Il primo giorno della mia vita

Il primo giorno della mia vita recensione film di Paolo Genovese con Toni Servillo e Valerio Mastandrea

Paolo Genovese dirige un dramma corale e metafisico, sullo sfondo di una Roma dai forti toni decadenti. La recensione de Il primo giorno della mia vita

Il primo giorno della mia vita recensione film di Paolo Genovese con Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco, Margherita Buy, Gabriele Cristini, Vittoria Puccini e Lino Guanciale

Due anni dopo Supereroi, Paolo Genovese torna al cinema con l’adattamento di un suo romanzo, Il primo giorno della mia vita. Il film del regista romano conta, come suo solito, su un cast di tutto rispetto, che comprende Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Sara Serraiocco, Margherita Buy, Gabriele Cristini, Vittoria Puccini e Lino Guanciale.

Un regista ambizioso

Il lavoro dell’enigmatico personaggio interpretato da Toni Servillo non è tra i più semplici: convincere un piccolo manipolo di persone a non suicidarsi, donando loro una prospettiva diversa sulle rispettive esistenze. Si interfaccerà con Arianna (Margherita Buy), una carabiniera che ha perso tragicamente la figlia, Napoleone (Valerio Mastandrea), un motivatore depresso, Emilia (Sara Serraiocco), una ex-ginnasta costretta sulla sedia a rotelle, e Daniele (Gabriele Cristini), un giovanissimo YouTuber trascurato dai genitori. Sospesi per una settimana tra la vita e e la morte, in un limbo di dickensiana memoria, questi quattro personaggi rifletteranno sulla validità effettiva del gesto più estremo di tutti, sullo sfondo di una Roma grigia e indifferente.

Gran parte dei film di Genovese è strutturata in modo particolare. Si pensi a Perfetti sconosciuti, entrato addirittura nel guinness dei primati per il numero di remake o al più recente The Place, in cui un gran numero di personaggi interagisce negli spazi ristretti di una semplice tavola calda della capitale. Sceneggiatura “fiume” e piccoli ambienti fortemente significativi hanno sempre distinto le opere più lodevoli dell’autore romano, creando uno stile definito da un’impronta registica piuttosto matura e ricorrendo ad un cast spesso molto nutrito e fedele al regista (Mastandrea può considerarsi a tutti gli effetti un attore feticcio di Genovese).

Vittoria Puccini e Toni Servillo
Vittoria Puccini e Toni Servillo (Credits: Medusa Film)

Il fascino di Roma

Il primo giorno della mia vita, però, si inserisce in modo non del tutto lineare tra i lavori precedenti di Genovese. Partiamo dalla sceneggiatura: se da un lato la storia alimenta l’intreccio intrigante di vari personaggi (come avviene in modo brillante in Tutta colpa di Freud, Perfetti sconosciuti e The Place), dall’altro i dialoghi risultano meno consistenti e più incisivi. Pertanto, la storia appare asciutta in favore di una semplicità più consona. Spiegare in modo didascalico le ragioni che portano delle persone a togliersi la vita sarebbe risultato proibitivo, ripiegare invece sulle parole non dette si rivela a conti fatti una mossa riuscita.

Un pregio del film è il modo davvero suggestivo di mostrare Roma grazie alle scenografie ora scarne ora di gusto decadente di Chiara Balducci, storica collaboratrice di Genovese. La capitale diventa personaggio essa stessa, in grado in interagire con gli umori – e le disperazioni – di Arianna, Napoleone, Emilia e Daniele. Inoltre, la scelta di inquadrarla svariate volte dall’alto, quasi come se l’occhio dello spettatore coincidesse con quello di un dio invisibile e giudicante, rende Il primo giorno della mia vita un film che solleva quesiti non banali e, anzi, piuttosto impegnativi. Ma il film dà risposte a questi quesiti “esistenziali”?

Il primo giorno della mia vita recensione film di Paolo Genovese
Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese (Credits: Medusa Film)

La risposta è tutto sommato semplice: Il primo giorno della mia vita cerca di fornire responsi non scontati – si salva chi può effettivamente essere salvato – ma convincono poco le scene che avrebbero sulla carta l’intento di emozionare lo spettatore. Come se la sospensione che caratterizza la prima parte del film, quella più enigmatica, non riuscisse a sciogliersi nella seconda, che avrebbe necessitato di molto più pathos. Inoltre, la prolissità di alcune scene centrali – una su tutte, quella ambientata in un cinema abbandonato – non aiuta la fluidità di un prodotto che, pur sfruttando al massimo le buone interpretazioni dei suoi personaggi, non coinvolge quanto dovrebbe.

Anche la sceneggiatura – quasi sempre il punto forte dei film di Genovese – risente alla lunga di questa lentezza metafisica. Si contano sulle dita di una mano le volte in cui emerge quella sagacia che spesso caratterizza la penna del regista romano. Il personaggio forse più “fortunato” – con un passato appassionante e ben raccontato – è Emilia, a cui la giovane Sara Serraiocco presta ottimamente corpo e voce. Dispiace invece per Toni Servillo che interpreta un angelo senza ali – à la Clarence de La vita è meravigliosa – poco carismatico e sin troppo dimesso; un peccato per un grande interprete del nostro cinema che dà il meglio di sé in ruoli diversi, più solidi e poliedrici.

Sintesi

Sullo sfondo suggestivo e decadente di una Roma grigia ed indifferente, che diventa protagonista interagendo con gli uomori e le disperazioni di personaggi sospesi tra la vita e la morte, Paolo Genovese dirige un dramma corale e metafisico che cerca di fornire responsi non scontati a quesiti esistenziali, non convincendo tuttavia pienamente sul piano delle emozioni.

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