Chiedi chi era Giovanni Falcone

Chiedi chi era Giovanni Falcone recensione documentario di Gino Clemente [RaiPlay]

Chiedi chi era Giovanni Falcone recensione documentario Rai di Gino Clemente disponibile in streaming su RaiPlay a trent’anni dalla strage di Capaci

Il 23 maggio del 1992 un uomo viaggia su di un’auto blindata che lo conduce dall’aeroporto di Punta Raisi alla sua Palermo. Lavora a Roma da un po’ di tempo; da quando il suo ruolo di magistrato nel capoluogo siciliano lo ha reso personaggio scomodo e indesiderato.
È lui alla guida di quella Fiat Croma bianca preceduta e seguita da due vetture della scorta chiamata a proteggerlo.
Si trova al volante nonostante abbia un autista a sua disposizione, Giuseppe Costanza, che però, per l’occasione, viene fatto accomodare sul sedile posteriore.
Al suo fianco, invece, c’è Francesca, magistrato anche lei, amatissima moglie e sua prima sostenitrice in quella lunga, pericolosa e sfiancante battaglia che ha intrapreso anni prima nei confronti della mafia.

È pomeriggio inoltrato, mancano pochi minuti alle 18.
L’autista ricorda a quell’uomo alla guida di riconsegnargli le chiavi dell’auto una volta giunto a destinazione. Ma quell’uomo è così compreso nei suoi pensieri, che proprio lì, mentre l’auto viaggia in autostrada, sfila le chiavi dal cruscotto e gliele porge: “Ma che fa, così ci andiamo ad ammazzare!” – lo richiama Costanza.
L’uomo al volante gira il capo verso Francesca, ne incrocia lo sguardo, lei annuisce e poi, come riavutosi, dice: “Scusi, scusi!”. E reinserisce le chiavi nel cruscotto.

Questo gesto comporta un rallentamento nella marcia dell’auto. Un rallentamento che coglie di sorpresa persino le persone acquattate in un punto non lontano da lì. Sono uomini della mafia che hanno riempito di tritolo il tratto di strada che quell’auto, assieme alle altre due della scorta, si appresta ad attraversare. Ci troviamo all’altezza dello svincolo di Capaci. E quel tritolo è per lui; per Giovanni Falcone.

Chiedi chi era Giovanni Falcone recensione documentario Rai
Chiedi chi era Giovanni Falcone documentario Rai di Gino Clemente a trent’anni dalla strage di Capaci (Credits: Rai Documentari/Indigo Stories)

L’esplosione è tremenda. La vettura che precede quella del magistrato palermitano, con a bordo gli agenti  Antonio MontinaroRocco Dicillo e Vito Schifani, viene presa in pieno dalla deflagrazione e sbalzata in aria. L’auto di Falcone, invece, proprio per quel rallentamento evita la linea di fuoco venendosi però a trovare dinanzi ad un enorme muro di detriti da cui è investita.

Le conseguenze sono tremende: Falcone e la sua Francesca, Francesca Morvillo, muoiono di lì a poco assieme agli agenti della scorta nell’auto che li precedeva. Gli uomini della terza auto, quella che chiudeva il corteo, rimangono gravemente feriti ma sopravvivono. Sopravvive miracolosamente anche Giuseppe Costanza, l’autista che con quel “Scusi, scusi!” raccoglie le ultime parole di un uomo onesto, leale e coraggioso.

Sono passati trent’anni da quel 23 maggio. E il prossimo 19 luglio saranno passati trent’anni dall’uccisione di Paolo Borsellino, collega e amico di Falcone.
Falcone e Borsellino, Borsellino e Falcone: due siciliani animati dalla volontà di guarire la propria terra dal cancro mafioso; due uomini uniti da un destino comune di lotta e sacrificio.

Chiedi chi era Giovanni Falcone recensione documentario Rai
Chiedi chi era Giovanni Falcone documentario Rai di Gino Clemente a trent’anni dalla strage di Capaci (Credits: Rai Documentari/Indigo Stories)

Nel trentennale della strage di Capaci, Rai Documentari in coproduzione con Indigo Stories ha realizzato Chiedi chi era Giovanni Falcone, docufilm diretto da Gino Clemente che ne ha curato il soggetto e la sceneggiatura assieme a Francesca Lancini.
Si tratta di un ritratto del magistrato siciliano raccontato nella sua dimensione personale da coloro che lo ebbero vicino sia prima che durante gli anni della lotta alla mafia. Quello che emerge è un quadro inedito, a tratti intimo, in cui si ripercorre, assieme alla carriera, la vita privata di un giudice ormai passato alla Storia.

Il racconto parte da lontano, dai ricordi della sorella Maria nella casa di via Castrofilippo, nel quartiere Kalsa di Palermo, dove assieme al fratello trascorre l’infanzia e l’adolescenza. Da lì prende vita una sorta di flusso di coscienza in cui riemergono alcuni episodi della gioventù di Giovanni: l’iscrizione all’accademia militare, presto abbandonata per seguire gli studi di giurisprudenza, il primo matrimonio finito con il divorzio, l’amore ritrovato con Francesca, la grande ammirazione per Berlinguer e l’adesione al comunismo – lui proveniente da una famiglia profondamente democristiana – così spiegata alla stessa Maria: “Io credo nel comunismo in quanto forza che possa portare ad una minore disuguaglianza sociale”.

Ai ricordi familiari si aggiungono i racconti di amici, colleghi e collaboratori che, sviluppandosi linearmente nel tempo, mettono in parallelo la storia del giudice Falcone e quella dell’uomo Giovanni. Ripercorriamo così gli anni trascorsi a Trapani, i primi processi per mafia, il rapporto con la prima moglie, Rita Bonnici. Si tratta di un periodo tutto sommato sereno, fatto di amici, serate nei locali, salotti culturali. La sua proverbiale dedizione al lavoro riesce ancora a coniugarsi con l’esigenza di una vita privata, slegata da quella che presto diverrà una vera e propria missione. Giovanni ama lo sport, pratica il nuoto, non disdegna il calcio, e, anche grazie alla frequentazione con l’amico Girolamo Lo Verso, psicoterapeuta, si interessa alla lettura di testi di psicologia che lo aiutano a comprendere il fenomeno mafioso nella sua dimensione antropologico-culturale.

Giovanni Falcone
Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – Palermo, 23 maggio 1992)

L’arrivo a Palermo, alla fine degli anni Settanta, segna la svolta nella sua carriera e nella sua vita privata. Il collega Rocco Chinnici lo vuole nella sua squadra, gli assegna delicate inchieste di mafia. Il giudice Falcone prende sempre più spazio all’uomo Giovanni. E alla sorella Maria che gli chiede perché fa tutto questo, lui risponde laconico: “Si vive una volta sola”.
Vita e morte si intersecano sempre più pericolosamente. La strage del 29 luglio 1983, in cui Rocco Chinnici perde la vita, lo rende definitivamente consapevole del rischio che corre. La sua esistenza comincia a blindarsi. La paura viene esorcizzata con l’ironia.

È Marcelle Padovani, che con Falcone scriverà il libro Cose di Cosa Nostra, a raccontarci i suoi primi anni palermitani, i metodi innovativi, l’attenzione/preoccupazione della mafia per il suo operato. All’uomo pubblico aggiunge la dimensione privata. La giornalista francese ne sottolinea la disponibilità e la cortesia. Lo definisce un illuminista “convinto che la ragione alla fine ce la fa e vince”. Ne rimarca la profonda sicilianità: “Quando gli si chiedeva “Ma lei chi è?”, lui diceva “Sono siciliano. Anzi, palermitano”. E poi aggiungeva spesso “E questo mi aiuta a capire i mafiosi”. È un rapporto di collaborazione e amicizia che durerà sino alla fine.

Il tempo passa, la lotta si fa più dura. Giungiamo così agli anni di Buscetta, del maxiprocesso, dell’attentato fallito nella casa all’Addaura, alla stagione dei corvi e dei veleni. Falcone vive sempre più sotto scorta. Coi suoi angeli custodi imbastisce un rapporto di profondo affetto e familiarità che ci viene raccontato dai suoi autisti e collaboratori Giovanni Paparcuri e Giuseppe Costanza. Emergono episodi drammatici ma anche aneddoti divertenti, come quello in cui, durante il matrimonio dello stesso Paparcuri, Falcone e Borsellino iniziano a raccontare barzellette nel bel mezzo della cerimonia suscitando, con buona pace per il risentimento del sacerdote, l’ilarità di tutti gli invitati.

Falcone Borsellino
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

È un gusto per l’ironia che non abbandona Falcone nemmeno durante il periodo romano, come ci ricorda Giannicola Sinisi, suo amico e collega al Ministero della Giustizia: “Avevamo delle gag alla Ionesco. Gli piaceva moltissimo fraseggiare con l’assurdo. Quando andavo a trovarlo, bussavo alla porta e la risposta che lui mi dava era: “Non c’è nessuno”. E io dovevo rispondergli “Meno male che non sono venuto”.

Già, Ionesco, il teatro dell’assurdo. Assurdo come ciò che accade quel 23 maggio di trent’anni fa: il tritolo che esplode, l’auto che viene spazzata via. E la vita di un giudice impavido che, assieme a quella della moglie e di tre dei suoi angeli custodi, viene cancellata in un attimo.

O forse no, non c’è nulla di assurdo. Forse tutto rientra nella logica spietata della lotta tra bene e male, dove non sempre il primo prevale sul secondo. Perché non sempre la ragione ce la fa e vince. A volte la spunta il male, proprio come accade quel 23 maggio che porta via con sé uno degli uomini più coraggiosi che la storia d’Italia – e non solo – abbia mai conosciuto. Non un supereroe, ma “un uomo normale, un uomo perbene, un uomo che amava la vita” – per dirla con le parole dell’amico e giornalista Francesco La Licata. Un uomo che però “aveva un grande senso etico e un grande senso morale; un senso dello Stato irraggiungibile. Lui per fare il proprio dovere era disposto e disponibile a tutto.”

E di questo uomo normale si sente ancora oggi la mancanza. Una mancanza che ci fa ancora chiedere se il suo sacrificio, così come quello di Paolo Borsellino e delle tante altre persone “normali” che hanno reso la vita nella lotta alla mafia, sia servito a qualcosa. Se lo chiede anche l’amico Lo Verso, il quale dice che sì, ne è valsa la pena perché dopo la sua morte nessuno più ha potuto dire che la mafia non esiste.

Ma forse non basta questo per risponderci. C’è dell’altro, che sfugge alle spiegazioni razionali e ai dati che illustrano inequivocabilmente l’incidenza devastante dell’azione di Falcone nei confronti del fenomeno mafioso. E questo “altro” è rappresentato da quel sentimento di ammirazione e orgoglio che il suo ricordo, oggi come ieri, suscita in chi crede in una società giusta e imparziale. Un sentimento che affidiamo conclusivamente alle parole commosse di Maria Falcone: “Una cosa m’è rimasta nel cuore che gli avrei voluto dire: ti ho amato tanto come fratello, ma anche come cittadina italiana. Ciao Giovanni.”

Chiedi chi era Giovanni Falcone è attualmente visibile su RaiPlay.

Sintesi

Nel trentennale della strage di Capaci, Chiedi chi era Giovanni Falcone racconta la dimensione personale di Giovanni Falcone dipingendo un ritratto intimo che parte da lontano per poi ricongiungersi con quella che diviene presto una vera e propria missione, la lotta alla mafia, tra vita privata, dedizione al lavoro e alla giustizia, paura esorcizzata con l'ironia e l’incidenza devastante dell’azione del magistrato siciliano nei confronti del fenomeno mafioso.

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