dovrei ancora averla da qualche parte, come tutti i contratti che ho firmato nella mia vita: prima o poi li metterò all’asta!
Incredibile pensare che questi film oggi così apprezzati da storici e critici e così appetiti dai cinefili di tutto il mondo, in realtà fossero opere di puro artigianato realizzate con budget a dir poco rimediati
Erica “Erika” Blanc: Mi ricordo che stavo girando un film in Turchia, dove non c’erano proprio soldi. Non c’era niente. Tanto che avendo perso le ciglia finte me le sono fatte da me con i capelli tagliati a una mia collega! Eravamo veramente dei piccoli artigiani. C’era però tanto entusiasmo, anche perché non conoscevamo il cinema di serie A, non sapevamo quanto fossero pagati gli attori importanti. La fortuna era anche che non dovevamo recitare in inglese. E poi i nostri film non andavano mai in prima visione, ma uscivano in sale secondarie, per approdare poco dopo a quelle parrocchiali.
Eppure con questi film giravate il mondo, soprattutto con i cloni dei film di James Bond, come Le spie uccidono in silenzio…
Erica “Erika” Blanc: Proprio in questo film, il mio personaggio doveva cambiare il colore degli occhi, da azzurri a neri. Per farmi gli occhi neri mi hanno messo delle gocce per dilatare le pupille… pensa quanto ho rischiato! Non riuscivo più a vedere niente, per le tante volte che me le hanno messe. Per fortuna non ho perso la vista e ancora oggi ci vedo molto bene, non ho bisogno di occhiali. Questo per dirti che non avendo i mezzi, queste produzioni ricorrevano a espedienti che mettevano anche a rischio la salute degli attori.
Questi film erano anche delle Babele linguistiche con attori e tecnici delle più diverse nazionalità
Erica “Erika” Blanc: Certo, ognuno recitava in scena nella propria lingua! Ne Le spie uccidono in silenzio c’era una scena a Beirut in cui venivano contemporaneamente recitate le battute in cinque lingue diverse, dall’italiano all’arabo, passando per l’inglese-americano del protagonista Lang Jeffries e lo spagnolo di José Bódalo.
Secondo alcune filmografie avresti esordito con un film di Tinto Brass, Il disco volante, anche se hai dichiarato di non averlo fatto
Erica “Erika” Blanc: Infatti, non l’ho fatto. Io avevo un contratto con la De Laurentiis: mi avevano fermato per strada, in un’epoca in cui facevo solo fotoromanzi. Avrei dovuto lavorare quattro o cinque giorni. Ma nel frattempo il contratto era scaduto e io ero impegnata con i fotoromanzi, così ho dovuto declinare l’offerta. Avrei dovuto interpretare una cocainomane: in quei tempi avevo una faccia che tradiva la fame allucinante che mi tormentava, sembravo effettivamente una drogata. Era un periodo in cui vivevo in una pensione con il mio ex marito, Bruno Gaburro.
In uno dei tuoi primi film da protagonista, Il terzo occhio di Mino Guerrini, ti firmi Diana Sullivan, come mai?
Erica “Erika” Blanc: Perché dovevo scegliere un nome inglese e mi ricordai che da piccola avevo visto in una sala parrocchiale La famiglia Sullivan, un film americano degli anni Quaranta, dove c’era questa bambina che nuotava nel lago e diceva agli altri familiari con la sua vocina querula: «Arrivo, aspettatemi!». Mi identificai in questo personaggio, in quanto vivendo al Lago di Garda, mi trovavo spesso a citare in acqua quel dialogo del film…
Tornando a Mario Bava, che è soprattutto considerato un geniale tecnico della macchina da presa e della fotografia, siamo curiosi di sapere come si relazionasse con gli attori
Erica “Erika” Blanc: Aveva un entusiasmo da ragazzino, voleva fare tutto: gli piaceva fare le ragnatele con le proprie mani. Come quando da bambini, si dice: «Facciamo finta che sono un re!». Ci trascinava in una specie di gioco. Era bellissimo vedere come sistemava le luci e governava il set. Era un genio assoluto, per me si può paragonare a Strehler, con il quale anche ho lavorato. Erano come due bambini che sfogavano la loro fantasia. Avevano entrambi la purezza del bambino. Era veramente speciale, Mario Bava. Ti lasciava l’assoluta libertà di creare.
Hai lavorato anche in tanti western, da Colorado Charlie, uno dei primi, a Là dove non batte il sole di Margheriti. Tra i più importanti si può citare Mille dollari sul nero di Alberto Cardone, il primo film in cui compaia il personaggio di Sartana, interpretato da Gianni Garko
Erica “Erika” Blanc: Bello quel film! Io dovevo andare a cavallo, e così mi diedero un cavallo buono buono, con il quale andavo in giro a raccogliere le margherite sui prati, considerato che io non so assolutamente cavalcare. A proposito in un altro western, avevo una scena a Manziana, dove c’era una discesa incredibile piena di sassi. Il cavallo che avevo in quel film si chiamava Carabiniere, perché era appartenuto all’Arma, ma poi era stato venduto al cinema in seguito a un incidente di cui era stato protagonista. L’aiuto regista con la frusta fa partire il cavallo con me in groppa, e dietro all’inseguimento dei banditi. In quella discesa rischiai veramente di cadere, ma rimasi in sella perché con tutto lo sport che avevo fatto da giovane avevo un ottimo equilibrio. Alla produzione non importava che potessi cadere e farmi male perché essendo l’ultima scena del film avrei potuto anche morire, per loro! Nei western in un paio di occasioni la mia controfigura fu Fiorella Mannoia, oggi famosa cantante, in altre il fratello Maurizio, che aveva anche lui un fisico longilineo.
Per la regia di Duccio Tessari hai girato un bellissimo noir, Tony Arzenta, in cui interpreti una prostituta picchiata selvaggiamente in una scena dal realismo impressionante. Le tue scene vennero girate a Copenaghen
Erica “Erika” Blanc: Che bella, Copenaghen! La scena del pestaggio la feci con un non professionista, non era uno stuntman, ma uno reclutato sul posto. Così sono stata picchiata sul serio, tanto che Delon, che era presente sul set, a un certo punto fermò l’azione dicendo che era sufficiente. Il giorno seguente, dopo aver memorizzato alcuni insulti in danese che dovevo proferire verso il mio aggressore – calunniandone soprattutto la genitrice – ho ripetuto la scena prendendole realmente di nuovo… venne una bellissima scena, molto realistica. Ho pensato fosse meglio prenderle tutte insieme, senza ripetizioni.
Io, Emmanuelle di Cesare Canevari è un film che ha avuto molte vicissitudini censoree, per le scene di erotismo e per le offese, come si diceva all’epoca, al comune senso del pudore
Erica “Erika” Blanc: Ma, in realtà, era un film molto bello. È la storia di una donna che si vuole distruggere, era un personaggio che mi piaceva molto. Io non avevo scene di nudo, avevo anche dei cerotti che mi coprivano i capezzoli. All’epoca non si poteva fare vedere il seno e pur di occultarlo utilizzavo anche i gomiti. Poi non so se hanno usato qualche altra attrice per dei dettagli. Le prime attrici che si sono spogliate in Italia sono state altre due, non io! Ho rifiutato persino Quando le donne avevano la coda, per non apparire nuda. La “cosina” comunque non l’ho mai fatta vedere!
Un film importante, anche per la tematica, che hai interpretato è La casa delle mele mature di Pino Tosini, ambientato nel manicomio di San Lazzaro, a Reggio Emilia, prima della Legge Basaglia
Erica “Erika” Blanc: Avevo appena avuto mia figlia. Abbiamo girato delle scene proprio nel manicomio. La protagonista era Marcella Michelangeli, attrice bravissima, che in una scena fece di tutto per provocarmi, ma io non abboccai. Il giorno dopo avremmo dovuto avere un’altra scena, quando sento dalla stanza accanto alla mia delle grida della Michelangeli. Allarmata sono scesa nell’ufficio della produzione dicendo che forse si stava suicidando, ma l’ho detto così per dire… Torniamo su e la troviamo con le vene tagliate. Così è stata chiamata l’ambulanza e la Michelangeli si è trovata a essere ricoverata come paziente nello stesso manicomio in cui fino al giorno prima aveva girato delle scene da attrice. La produzione, allora, mi ha chiesto di andarle a parlare in manicomio: era sera tardi quando con l’autista siamo arrivati al nosocomio. L’ho adulata e calmata, spiegandole che avevo mia figlia da andare a trovare, e che quindi anche per il bene della produzione era necessario si desse una regolata. Siccome sembrava essersi tranquillizzata, sono uscita dalla sua stanza e insieme all’autista ho riguadagnato la strada verso il cancello, cancello che abbiamo trovato chiuso. Non c’era neanche un campanello da suonare! Nel frattempo era scesa la notte e c’era anche la nebbia. Così, appena scorgiamo una guardia notturna, che si aggira in strada, ci arrampichiamo sul cancello, attirandone l’attenzione: «Per cortesia, può suonare al guardiano che noi dobbiamo uscire?». Questo ci guardava incredulo, pensando: «Ma guarda questi che vogliono fuggire dal manicomio!». Che nottata, abbiamo rischiato di dormire nei giardini del manicomio, io e l’autista. Girare un film in un manicomio è stata una grande lezione: qualsiasi cosa ti possa capitare nella vita non può essere peggiore di quello che ho visto lì dentro.
Abbiamo parlato finora di ruoli sostanzialmente drammatici, ma tu ha interpretato anche tanti ruoli brillanti in film diretti da specialisti della commedia come Luigi Filippo D’Amico, Nando Cicero, Alfredo Giannetti, lo stesso Ettore Scola
Erica Blanc: Io penso che il ruolo drammatico è meno faticoso da fare. Mentre il ruolo brillante richiede dei tempi precisi, un ritmo giusto. Un ruolo drammatico ti offre maggiori coperture, perché è già strutturato di suo, quello brillante invece devi arricchirlo con la tua particolare interpretazione, con l’eleganza necessaria che ti permette di non scadere nella volgarità. In teatro mi è servita molto l’esperienza con questo tipo di film.
Dopo i molti successi al cinema, quando e con chi si è svolto il tuo debutto a teatro?
Erica Blanc: Da piccola abitavo con la mia famiglia nei dintorni del Lago di Garda, e mio padre era attore in una compagnia professionale della zona. In ogni spettacolo i ruoli da bambina li dovevo fare io. Se vogliamo quello è stato il mio primo “debutto” teatrale! Dicevano che fossi molto portata ma ai tempi non ero particolarmente interessata alla cosa. Il mio “vero” debutto a teatro è avvenuto anni dopo, quando avevo già iniziato a fare i fotoromanzi: a quel tempo io e il mio marito di allora, Bruno Gaburro, condividevamo l’appartamento con diversi giovani creativi e intellettuali anche stranieri. Bruno e gli altri non mi prendevano sul serio per i lavori che facevo, quindi un mio amico che faceva fotoromanzi come me mi propose di fare qualcosa in teatro. Così mi ritrovai a fare fotoromanzi di giorno e teatro di sera! Il mio primo spettacolo una commedia in cui si parlava di un nobile marchese. Il giorno dopo il debutto mi ritrovai con una critica entusiastica di Ennio Flaiano sull’Europeo, che scriveva “speriamo che il cinema non ce la porti via”! Io là per là non ci badai perché avevo deciso di fare teatro solo per dimostrare a tutti gli intellettuali del cavolo che abitavano con me – compreso il mio ex! – che anch’io avevo talento, ma non pensavo di continuare per quella strada e infatti il cinema mi ha preso e fino ai 32 anni ho fatto solo quello. Ricordo che in quel periodo a una festa pomeridiana fra attori e sceneggiatoria avevo fatto una mia piccola performance e Iaia Fiastri mi aveva detto “Erika, tu devi fare teatro”, ma lì per lì non ci badai e lasciai cadere. Intorno ai 32, 33 anni però feci una riflessione molto realistica: avevo fatto molto cinema fino a quel momento perché avevo una bellezza insolita che mi aiutava, il cinema mi dava molte possibilità anche perché quella era l’epoca d’oro dei western e dei gialli all’italiana, ma capivo che dovevo coltivare anche altre strade se volevo continuare a lavorare e a migliorarmi come attrice anche quando sarei stata più grande di età. Ripensando a quello che mi aveva detto Iaia allora l’ho richiamata per chiedermi di farmi introdurre nel teatro. Quando glielo chiesi la Fiastri rimase molto sorpresa e mi chiese di rimando “Erika, ti ha detto qualcosa qualcuno?”. Venne fuori che lei aveva appena finito di scrivere una commedia musicale e aveva parlato bene di me con Garinei e Giovannini.
Ornella Vanoni era la protagonista, io ero la co-protagonista e lì è iniziato il mio successo teatrale.
Tu hai lavorato anche con Giorgio Strehler in un adattamento de Le balcon di Jean Genet. Come si svolse il tuo provino con Strehler? Cosa ricordi della collaborazione con lui?
Erica Blanc: Mentre lavoravo con la Fiastri un altro attore della compagnia mi fermò sulle scale chiedendomi “ti ha chiamato Strehler?” e io pensando che scherzasse scherzai a mia volta dicendo che “io non lavoro con uno che si tinge i capelli di blu”. Invece Strehler mi aveva cercato per davvero! Alla fine ci demmo un appuntamento al Piccolo di Milano, lui arrivò dicendomi che mi faceva un provino, se andava bene andava bene, se per lui non andava bene non mi dovevo offendere. Mi diede da leggere un testo ma non appena avevo detto le prime parole lui subito era intervenuto dicendomi di adottare un particolare tono; e andò avanti così per tutta la lettura, lui che mi dava le indicazioni e io che gliele restituivo cercando di anticiparlo sulle frasi successive perché sennò lo leggeva tutto lui. Finito il testo si alzò, batté le mani sul tavolo e disse “bene, bene!” – te lo giuro – e mentre si allontanava si è fermato sulla porta e ha esclamato “ha talento, ha talento!”. Io intanto stavo lì a chiedermi che cosa potessi aver fatto per impressionarlo così, perché in fondo aveva letto tutto lui! Quella mattina come uscii dal Piccolo per la gioia di come era andato quel provino diedi tutti i soldi a un poverino che chiedeva la carità, e così ho fatto con Strehler Le Balcon di Genet.
Molto importante nella tua vita e nella tua carriera teatrale è stato il sodalizio sentimentale e artistico con Alberto Lionello. Come vi siete conosciuti? Cosa ti ha lasciato, artisticamente, la collaborazione con lui a teatro?
Erica Blanc: Alberto mi aveva visto per la prima volta a teatro in uno spettacolo di Squarzina, e mi aveva cercato – l’ho saputo dopo – per venire a congratularsi ma non mi trovò perché il camerino che mi avevano dato lì allo Stabile di Roma era piccolo e allora avevo preso un camerino al terzo piano ma ben più grande. Dopo un paio di mesi una mia amica mi chiese quale spettacolo avevo in programma per l’inverno e io le risposi che non avrei fatto nessuno, perché tutti i teatri dovevano aver già fatto i casting e per quella stagione nessuno mi aveva chiamato. Lei però mi segnalò che Lionello faceva Il piacere dell’onestà di Pirandello e che ancora cercava attori, così io ho trovato il suo numero e l’ho chiamato dicendo che mi avrebbe fatto piacere lavorare con lui; Alberto di rimando mi chiese se ero disponibile a fare un provino, e al mio sì lui concluse con un “ci devo pensare”. Io sono rimasta sveglia tutta la notte ad aspettare un suo verdetto! I tre attori teatrali dai quali volevo imparare, avendo fatto fino a poco tempo prima solo cinema, erano la Volonghi, Santuccio e Lionello, quindi ci tenevo molto a lavorare con lui. Sono finita per presentarmi a casa di Lionello portando le critiche positive di quello che avevo fatto a teatro – come le cameriere che portano la buonuscita! – cosa per cui lui mi ha bonariamente preso in giro negli anni successivi. Gli piacqui, facemmo le prove e debuttammo a Roma; la mattina dopo il debutto Alberto mi chiamò a telefono chiedendomi “Erika, hai visto le critiche?” e io gli dissi “No, non le ho viste” – era vero, stando a Roma non avevo un giornalaio vicino – e lui per tutta risposta mi disse “Erika, è un successo enorme di critica e una buona parte è anche merito tuo, grazie”. Mamma mia! Mi sono messa a piangere. Così ho fatto per il primo anno Il piacere dell’onestà, ed eravamo solo amici, però c’era una simpatia innocente; e la moglie intanto aveva chiesto la separazione. Un giorno Lionello ed io stavamo andando insieme a Torino per proseguire la tournée lì, ad Alberto si bucò la gomma della macchina e lui, che stava vivendo un periodo difficile, era quasi scoppiato in lacrime urlando “ecco adesso anche questo, perché capita tutto a me!”. Io gli dissi semplicemente “aprimi il cofano” e siccome so cambiare le ruote tirai fuori il crick e risolsi rapidamente il problema. Alberto ha sempre detto che si è innamorato di me quando gli ho cambiato la ruota. Vedi come si fa a conquistare un uomo? La manualità, ci vuole! Io già ero affascinata da lui, ma gli ho sempre detto che se fosse stato un impiegato della posta non lo avrei notato. Era un uomo affascinante, ma era quando lo vedevi in scena che impazzivi. L’ho accompagnato per tutta la sua vita, anche nei momenti più difficili, fino alla fine.
Nel 1994 ha preso parte a un adattamento teatrale de La barraca dei comici di García Lorca per la regia di Ugo Gregoretti. Cosa ti è rimasto più impresso di Gregoretti, scomparso lo scorso anno? Lui è noto soprattutto per aver rivoluzionato la televisione pubblica italiana con le sue inchieste, i suoi film televisivi e le sue analisi di costume: a teatro, come dirigeva gli attori e come impostava la messa in scena?
Erica Blanc: Ugo Gregoretti è sempre stato molto gentile, era un uomo di una semplicità incredibile nel chiedere e di una grandissima educazione. Non ha mai fatto lo “show” del regista che dirige con severità gli attori e ci ha lasciato molto liberi di creare senza imporsi, probabilmente gli piacevamo tutti perché aveva messo insieme un bel gruppo. Una cosa che differenziava Gregoretti dagli altri registi con cui ho lavorato a teatro era che lui è stato l’unico che non saliva sul palcoscenico per darci le indicazioni; lui restava seduto in platea e le indicazioni le dava da lì. Vedeva le nostre prove se vogliamo “da spettatore”, ma da solo valeva per un’audience di mille persone, sapeva trasmetterti un’energia unica portandoti a recitare, non a fingere di recitare. Mentre lavoravamo insieme mi ha anche regalato una bella pipa, perché io fumo la pipa! La barraca dei comici era un’estiva, poi ci siamo un po’ persi di vista incontrandoci sporadicamente, ma lo ricordo con molto piacere.
Hai interpretato due film con Ferzan Özpetek, Le fate ignoranti, dove sei la madre della Buy, e Cuore sacro, per il quale hai ottenuto il Globo d’oro. Ozpetek mi sembra un regista molto attento ai personaggi femminili
Erica Blanc: Assolutamente, sì! All’epoca avevo smesso di fare cinema da alcuni anni, facevo solo teatro. Alberto Lionello era scomparso da un po’ di tempo. Mi offrirono di andare a incontrare questo regista, che non conoscevo. Mi disse che c’erano altre due attrici in lizza per il mio stesso ruolo. Dovevo convincere quindi il regista a prendermi. Non l’ho mollato per un attimo, l’ho guardato per tutto il tempo. Poi quando stavo per andarmene, mi sono girata verso di lui e gli ho detto: «Ricorda, nessuno saprà fare questo ruolo, come saprò farlo io». Mi veniva da ridere mentre lo dicevo, ma l’ho detto e sono stata presa. Prima delle riprese mi aveva detto che la Buy era particolare, che non voleva essere toccata – all’epoca aspettava un bambino – e che odiava la figura della madre, della sua madre reale. Nella prima scena dovevo entrare nel letto con lei senza sfiorarla, invece ho accomodato le chiappe contro il suo corpo… se vedi la scena, osserva i suoi occhi sgranati: non se l’aspettava proprio! Da quel momento abbiamo lavorato benissimo insieme. Pensa che in seguito siamo state candidate entrambe come miglior attrice non protagonista al David di Donatello – lei per Manuale d’amore, dove era protagonista di un episodio, e io per Cuore sacro. Ho perso il premio per due soli voti. Alla fine eravamo rimaste sul palcoscenico solo io e lei, quando approfittando del fatto che era distratta prendo in mano il suo David e inizio a scendere la scaletta… quando mi vede, mi fa: “Il mio premio!”. “Non ti preoccupare, lo porto a fare un giretto. Te lo restituisco subito”. La parte di Cuore sacro la feci in appena due giorni. Mentre giravamo uno dei due giorni Ozpetek mi disse che non era convinto di montare la scena di quel giorno nell’edizione definitiva del film. Al che dissi che se non l’avesse montata, avrei rinunciato a essere pagata per quella giornata. Passano i mesi e mi chiama Ozpetek: «Erika, sono qui al montaggio». Ho pensato: «Ora mi dice che taglia la scena». E invece: «Erika hai fatto una cosa stupenda!» Mi sono messa a piangere.
Con Pupi Avati hai lavorato in tre occasioni: Una sconfinata giovinezza, Il cuore grande delle ragazze e Il bambino cattivo
Erica Blanc: Ne Il bambino cattivo Pupi Avati ha fatto partire un applauso al termine della mia scena. Avati ha tutte le qualità, è una persona molto umana. Poi sta dietro la macchina da presa, e questo per un attore è importante: comunichi meglio con il regista in questo modo.
Un ruolo importante nella tua filmografia è anche quello della madre di Ilaria Alpi in Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni. Come ti sei trovata a interpretare un personaggio esistente e, all’epoca del film, ancora in vita, una donna coraggiosa che non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte della figlia giornalista?
Erica Blanc: L’ho fatto in punta di piedi, con un grande rispetto verso una grande donna, che ho anche conosciuto per l’occasione. E come se in questo film non sia stata tanto un’attrice, quanto la portatrice di un messaggio, il messaggio della mamma di Ilaria. Non saprei spiegarlo meglio.
Uno dei tuoi più recenti lavori teatrali è stato una messa in scena dell’ormai classico Quartet al Teatro Duse di Bologna, per la regia di Patrick Rossi Gastaldi. Come sei stata coinvolta in questo progetto? Chi erano i tuoi compagni di scena?
Erica Blanc: Ce l’ho nel cuore questa commedia! Purtroppo il Coronavirus ce lo ha impedito, ma noi eravamo pronti ad andare avanti anche con una nuova tournée. In questo spettacolo sono arrivata un po’ all’ultimo momento per sostituire una collega che aveva già fatto alcune date del debutto estivo, ho imparato la parte in sei giorni e poi ho iniziato. È andata benissimo anche grazie ai miei tre meravigliosi colleghi, Giuseppe Pambieri, Cochi Ponzoni e Paola Quattrini. Pambieri lo amo perché è davvero un grande attore, e mi sono affezionata anche a Paola Quattrini che rispetto molto perché lei letteralmente “vive” di teatro dedicandovi tutta la sua vita, io amo il teatro ma per me non è, come dire, una necessità esistenziale! Paola è bravissima nella sua parte, fa una vecchia cantante di opera con l’Alzheimer, ho lasciato lo spettro di prima donna a lei perché se lo merita! La pièce si chiama Quartet e siamo decisamente un quartetto favoloso, anche grazie alla splendida presenza di Cochi.
Il tuo ultimo film è stato Villetta con ospiti, di Ivano De Matteo, distribuito a fine gennaio poco prima del lockdown. Il suo apparentemente breve ruolo nel ruolo della matriarca della famiglia Tamanin le ha fruttato svariate critiche positive. Come e dove si sono svolte le riprese di quel film? Cosa ci puoi dire sul tuo ruolo?
Erica Blanc: Ivano De Matteo è un regista che mi piace molto, ha una follia creativa tutta sua, e mi sono trovata benissimo con lui. Il mio ruolo era piccolo e subito finite le riprese dovevo correre a Milano perché avevo la prima di Quartet, quindi avevo appena due giorni e mezzo per girare la mia parte. Le numerose critiche positive mi hanno fatto molto piacere, ma sono state decisamente inaspettate per un ruolo tanto piccolo che avevo girato anche sotto pressione! Solo con i due film di Özpetek avevo ricevuto critiche tanto favorevoli. Quando Ivano mi ha chiamato dicendomi che il film era piaciuto e che il mio ruolo era stata una delle cose più apprezzate non me l’immaginavo proprio e non capisco cosa ho fatto di così bello! Sono molto curiosa e spero di riuscire a vederlo presto perché il film ancora non l’ho visto neanche io, è un vero peccato che il Coronavirus ne abbia danneggiato la distribuzione.
Quali sono i tuoi futuri progetti cinematografici e teatrali?
Erica Blanc: In questo momento sto chiusa in casa e quasi mi sto godendo questo momento, paradossalmente, perché non c’è più la chiamata improvvisa dell’agente che mi dice di dover partire di lì a pochi giorni per prendere parte a un film o una fiction: mi sto gustando questo periodo di tranquillità, fra la casa e il giardino. Il sogno sarebbe di girare presto Io sono innocente di Claudio Alfonsi, il mio è un bel personaggio e Claudio è talmente carino e gentile che l’ho quasi adottato come figlio! Temo però che ci vorrà ancora tempo, prima che sui set e in generale si possa tornare alla normalità di un tempo.
Proprio in questi giorni è mancato Gigi Proietti, con il quale hai lavorato ne Il premio, diretto e interpretato da Alessandro Gassmann. Che ricordo hai di lui?
Erica Blanc: È stato un grandissimo attore e una persona di grande umanità. Come artista è stato la perfezione, mi dispiace moltissimo che sia morto. Ci conoscevamo reciprocamente da molti anni, ma solo sul set de Il premio abbiamo recitato insieme, il suo penultimo. Ero veramente emozionata a lavorare con lui, per l’ammirazione che avevo. Dopo la prima delle scene che avevamo insieme – io ero seduta con un gatto in grembo accanto a un camino, e dovevo parlare con il suo personaggio – bastarono una o due take per entrare nella parte e dopo che Alessandro aveva detto “buona!” Gigi fece partire un applauso per me, a cui si aggiunsero mano a mano tutti i tecnici. Questo non per dirti quanto sono brava, ma per dirti quanto Gigi sapesse essere generoso. Due giorni dopo, alla fine di un’altra scena mi ha addirittura abbracciata, e all’abbraccio si è aggiunto anche Alessandro Gassmann! Io, alla mia età, ero del tutto commossa di ricevere questi apprezzamenti da lui. Anche il “mio” Alberto Lionello apprezzava Proietti, al punto da essere professionalmente invidioso di lui! Da parte di Gigi non c’era alcuna rivalità, ma da parte di Alberto sì, e non poca, anche perché sapeva che stravedo per Gigi! Ricordo una volta a Taormina, quando Gigi venne premiato con il Biglietto d’oro per lo spettacolo con maggiore affluenza di pubblico dell’anno, e noi due stavamo in platea: io applaudivo forte e urlavo “bravo, Gigi!” assieme agli altri, Alberto provava a farmi essere meno entusiasta, criticando la camicia bianca di Gigi. Anche per il suo Edmund Kean io ero impazzita, Alberto invece stava freddo e muto. Non che ci fosse un vero livore, era una semplice invidia professionale che non ha impedito a loro due di essere anche amici. Era un’invidia quasi da bambini, sullo stile di “ho la macchinina più bella della tua”, Alberto era amorevolmente infantile su questo. Sul set de Il premio lo raccontai a Gigi che rideva come un matto. Gigi Proietti è stato un grande tra i grandi, innanzitutto umanamente. Adesso che è morto ho pianto come una disperata e riso come una pazza, mentre in televisione passavano i video di tutte le sue performance.
Ringraziamenti
Intervista realizzata in collaborazione con il professor Fabio Melelli dell’Università per Stranieri di Perugia.
Si ringrazia il produttore e regista Claudio Alfonsi per aver permesso questa intervista.