Brian e Charles recensione film di Jim Archer con David Earl, Chris Hayward, Louise Brealey, Jamie Michie, Lynn Hunter e Lowri Izzard
Il mondo della comicità ne ha visti di personaggi stravaganti che, a modo loro, hanno fatto la storia, incastonandosi nella memoria collettiva. Di conseguenza, non è mai facile riuscire a spiccare in un panorama così agguerrito, pieno di voci differenti e, spesso, divergenti (ce lo ha dimostrato proprio recentemente il caos mediatico che si è scatenato attorno al “diverbio” tra Will Smith e Chris Rock). Eppure, dal cilindro della comicità qualcosa di diverso rispetto al solito coniglio continua ancora a uscire. Il caso è quello del particolare duo composto da Brian e Charles. Nati rispettivamente dalle menti di David Earl e Chris Hayward, questi due personaggi hanno avuto una vita “rocambolesca” prima di approdare sul grande schermo. Dapprima sui piccoli palchi “stand-up” inglesi, poi attraverso un cortometraggio pubblicato su YouTube, Brian Gittins e Charles Petrescu calcano le scene da diverso tempo, ormai, cosa che li ha resi, se non virali, almeno “cult” per una determinata nicchia di amanti della comicità. Il prossimo 31 agosto faranno il loro debutto anche nelle sale italiane con l’omonimo lungometraggio Brian e Charles. In questa recensione vi raccontiamo perché è uno di quei film da non perdere.
La genuinità è una qualità che non si trova spesso nel mondo dell’intrattenimento. Far ridere il pubblico è un obiettivo il più delle volte preso come una necessità, qualcosa a cui non si può sfuggire e che si deve per forza esibire con goliardica esasperazione. Un film come Brian e Charles è uno degli ultimi baluardi di una comicità che prova effettivamente a raccontare qualcosa, che sia una storia, un coacervo di relazioni interpersonali o anche solo una serie di incontri fortuiti. Le vicende girano attorno a Brian Gittins, un eccentrico inventore che abita in un isolato cottage perso nella campagna gallese. Un giorno, ha l’idea di costruire con le sue mani un robot utilizzando scarti di ogni sorta, dalla testa di un manichino trovata nell’immondizia a una lavatrice scassata. Il risultato di questo processo “fai da te” è Charles Petrescu, automa senziente capace di parlare attraverso un software di sintesi vocale.
Rispetto al breve cortometraggio (di appena dodici minuti), la nuova opera cinematografica, diretta sempre dal talentuoso Jim Archer, esplora molto più a fondo la relazione tra Brian e Charles, oltre a introdurre una sequela di dinamiche sociali completamente inedite. Infatti, il film, pur prediligendo sempre la relazione padre/figlio tra i due protagonisti, vede anche l’introduzione del tema romantico, attraverso il personaggio di Hazel (Louise Brealey), e della minaccia incombente, rappresentata dal violento vicino Eddie (Jamie Michie) e dalla sua famiglia di squilibrati. Queste dinamiche, seppur necessarie per creare un intreccio “classico”, vanno a influenzare la natura primordiale della pellicola. Infatti, le avventure di Brian e Charles sono rappresentate su schermo come se stessimo assistendo a un documentario, andando ad adottare lo stile del “mockumentary”, che ha già segnato il successo di diversi volti del panorama comico, tra cui Jemaine Clement e Taika Waititi (che recentemente abbiamo visto dietro la macchina da presa per Thor: Love and Thunder), corpo e anima del progetto What We Do In The Shadows. Se inizialmente ritroviamo l’atmosfera semi-realistica (e per questo molto esilarante) che avevamo già imparato ad amare con il cortometraggio, la centralità dell’intreccio narrativo subisce un’impennata tale da necessitare soluzioni stilistico-formali che vanno a mettere in secondo piano (se non proprio a dimenticare) le fondamenta documentaristiche sulle quali si sorregge la pellicola stessa.
Se non fosse per questa costante ricerca di quel “qualcosa in più” che dovrebbe legittimare la realizzazione di un lungometraggio partendo da queste premesse, il film risulterebbe senz’altro una delle opere comiche più inquadrate, solide e originali degli ultimi anni. Ciò grazie a quanto sorregge questo prodotto inusuale, a partire dalla strabiliante chimica che lega le esilaranti interpretazioni di Earl e Hayward. Visivamente, la complessità di alcune situazioni, scambi di battute, transizioni esaltano una capacità comunicativa veramente stupefacente, in grado di far risaltare le strambe e impacciate interazioni tra i protagonisti con una forza espressiva travolgente, mentre a livello sonoro, il commento musicale composto da Daniel Pemberton, sognante e “favolistico”, fa a lotta per il protagonismo con la piatta voce sintetica di Charles, che assume tutta una serie di diverse e cangianti sfumature emozionali grazie alla performance fisica di Hayward.