Meander recensione film di Mathieu Turi con Gaia Weiss e Peter Franzén presentato in anteprima al Trieste Science + Fiction Festival 2020
Presentato in anteprima al Trieste Science + Fiction Festival 2020, l’ultimo film di Mathieu Turi, nome già affermato nel genere grazie alla sua opera prima Hostile dopo le esperienze come assistente alla regia in G.I. Joe – La nascita dei Cobra e Bastille Day – Il colpo del secolo, Meander si presenta sulla scia dei trapped movies, quali Buried – Sepolto, Cube – Il cubo, Brake e Monolith, che vedono il protagonista misteriosamente intrappolato e in una situazione critica, a rischio della vita e con un countdown verso morte certa.
La principale criticità di opere cinematografiche come Meander sta nel realismo e nel grado di coinvolgimento che negli ultimi anni hanno sviluppato le altre forme di intrattenimento, non soltanto il settore all’avanguardia dei videogiochi, magari con il supporto della realtà estesa, ma anche le escape room, dalle più classiche a quelle “amplificate” dalla realtà virtuale e aumentata, che di fatto riducono sensibilmente il grado di coinvolgimento di esperienze in 2D e prive di interattività come quelle di un film, al confronto con le esperienze di gioco interattive o vissute in prima persona.
Se il costume di “gioco” della protagonista (la brava Gaia Weiss, volto noto delle serie La Révolution e Vikings) rimanda a The Running Man, altre variazioni dal genere trapped alla fantascienza riguardano le evidenti citazioni ad Alien (e Duke Nukem), per quanto la contaminazione tra horror e sci-fi operata da Mathieu Turi per recuperare la tensione narrativa appaia piuttosto sfocata.
Se l’innesto con la fantascienza si dimostra poco fruttuoso e non funziona a dovere, tuttavia anche come trapped movie Meander stenta, a causa di un’esperienza narrativa che non mostra mai la protagonista – dall’acconciatura alla Aloy di Horizon Zero Dawn – davvero in pericolo di vita, sia per limitazioni negli aspetti tecnici che nel montaggio che non valorizza al meglio la tensione e lo shock.
Il regista Mathieu Turi, che abbiamo avuto il piacere di incontrare durante il Trieste Science + Fiction Festival 2020, ha sottolineato l’importanza, nella costruzione della storia, del viaggio personale della protagonista, tra il superamento di un lutto devastante e la sopravvivenza all’interno della trappola infernale nella quale viene scaraventata. Un viaggio alla riscoperta di sé che, tra filosofia e religione, porta Lisa a trovare la forza necessaria per andare avanti e superare tutte le prove che la attendono, fino alla conclusione della sua trascendente ed allegorica esperienza.
A nostro avviso tuttavia, tra virate sci-fi poco riuscite e una suspense che non decolla, a sostenere la pellicola sono i close-up sul volto di Gaia Weiss che con la sua espressività e la sua efficace mimica facciale cerca di mantenere salda la presa sullo spettatore, nonostante una scrittura pasticciata e una narrazione scarsamente avvincente.