Natalie Erika James: intervista alla regista di Relic e Apartment 7A

Natalie Erika James: intervista alla regista dell’horror Relic e del prossimo thriller psicologico Apartment 7A

Abbiamo avuto il piacere di incontrare in video call Natalie Erika James, regista emergente che con la sua opera d’esordio, Relic, ha conquistato il pubblico internazionale, incluso quello italiano del Trieste Science + Fiction Festival.

Con Natalie abbiamo parlato del tema della decadenza, della sua passione per l’horror ed il gotico, del senso di restituzione nei confronti dei genitori e dei nonni, delle origini della storia e della mitologia di Relic, dei produttori che l’hanno sostenuta, da Jake Gyllenhaal e i fratelli Joe ed Anthony Russo a John Krasinski per il suo prossimo thriller psicologico Apartment 7A, dei suoi progetti futuri, di regia, scenografia, uso delle luci e del valore e dell’importanza del genere horror per rappresentare la realtà. Buona lettura!

MadMass.it incontra Natalie Erika James: l’intervista

Da dove nasce la storia di Relic?

Natalie Erika James: La storia di Relic nasce da una mia esperienza personale, il rapporto con mia nonna di origini giapponesi ammalata di Alzheimer, e sulla sensazione penosa nel non vederla più riconoscere le persone care, se stessa o la sua stessa casa.
Ho trascorso diverse estati presso la casa di mia nonna in Giappone e mi ha sempre inquietato. Essendo appassionata di horror ho deciso di coniugare entrambe le cose, la mia esperienza personale e il ricordo di quella casa e le memorie delle estati trascorse lì.

Relic di Natalie Erika James con Emily Mortimer, Robyn Nevin e Bella Heathcote
Relic di Natalie Erika James con Emily Mortimer, Robyn Nevin e Bella Heathcote
Quali sono le tue referenze cinematografiche e letterarie?

Natalie Erika James: Sono una grande appassionata di horror e letteratura gotica, ne apprezzo soprattutto la connessione tra i personaggi, amo gli horror asiatici di fine Anni ’90 – inizi Duemila come Ring (Ringu) di Hideo Nakata e Kairo di Kiyoshi Kurosawa, The Wicker Man di Robin Hardy, David Cronenberg e film come The Orphanage di Juan Antonio Bayona sono tra le mie fonti di ispirazione.
Punto ad avere sempre un rapporto diretto con la psicologia dei personaggi ed il tema della decadenza, ma che al contempo emerga l’aspetto horror della storia.

Quant’è centrale per te il senso di restituzione dei figli e dei nipoti nei confronti dei genitori e dei nonni, che abbiamo già visto nel tuo cortometraggio Creswick, per gli sforzi e le attenzioni profusi durante una vita intera?

Natalie Erika James: Questo aspetto gira fortemente intorno al concetto di senso di colpa che ho provato nei confronti di mia nonna, di cui mi sono presa cura ma, come accade quando si è molto presi dalla propria vita e si ha un parente in difficoltà, si ha sempre la sensazione di non aver fatto abbastanza e di non avergli dedicato abbastanza tempo.
Mi interessa l’evoluzione della dinamica familiare e la tensione che si crea nel momento in cui ci si rende conto di stare di fronte ad una persona che non ti e si riconosce più, e al contempo la figura femminile della donna caregiver che si prende cura degli altri, perciò in Relic ho costruito la storia su tre livelli di generazione femminile.
Per quanto riguarda il mio cortometraggio, Creswick, stavo cercando finanziamenti per un lungometraggio e attraverso di esso introducevo l’idea del film, il confronto con la mortalità dei genitori: il corto rappresenta il preambolo della storia che poi Relic ha sviluppato.

Relic ha visto il sostegno produttivo di Jake Gyllenhaal e dei fratelli Joe ed Anthony Russo. Com’è nata questa collaborazione?

Natalie Erika James: Con Creswick avevo già trovato un finanziamento australiano, ma grazie ai feedback del corto ho trovato un agente americano che mi ha introdotta negli Stati Uniti. Nine Stories Productions di Jake Gyllenhaal è stata la produzione che si è interessata di più al film e che soprattutto ne ha maggiormente capito ed apprezzato il rapporto tra l’aspetto drammatico e quello horror, laddove altri produttori avrebbero magari voluto spingere maggiormente sulle dinamiche horror e meno sul “contenuto”, mentre in Relic è possibile apprezzare la forte presenza anche dell’altro genere.
A seguito del secondo draft della sceneggiatura sono arrivati i fratelli Joe ed Anthony Russo: a quei tempi stavano lavorando agli effetti speciali di Avengers: Endgame e sono stati molto disponibili nel dedicare del tempo al mio film in post-produzione,ed è un grande vantaggio quando hai dei finanziatori che sono anche registi poiché possono apportare un effettivo contributo al film, anche grazie a loro la scrittura ha funzionato molto bene e alla fine il budget si è aggirato intorno ai 5-6 milioni di dollari.

Il sistema modulare ideato da Steven Jones-Evans
Il sistema modulare ideato dal production designer Steven Jones-Evans (Credits: Sundance Institute on YouTube)
Come hai valorizzato attraverso la tua regia gli oggetti di scena e le scenografie?

Natalie Erika James: Durante le riprese sono state utilizzate due diverse per case per le riprese negli interni ed in esterna, la casa aveva inoltre sono il primo piano quindi abbiamo dovuto interamente costruire il secondo piano, incluso il labirinto.
L’idea era quella di costruire uno spazio realistico che non portasse dunque ad un universo parallelo, ma che mantenesse la stessa architettura del resto della casa in modo da rimanere coerente, ma introducendo al tempo stesso elementi che creassero la suspense, come porte si chiudono e scale senza via di sbocco.
Tuttavia realizzare il disegno originale del set avrebbe sforato il budget del 40%, quindi abbiamo dovuto ripensare l’idea per rientrate nel budget: il set designer Steven Jones-Evans ha progettato un sistema modulare che andava di volta in volta riassemblato in modo da far sembrare importante lo spazio, ma in realtà si trattava di due corridoi che di notte venivano smontati e rimontati per le riprese della scena successiva.
Per quanto riguarda gli oggetti di scena, così come nella storia si passa da una dinamica familiare ad una non familiare come capita quando un genitore o un parente pian piano si dimentica dei propri cari, passando quindi dall’ambito del conosciuto allo sconosciuto a causa della sua decadenza, così la stessa casa muta e tutti i ricordi della nipote Sam (Bella Heathcote) pian piano diventano oggetti sconosciuti che, come la nonna Edna (Robyn Nevin), affrontano il processo di decadimento.

Quali sono i tuoi prossimi progetti? Rimarrai nell’horror o ti cimenterai in altri generi?

Natalie Erika James: Rimarrò nel genere dell’horror psicologico, sto lavorando a diversi progetti al momento. In particolare svilupperò una storia di folklore inglese ambientata in un setting giapponese con atmosfere simili a Rosemary’s Baby.
Questo progetto è incentrato sulla maternità a molti livelli e sul rapporto tra madre e figlio, tra profonda paura psicologica, controllo del proprio corpo e body horror (NdR: Si riferisce ai temi del corto Drum Wave oppure al prossimo lungometraggio Apartment 7A?).

Parli giapponese?

Natalie Erika James: Si, parlo giapponese anche se in modo non professionale.
Ho vissuto in Giappone fino ai sei anni e sono rimasta molto legata alla cultura e alle tradizioni del Paese, sono molto interessanti ed importanti per me
.

Bella Heathcote (Credits: Blue Swan Entertainment)
Bella Heathcote (Credits: Blue Swan Entertainment)
Parlaci del cast: Robyn Nevin, Emily Mortimer e Bella Heathcote sono state le scelte che avevi in mente sin dall’inizio?

Natalie Erika James: Il processo di casting è stato abbastanza spontaneo, non avevo pensato a queste attrici ma le conoscevo ed apprezzavo per altri ruoli.
Le ho conosciute negli Stati Uniti in fase di finanziamento del film e ci siamo incontrate per parlare del tema del dolore e di come percepissero la sceneggiatura, andando dunque oltre la prova del copione per condividere le nostre esperienze e l’interpretazione della storia.
Robyn Nevin dà vita ad Edna, un personaggio molto forte ed accogliente che poi diventa sempre più aggressivo; Emily Mortimer interpreta Kay: il suo personaggio era molto più severo e freddo nella sceneggiatura rispetto a come lei l’ha poi effettivamente interpretato, ed è stata una bellissima scoperta come Emily abbia donato umanità e sensibilità ad un ruolo che altrimenti sarebbe stato molto più distaccato.
Bella Heathcote è una donna estremamente concreta nella vita di tutti i giorni e con i piedi per terra, ed è entrata perfettamente nella parte di Sam.
Una volta rientrata in Australia abbiamo continuato a sentirci condividendo le nostre vedute ed esperienze personali in modo che potessero entrare al meglio nei personaggi, sono state molto collaborative e non mi hanno mai fatto sentire come una regista alla prima opera, mettendomi sempre a mio agio.
Erano preoccupate di per i reshoot proprio perché è molto impegnativo calarsi in ruoli del genere, ma loro sono state bravissime.

Ci ha colpito molto la mitologia di Relic, sapientemente disseminata lungo la narrazione attraverso indizi e riferimenti. Puoi rivelarci qualcosa di più?

Natalie Erika James: Apprezzo molto che vi abbia colpito, cerco sempre di rimanere vaga nelle mie storie in modo che gli spettatori possano sviluppare la propria interpretazione della dimensione narrativa nella quale vengono immersi.
Tutto ruota intorno ai concetti di abbandono e sofferenza personale: avevo letto diversi casi di cronaca in Giappone di persone che venivano ritrovate morte in casa dopo giorni o addirittura settimane perché non ricevevano visite o cure da parte di nessun parente, morendo letteralmente da sole, una fine struggente e terribile.
Ho cercato dunque di traslare la cosiddetta “logica del fantasma”, ossia che se hai vissuto una vita nel dolore e nel rimorso lasciando qualcosa di incompiuto, allora è più probabile che la tua dimensione extracorporea rimanga qui da noi sulla Terra.
Nella mitologia di Relic ho introdotto un personaggio, un antenato che era stato colpevolmente abbandonato e lasciato a morire da solo, il suo spirito ha preso radici nella casa infestandone le finestre e i vetri che, una volta trasportati dalla capanna all’abitazione, hanno attecchito infestando tutta la casa, simboleggiando il peccato originale dell’abbandono e dell’incuria.

Le scenografie di Relic
Le scenografie di Relic (Credits: Sundance Institute on YouTube)
L’illuminazione gioca un ruolo importante in Relic, attaverso l’utilizzo del nero e dei passaggi tra la luce e le zone oscure.

Natalie Erika James: Abbiamo utilizzato la fotografia ed il set design per creare spazi nell’inquadratura che non fossero ben comprensibili, in modo che si percepisse sempre qualcosa di nascosto ed indistinguibile, parallelismo con la mente di Edna che a causa della malattia viene offuscata da zone oscure, ombre e aspetti che non possiamo capire.
Tutto ciò è stato reso possibile da un efficace lavoro sulle luci con le quali abbiamo sempre creato delle zone d’ombra, che rappresentano le cose che non riusciamo a vedere ma soprattutto a capire.

Negli ultimi anni si sta affermando una corrente autoriale nel cinema horror grazie a filmmaker come Ari Aster, Robert Eggers e Oz Perkins: il futuro del cinema horror moderno è rappresentato dall’horror autoriale?

Natalie Erika James: I registi horror hanno sempre utilizzato questo strumento per parlare del mondo e della realtà attraverso una lente che rendesse le loro storie più catartiche e grafiche, ma è sempre stata una componente descrittiva del genere stesso.
Quello che è cambiato adesso è la comprensione da parte del pubblico che l’horror possa essere un veicolo della rappresentazione della realtà.
Le storie horror non vengono più considerate come gratuite, già negli Anni ’60 gli horror raccontavano la realtà ma il pubblico non era in grado di percepirlo. Adesso è un grande momento per lavorare su questo genere.

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