Memoria recensione film Cannes 74 di Apichatpong Weerasethakul con Tilda Swinton, Agnes Brekke, Elkin Díaz, Jeanne Balibar e Juan Pablo Urrego
I rischi del cinema evocativo
Amatissimo dai cinefili ma quasi sconosciuto al grande pubblico (pur avendo vinto la Palma d’Oro a Cannes nel 2010), Apichatpong Weerasethakul vive di cinema evocativo, lavorando sulle reazioni emotive più che su rigidi rapporti di causa e conseguenza. Una precisa scelta stilistica che comporta un’immediata conseguenza: la divisione del suo pubblico in ammiratori entusiasti e feroci detrattori, sulla base della capacità non scontata delle sue immagini di evocare qualcosa a livello emotivo nello spettatore. Non manca di messaggi o risposte la sua pellicola tipo: queste però arrivano come un’improvvisa realizzazione, un’illuminazione imprevista. Se arrivano.
Un cinema così allusivo può essere insidioso, specie se poi è connesso a una sensibilità come quella thailandese, che già prevede un bel po’ di lost in translation per lo spettatore europeo. Quella del sud est asiatico è una realtà culturale e spirituale in cui spesso la morte è onnipresente, sì, ma come uno dei tanti stadi della vita umana; è priva della dimensione definitiva e angosciante propria dell’Occidente. Vivi e morti sono divisi solo dalla corporeità dei primi rispetto all’immaterialità dei secondi, ma condividono lo stesso mondo, così come raccontato nel poetico Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti.
Il sinistro rumore del tempo
Sin dal titolo, Memoria allude alla traccia di ciò che è stato sulla Terra che ancora vibra nell’aria e nei luoghi, irrompendo nell’esistenza degli individui. Succede a Jessica Holland (Tilda Swinton), che in visita a Bogotá alla sorella ospedalizzata comincia a sentire un misterioso rumore che solo lei sembra in grado di captare. Anche la malattia improvvisa della sorella sembra in qualche modo connessa ai suoi studi sul “popolo invisibile” (e che vuole rimanere tale), che vive nei recessi delle foreste colombiane e che protegge la propria irrintracciabilità con rituali dedicati.
Ci sono scheletri di oltre 6000 anni fa e presenze futuristiche in Memoria, una pellicola che più la protagonista si avvicina a un senso di realizzazione rispetto a quello che le sta succedendo più sfuma il piano temporale, suggerendo una dimensione umana in cui l’incontro con l’ignoto e l’inconoscibile (che sia un rumore metallico, una maledizione o gli spiriti nefasti da far uscire dalla scatola cranica) è parte stessa del vivere. Nello stesso luogo fluiscono contemporaneamente passato, presente e futuro e non è raro imbattersi in ciò che è stato o sarà, salvo rendersene conto a posteriori.
Tilda Swinton, una roccia nel mare del tempo
In un cinema tanto spirituale e allusivo, in cui è vivamente sconsigliato andare a caccia di risposte precise (che possono essere intuire ma non verranno mai esplicitamente date), la presenza di Tilda Swinton (che si alterna tra inglese e spagnolo) è un toccasana vero. Specialista in ruoli bizzarri e surreali, la musa di Anderson e Guadagnino dona stabilità e concretezza in un film tanto etereo che rischia di diventare evanescente ed evaporare da un momento all’altro.
Come prevedibile la dimensione sonora la fa da padrona in questo film, con un missaggio sonoro e un’effettistica davvero curate: il consiglio quindi è quello di vederlo nella sala con il miglior impianto audio delle vostre vicinanze.
Un ritorno molto riuscito ma non stellare per Apichatpong Weerasethakul, per cui vale il consiglio di sempre. Se sapete di essere già in sintonia col suo cinema, tenete d’occhio MUBI (dove il film arriverà in esclusiva per l’Italia). Se invece faticate a connetterci con il suo cinema evocativo, fateci un pensierino comunque: Tilda Swinton potrebbe traghettarvi lungo la pellicola fino a percepire l’eco emotivo di una connessione col registro spirituale del regista thailandese.