Il mito della frontiera americana e la volontà di realizzare 6 episodi di ambientazione western che siano una rappresentazione del loro modo di intendere il cinema e il genere. Si può racchiudere in questa semplificazione The Ballad of Buster Scruggs, nuova fatica dei fratelli Coen, che tornano in Concorso con un film apparentemente rétro ma in realtà di grande fascino.
L’occasione dell’antologia consente infatti ai due registi di portare sul grande schermo un ventaglio di sfumature non indifferente, passando dalla commedia sgangherata al dramma. Come sempre, i Coen rivisitano il genere inserendo il loro umorismo beffardo, l’iper-violenza e momenti nostalgici.
The Ballad of Buster Scruggs si apre al meglio, con due episodi che sono una summa del loro magico tocco: ironici, taglienti, calibrati alla perfezione e fortemente riconoscibili. Nel film funzionano più i momenti di pura commedia, le trovate portate all’eccesso, il grand guignol dilagante. Nella prima parte ritroviamo i due autori al massimo della loro forma. Quando si passa, invece, agli episodi più drammatici ed esistenziali, si nota un lieve calo del ritmo e una maggiore omologazione a quanto già superbamente mostrato dal western in passato.
Nel suo complesso, però, The Ballad of Buster Scruggs emoziona proprio perché ha un cuore cinefilo e uno spirito postmoderno. Siamo lontani dai grandi film che hanno costellato la carriera dei due registi ma è ancora forte in loro la capacità di differenziarsi e di scegliere strade perigliose e poco battute. Come una ballata che si affievolisce, forse diventa malinconica, ma non smette mai di affascinare.
Sergio