Gli occhi del diavolo recensione film di Daniel Stamm con Jacqueline Byers, Christian Navarro, Colin Salmon, Nicholas Ralph e Ben Cross
Angela: Io non credo al diavolo
John: Peccato. Perché lui crede in te.
Constantine (2005)
Nell’ormai lontano 2005, Warner Bros. Pictures e Village Roadshow Pictures produssero e distribuirono un film (oggi una sorta di cult anche piuttosto dimenticato) tratto da fumetto di Garth Ennis, nel quale una sorta di investigatore dell’occulto, esorcista in proprio e perciò scalcagnato, violento, cupissimo e slegato da qualsiasi ambiente clericale, combatte il male andando a caccia di demoni in una Los Angeles piovosa, sporca e terribilmente infestata.
Un detective del male però che non esorcizza per passione, ma per avvicinarsi sempre più alla morte che, nella forma di un cancro ai polmoni, sembrerebbe volerlo trascinare con sé da diversi anni.
Ecco dunque che la vocazione diviene missione nient’affatto salvifica, piuttosto operazione definitiva, suicida e finalmente mortale. Quel film si intitola Constantine e lo scambio di battute sopra riportato si pone in relazione diretta con la materia narrativa de Gli occhi del diavolo (Prey for the Devil), il quarto lungometraggio di Daniel Stamm, regista tedesco classe 1976, prodotto dalla Gold Circle Film e distribuito da Lionsgate.
Da diversi anni a questa parte Stamm, con titoli come The Last Exorcism e 13 Sins, sembra interessarsi, più di ogni altro modello e canone narrativo, all’horror che racconta la relazione inevitabilmente presente e duratura tra l’ambiente clericale e il male, rappresentato dalla figura demoniaca per eccellenza, Satana.
Ne Gli occhi del diavolo il bene è rappresentato da Suor Anna (Jacqueline Byers), infermiera in un istituto religioso di Boston che si occupa di pazienti con sospetta possessione diabolica. Nel suo appartenere anima e corpo alla chiesa, Anna si ritrova a lottare, moralmente ed eticamente, prima con sé stessa e poi con i vertici dell’istituto. Un personaggio femminile piuttosto interessante, perché vorrebbe non solo ricoprire il ruolo tradizionalmente maschile dell’esorcista, ma anche operare in proprio, identificando nei traumi del suo passato, una forza e un dono che mai si sarebbe aspettata di avere: scovare e cacciare il male, entrando in contatto con l’anima buona della vittima designata, celata nelle profondità di un corpo molto spesso martoriato e orrendamente mutato da un demone.
Abituata a trattare i suoi casi clinici con freddezza e distacco, per la donna tutto cambia quando il male si insinua nel corpo troppo giovane di una bambina, Natalie (Posy Taylor), riconducendo Suor Anna ai demoni del suo passato: un’infanzia (e non solo) profondamente scioccante e traumatica fatta di abusi, violenze, paure e sbagli. Quei demoni per lei mai realmente svaniti, rimasti in silenzio e in agguato nei luoghi oscuri della sua memoria e della sua psiche, e che una volta per tutte vanno rimossi.
Come per John Constantine, per Suor Anna ritorna l’elaborazione personalissima e intimista della morte e dei traumi vissuti in un passato ormai estraneo e lontano, per accrescere un dono che è tuttavia condanna e che ancora una volta mette in relazione vita e morte, regno del bene e regno del male, via salvifica e via della dannazione.
Gli occhi del diavolo, ben consapevole di appartenere al florido filone horror sull’esorcismo e la possessione demoniaca, con tutte le sequenze del caso – dai corpi che si arrampicano rapidamente sulle pareti ghignando e contorcendosi, al body horror gommoso fatto di tagli, bulbi oculari capaci di ruotare senza sosta e via dicendo, fino alla mutazione delle voci e l’uso costante di jumpscares –, non prova mai realmente a compiere quel passo in più per distinguersi: approfondire il dramma attraverso la metafora della possessione come dipendenza costante dai traumi del vissuto, che condiziona le scelte e la quotidianità dell’individuo. Piuttosto, cerca di avvicinarvisi per poi fare dietrofront, offrendo alcuni momenti interessanti di dialogo sul confronto tra scelte del passato e scelte dell’oggi, sepolti fin troppo rapidamente da effetti scadenti e sequenze nient’affatto inquietanti, anzi banali e in definitiva scontate.
Ciò che il film ha di interessante però è la dubbia moralità della sua protagonista e dunque la volontà di presentare un personaggio femminile contrastante e stratificato, in continua lotta con sé stesso e visibilmente indeciso rispetto alle scelte da compiere, alla vita da intraprendere, e perciò fortemente destabilizzato di fronte alla chiarezza individuale e viscerale su temi quali la sessualità, la devozione e la fede. E in più, quel dono che ancora una volta torna al dialogo iniziale di Constantine: identificare il male, a cui puoi non credere, al quale le altre persone possono non credere, ma che trova sempre il modo di credere in te.
Gli occhi del diavolo, un horror convenzionale dalla protagonista molto poco convenzionale. Rivedremo prossimamente Suor Anna? La risposta potrebbe sorprendere e per una volta perfino non deludere.