Arrivederci professore

Arrivederci professore recensione

Raccontare la malattia sul grande schermo non è facile ma questo non ha impedito a molti registi di cimentarsi con uno dei temi più delicati in assoluto. Una sfida persino più complicata rispetto alla trasposizione dell’elaborazione del lutto perché presuppone una fine, più difficile da narrare in rapporto a una ripartenza.

Arrivederci professore si apre con una scoperta funerea: un professore universitario di mezz’età viene a conoscenza di avere pochi mesi di vita per colpa di un cancro giunto ormai allo stadio terminale. La consapevolezza della fine lo porta quindi a mettere in discussione tutti i capisaldi della sua esistenza e a cercare di vivere veramente quel poco del tempo che gli rimane. Suddiviso in sei capitoli, il film non è nient’altro che un avvicinamento progressivo alla morte ma, nonostante questo, diventa anche un inno alla vita e all’importanza di non sprecare il nostro tempo.

Arrivederci professore
Johnny Depp diretto da Wayne Roberts in The Professor
Arrivederci professore
Johnny Depp in Arrivederci professore di Wayne Roberts

La scelta di raccontare questo punto di vista attraverso il personaggio di un docente universitario serve a mettere in luce le contraddizioni filosofiche di un processo innaturale. L’uomo, per sua costituzione, non può affrontare un percorso segnato, non può abbandonarsi con serenità alla fine imminente, soprattutto se nel pieno della sua maturità e non nel suo declino. Un tema non facile quello scelto dal regista Wayne Roberts perché c’è una cinematografia precedente che lo ha saputo raccontare con grandi risultati (come non ricordare Philadelphia, Mare dentro e il controverso Nick’s film di Wim Wenders).

Arrivederci professore ha un ulteriore elemento di interesse: il ritorno di Johnny Depp a un personaggio lontano da quelli che ultimamente lo hanno reso celebre, che siano di derivazione Burtoniana o meno. Impossibile non scorgere in questo racconto un riferimento alla vita privata dell’attore, fatta di eccessi (soprattutto alcolici) che lo hanno in parte allontanato dai riflettori dello star system.

Arrivederci professore
Arrivederci professore di Wayne Roberts
Johnny Depp
Johnny Depp in una scena del film

Arrivederci professore è, a tutti gli effetti, un film modellato su Johnny Depp, sulla sua sofferenza, sulla capacità di portare sullo schermo un dolore reale, concreto. La star entra di fatto a far parte del corpus (meta)narrativo e rende più stratificata una sceneggiatura facilona, troppo schematica nel suo andamento e che prende in prestito molte idee. È difficile raccontare qualcosa di nuovo sul tema e proprio per questo motivo Wayne Roberts si affida completamente a Depp e costruisce la storia intorno a lui, alla sua recitazione e alla sua capacità di comunicare la sofferenza. In questo sta la differenza tra Arrivederci professore e tutti gli altri film che hanno affrontato il tema della malattia.

Nonostante l’enfasi retorica di alcune scene e una costruzione artefatta, poco aderente alla realtà, funziona l’alchimia che si respira tra questo professore irrisolto e la sua famiglia. Diventa credibile l’incredibile proprio perché si intravede la sofferenza di un attore che è probabilmente alla ricerca di se stesso e che “usa” il racconto per ritrovarsi. C’è poco altro nel film e forse verrà presto dimenticato dai più. La possibilità di vedere Johnny Depp senza maschere, senza quella recitazione artificiale che ha contraddistinto molte delle sue ultime interpretazioni, rappresenta però un grande valore aggiunto. Arrivederci professore, al netto delle semplificazioni, delle strizzatine d’occhio e della ricerca della lacrima facile, ha una sua coerenza interna e si può considerare un film medio ma non mediocre. Il ritorno di Depp alla sua essenza di attore.

Sergio

Sintesi

Arrivederci professore fa diventare credibile l’incredibile attraverso la sofferenza di un attore alla ricerca di se stesso che usa il racconto per ritrovarsi. Il ritorno di Depp alla sua essenza di attore.

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