Youth (Spring)

Youth (Spring) recensione documentario di Wang Bing [Cannes 76]

In anteprima dal Festival di Cannes 2023 Youth (Spring), la recensione del documentario di Wang Bing sul dramma della fast fashion

Youth (Spring) recensione documentario di Wang Bing presentato in Concorso al Festival di Cannes 2023 76esima edizione

Youth (Spring): l’irresistibile gioventù cinese di Wang Bing

Oltre duecento minuti di documentario sono un tour de force per lo spettatore in sala ma l’ordinaria amministrazione per registi e documentaristi amati da festival europei come lo statunitense Frederick Wiseman e il collega cinese Wang Bing. Mettetevi comodi, ha implicitamente già suggerito il secondo, perché questo documentario oceanico e infinito presentato al Festival di Cannes in concorso (effetto dell’ultimo Leone d’Oro?) è solo la prima parte di una trilogia che negli intenti del suo creatore seguirà i giovani protagonisti su un lunghissimo arco temporale.

E dire che il solo Youth (Spring) ha richiesto ben cinque anni di riprese. Girato tra il 2014 e il 2019 nella città di Zhili, Youth (Spring) compie un lunghissimo viaggio all’interno delle cantine e delle piccole officine in cui vengono cuciti a velocità impressionante migliaia di capi al giorno. Non è però un film incentrato sulla fast fashion, né vuole essere (solo) una denuncia sui metodi, sui tempi e i costi di produzione di questo tipo di articoli d’abbigliamento prodotti velocemente e in grande quantità.

Youth (Spring) recensione documentario di Wang Bing
Youth (Spring) documentario di Wang Bing presentato al Festival di Cannes 2023 (Credits: House on Fire/Gladys Glover/CS Production)

Wang Bing è interessato a tutt’altro, ma è impossibile non farsi un’esame di coscienza vedendo il documentario e sentendosi snocciolare i numeri. Non immaginatevi bambini maltrattati o condizioni di lavoro disumane in maniera stereotipata, quanto un sistema feroce interiorizzato dai lavoratori a tutti i livelli. Forse è proprio l’atmosfera ordinaria e per lo più allegra in cui i giovanissimi protagonisti della pellicola mettono insieme montagne di giubbini, pantaloni e vestiti per bambini a impressionare. L’atmosfera rilassata e da tran tran quotidiano in cui si tratta affinché una giovane lavoratrice possa prendersi qualche giorno per abortire, anche se non ha finito la sua quota di abiti, in modo che a casa non si venga a sapere nulla e il suo onore rimanga intatto.

È un ritratto della Cina contemporanea inaspettato, ma per certi versi comunque brutale. Wang Bing segue un manipolo di lavoratori d’età compresa tra i 16 e i 27 anni chini sulle macchine da cucire nei casermoni dedicati all’industria dell’abbigliamento a Zhili. Le strade ingombre di rifiuti, le stanze dove dormono i lavoratori con i muri scrostati e bagni in comune, le cantinette che nulla hanno di un ambiente di lavoro sicuro e professionale parlano da sole. Anche e soprattutto per la somiglianza con certa rampante industria dei capannoni del Nord Est italiano o di certe realtà in bilico tra lavoro legale e nero nel Centro Sud. Tra Youth (Spring) di Wang Bing e Gomorra di Garrone con le sue fabbriche tessili quanti gradi di separazione ci sono? Pochissimi, a differenza di quanto ci piace raccontarci.

Wang Bing documenta il dramma della fast fashion
Wang Bing documenta il dramma della fast fashion (Credits: House on Fire/Gladys Glover/CS Production)

O di quanto piaccia raccontare alla Cina di oggi, un gigante le cui fondamenta sono ancora costituite da milioni di giovani delle province più rurali e povere che si trasferiscono per mesi o anni in brutti conglomerati industriali per fare un po’ di soldi e poi sistemarsi nelle città d’origine. Sono questi i protagonisti di Youth (Spring): giovanissimi uomini e donne in un’atmosfera da gita di una classe di scuola superiore che si sfidano a chi cuce più velocemente, battibeccano, amoreggiano, sparano dozzinale musica pop cinese a tutto volume.

Salvo poi farsi serissimi quando c’è da contrattare il prezzo dei capi. Wang Bing anche stavolta non prende posizione, ma fotografa questa bizzarra, lunghissima trattativa pseudo-sindacale tra lavoratori e proprietari dei laboratori di cucitura, che a loro volta gestiscono le consegne e le ordinazioni per conto di altri (mai citati). Wang Bing salta da un laboratorio all’altro mentre i lavoratori fanno frenetici calcoli sul prezzo a capo, perché tutto ovviamente è pagato a cottimo.

Wang Bing documenta il dramma della fast fashion
Wang Bing documenta il dramma della fast fashion (Credits: House on Fire/Gladys Glover/CS Production)

Diecimila capi di un modello sono questione di tre giorni di lavoro, per cui la lotta tra datori di lavoro e lavoratori è estenuante per ogni yuan di differenza pagato sul singolo capo, ma anche sui modelli più o meno popolari e sui tessuti più o meno semplici da cucire. Chi è veloce a cucire diventa un benchmark da cui poi ricavare a scalare la paga media per tutti. Chi non si trova bene può cercare condizioni migliori nel laboratorio dietro l’angolo, in infinite vie ricolme di opportunità, che producono i medesimi prodotti.

Chi è bravo e aspira a consegnare più di cinquemila capi si guarda costantemente intorno: la competizione è pervasiva, trasversale, ma convive con una solidarietà sorprendente tra lavoratori.

Non c’è dubbio che Youth (Spring) avrebbe potuto essere un film ben più asciutto ed essenziale e non l’impresa di visione che è: entri col sole ancora alto, esci che è già buio. Tuttavia è un ritratto inaspettato e toccante di una gioventù cinese di straordinaria vitalità, con una sua morale e filosofia fatta di guadagni e sbirciatine al cellulare, ma anche di ingenuità adolescenziali tra chi lavora gomito a gomito, chino sulle macchine da cucire.

Sintesi

Youth (Spring), considerando cosa racconta, dovrebbe ispirare malinconia, rabbia, invece l’entusiasmo che Wang Bing riesce a catturare è trascinante ed è il lascito più bello di questo documentario.

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