L’Angelo del Crimine

L’angelo del crimine recensione

L’angelo del crimine (El Angel) recensione del film diretto da Luis Ortega con Lorenzo Ferro, Chino Darín, Malena Villa, Daniel Fanego e Mercedes Morán

“Angelo della morte” fu il soprannome dato dai media a Carlos Robledo Puch, un adolescente dall’aria innocente che tra il 1971 e 1972 si ritiene abbia ucciso ben 11 persone e compiuto svariate rapine e che, ad oggi, dopo 46 anni di prigione, è il detenuto più “longevo” d’Argentina.

Il giovane Robledo Puch, magnificamente interpretato da Lorenzo Ferro, è un diciassettenne spavaldo con riccioli biondi ed il volto da bambino che, sin dalla sequenza iniziale, seduce e affascina lo spettatore.

L’incontro a scuola con Ramón (Chino Darin), dal quale è attratto, segna il suo ingresso nella vita criminale e scoprono insieme un mondo fatto di passione e crimine. Il protagonista non crede nella proprietà privata, è un ladro per divertimento che entra nelle case dei ricchi rubando solo ciò che gli piace. I primi minuti sono la chiave del film, con la voce fuori campo che afferma: “sono un ladro dalla nascita, non credo in questo è tuo e questo è mio”; un dogma nichilista e anarcoide sullo sfondo sovversivo della cultura pop dei primi ’70 costellato da droghe, giacche di pelle e musica rock.

L’Angelo del Crimine
Malena Villa e Lorenzo Ferro ne L’Angelo del Crimine
L’Angelo del Crimine
Chino Darín è Ramón

Luis Ortega con questo film si prende un rischio: delineare un criminale in un modo peculiare, non proponendo una semplice biografia dello stesso ma seguendo una interpretazione libera nel descrivere un archetipo di antieroe cinematografico sulle basi di una storia vera, ed il risultato finale è formidabile.

Il regista dipinge, grazie all’accentuato “glamour” del protagonista, una sorta di ribelle anticapitalista, un delinquente irriverente senza remore o complessi. Nel contesto sociale di quegli anni l’amoralità psicotica di “Carlitos” rappresenta una resistenza inconscia contro l’autorità ed il potere, una rivoluzione attuata per mezzo di atti selvaggi e folli. Ortega, insieme alla sua squadra, ricostruisce perfettamente l’atmosfera di quegli anni e la fotografia di Julián Apezteguía, ricca di colori satinati, sembra essere stata presa da un’opera di Andy Warhol.

La magia de L’Angelo del Crimine sta nella capacità del regista di diluire il disvalore negativo di Robledo Puch in una visione più dilatata, esplorando pienamente la libertà e la follia delinquenziale senza pur tuttavia mai giustificarla: il ritratto di un adolescente che quando tocca con mano la morte sembra non averne cognizione, privo com’è di sensi di colpa, quasi non capisse cosa stia realmente stia facendo.

L’Angelo del Crimine
L’Angelo del Crimine di Luis Ortega
L’Angelo del Crimine
Malena Villa e Lorenzo Ferro ne L’Angelo del Crimine

Perché questa ode all’adolescenza funzioni, tanto vivida quanto distruttiva, era fondamentale trovare un attore che le rendesse giustizia. Lorenzo Ferro, senza precedenti esperienze nel cinema, ha accettato la sfida ed il suo “Carlitos” è naturale, imprevedibile e al tempo stesso carico di ambiguità infantile.

L’Angelo del crimine, oltre ad essere un film esteticamente di grande resa, ci regala una rimarchevole colonna sonora che ripropone la musica del periodo e soprattutto si propone di esplorare la profondità di Carlos Robledo Puch quasi senza un giudizio morale. C’è solo il fascino del desiderio senza censura e senza colpa. Un mostro, che seduce come un diavolo travestito da cherubino.

Gabriela

Sintesi

Luis Ortega delinea il criminale Carlos Robledo Puch in modo peculiare, non proponendo una semplice biografia dello stesso ma seguendo una interpretazione libera nel descrivere un archetipo di antieroe cinematografico sulle basi di una storia vera, ed il risultato finale è formidabile.

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