Sputnik recensione film di Egor Abramenko con Oksana Akinshina, Fedor Bondarchuk, Pyotr Fyodorov, Anton Vasilev e Aleksey Demidov
Un milione, milione, milione di rose rosse,
dalla finestra, dalla finestra, dalla finestra vedi tu.
Chi è innamorato, innamorato, innamorato veramente,
la sua vita per te la trasformerà in fiori.
(Sputnik)
Creare una mitologia aliena che brilli istantaneamente di luce propria al di là dei riferimenti ai canoni del genere: vincitore del miglior film internazionale di fantascienza all’ultimo Trieste Science + Fiction Festival dopo le nomination al Tribeca Film Festival e al Sitges in Spagna, Sputnik è un instant cult capace di tracciare la propria rotta nella fantascienza moderna grazie ad una storia solida, una tensione narrativa notevole, un’ambientazione intrigante tra storia e finzione e la genesi di una creatura dalle nobili stimmate.
Sono io. Questa è la mia punizione. Ho abbandonato mio figlio. Gli ho preferito il cosmo.
(Pyotr Fyodorov in Sputnik)
In epoca di guerra fredda, nel 1983 – il titolo dell’opera è un chiaro riferimento alla crisi dello Sputnik del 1957 che vide l’Unione Sovietica cercare di sopravanzare la supremazia tecnologica e missilistica degli Stati Uniti lanciando in orbita il satellite Sputnik 1 – i cosmonauti Konstantin Veshnyakov (Pyotr Fyodorov) e Kirill Averchenko (Aleksey Demidov) a bordo della navetta Orbit-4 subiscono un drammatico quanto misterioso incidente, durante il quale sopravvive soltanto l’eroe nazionale Konstantin Veshnyakov, trasferito segretamente e in tutta fretta in una base militare top secret, celata agli occhi dell’opinione pubblica e persino fuori dal controllo diretto del governo.
A comandare la base segreta il colonello Semiradov (interpretato dal pluripremiato attore moscovita Fedor Bondarchuk), disposto a tutto pur di consegnare alla madrepatria Russia un’arma segreta aliena dal potenziale inimmaginabile, in grado di spostare gli equilibri geopolitici e sopravanzare il nemico americano. Protagonista della storia è la scienziata Tatyana Klimova (la talentuosa e affermata Oksana Akinshina), scelta da Semiradov perché anch’ella disposta a tutto pur di riuscire nella sua professione medica, pronta ad accettare qualsiasi rischio in nome della scienza pur di salvare una vita.
Un’opera dall’ambientazione vibrante e dalla forte tensione emozionale, in cui le caratterizzazioni dei personaggi e le performance degli interpreti aggiungono spessore rispetto agli standard del genere: dal sottovalutato cult L’alieno (The Hidden, 1987) di Jack Sholder con Kyle MacLachlan a Specie mortale (Species, 1995) di Roger Donaldson con Natasha Henstridge, fino a The Astronaut’s Wife – La moglie dell’astronauta (1999) di Rand Ravich con Johnny Depp e Charlize Theron, senza necessariamente scomodare il capolavoro di John Carpenter La cosa (The Thing, 1982), Egor Abramenko ci consegna un nuovo cult della fantascienza che non va per sottrazione ma aggiunge, che non segue ma inventa, che, grazie alla sceneggiatura di Oleg Malovichko e Andrey Zolotarev, costruisce con coraggio il proprio universo con la rara capacità di donare spessore a ciascuno dei suoi personaggi, fino all’emozionante epilogo che disvela un intreccio di vite ed esperienze tra di essi e tra passato e presente.
Eppoi c’è lei: la creatura, memorabile, impressionante, un incrocio tra un cobra, una mantide religiosa e un insetto, superbamente creata da Main Road Post e dal supervisore degli effetti speciali Andrey Maximov che ha cercato di accontentare i desideri più selvaggi di Abramenko attraverso un lungo processo che ha dato vita ad un mostro eccezionale, in grado di trovare il suo spazio e la sua dignità tra Xenomorfi e Predator.
A chiudere il cerchio di questa solidissima opera, non poteva mancare una colonna sonora potente e riconoscibile, composta da Oleg Karpachev, in grado di esaltare l’oscurità nella quale prende vita la creatura ed il terrore negli occhi dello spettatore.