L’accusa

L’accusa recensione film di Yvan Attal con Charlotte Gainsbourg e Mathieu Kassovitz [Anteprima]

L’accusa recensione film di Yvan Attal con Charlotte Gainsbourg, Mathieu Kassovitz, Ben Attal, Suzanne Jouannet, Benjamin Lavernhe e Audrey Dana

Una sera, a cena, Claire (Charlotte Gainsbourg) insieme al suo nuovo compagno Adam (Mathieu Kassovitz) ospitano i corrispettivi figli: Alexandre (Ben Attal) e Mila (Suzanne Jouannet). Finito il pasto, i due giovani, che si sono conosciuti in quell’occasione, escono di casa per andare ad una festa, ma forse non tutto andrà come previsto. Il mattino seguente Mila andrà a sporgere denuncia nei confronti di Alexandre, perché pare che questi l’abbia aggredita la notte appena trascorsa (L’accusa).
Un figlio di una famiglia facoltosa e dedito allo studio può aver mai commesso tale crimine? O è tutta una montatura per introdurre insicurezze – mai realmente sopite – in rapporti tesi e fragili?

Les choses humaines (da noi con il titolo L’accusa) da Yvan Attal e scritto in collaborazione con Yaël Langmann e Karine Tuil (anche scrittrice del romanzo dal quale è stato tratto il film) è un dramma processuale senz’anima e spessore (dal 24 febbraio al cinema tramite Movies Inspired), dove tutto è scandito in maniera schematica, assai lineare e fin troppo rigorosa per paura di prendere strade impervie e tortuose che potrebbero far deragliare. Non vi è mai lo spazio per lasciare tutto al caso, ogni elemento della narrazione porta sempre a delle cause (ed effetti) chiare e limpide.

Charlotte Gainsbourg
Charlotte Gainsbourg (Credits: Movies Inspired)
Suzanne Jouannet e Ben Attal
Suzanne Jouannet e Ben Attal (Credits: Movies Inspired)

Volendo essere oltremodo precisi, L’accusa pecca in diverse e gravissime ingenuità: narrazione prima sicura e decisa, poi frastagliata per disorientare gli spettatori; personaggi anonimi e monodimensionali (anche attori del calibro di Gainsbourg e Kassovitz appaiono spenti per via di una pessima scrittura, tra l’altro l’unico momento riuscito è verso il prefinale che li vede uniti); regia curata, ma senza idee o guizzi.

Attal prova a trovare un punto di incontro tra l’inquadratura precisa e il racconto feroce che mette in scena, ma fallisce nel tentativo di far combaciare i due poli, appesantendo ancor di più quanto concepito in partenza.
Il film stagliandosi nel limbo tra il mostrare e l’oscurare, non riesce mai ad aprirsi e a concedersi l’attimo giusto per far capire le traiettorie che vuole percorrere.

Se da un lato appare come il classico lungometraggio di denuncia contro le atrocità commesse dal genere umano, dall’altro sembra quasi smentire i dettami che compongono opere del genere, tanto da far passare il carnefice come uno dei tanti e per questo giustificabile. Vien da chiedersi in nome di chi o cosa una persona può ritenere meno riprovevoli tali atti, talvolta giustificabili in quanto facenti parte di un sistema sbagliato che permette tutto ciò. Si sa, le colpe sono sempre “altrove”, la verità non verrà mai a galla e non ci sarà alcuna giustizia. Ed è qui che si riscontra il maggior difetto del film perché non riesce mai a dare risposte rassicuranti e attacca (indistintamente) tutti e nessuno.
C’è da segnalare poi la totale apatia di gran parte del cast coinvolto nei confronti degli avvenimenti tumultuosi e insidiosi, tranne per quanto riguarda i due attori sopracitati, gli unici a credere negli intenti (nobili?) e nelle soluzioni della pellicola.

Charlotte Gainsbourg e Mathieu Kassovitz
Charlotte Gainsbourg e Mathieu Kassovitz (Credits: Movies Inspired)
Ben Attal durante il processo in L'accusa
Ben Attal durante il processo in L’accusa (Credits: Movies Inspired)

Dispiace vedere un racconto che vorrebbe farsi corale, affidarsi invece ad uno sparuto nucleo di protagonisti (chi è fuori dal cerchio principale assomiglia più ad una fugace presenza che ad un personaggio con uno scopo ben delineato).
Una storia di due famiglie (una ricca, l’altra povera) si poteva scrivere benissimo in maniera più concisa, intenta a mostrare solo i personaggi ritenuti fondamentali e ad eliminare quelli di contorno francamente inutili in un contesto del genere.

L’accusa è un film che già dal suo titolo dice molto: all’inizio si schiera per “i buoni” della storia, poi nel momento in cui deve prendere delle posizioni, lascia libero arbitrio allo spettatore, mandando in collisione quanto detto poc’anzi (quello che genera è solo un’immensa confusione).
È assolutamente lecito che l’autore non debba per forza prendere posizioni, però poi dove si colloca “l’accusa” mossa nella sua opera? Un grande controsenso, non trovate?

Sintesi

Yvan Attal prova a trovare un punto di incontro tra l’inquadratura precisa e il racconto feroce che mette in scena, ma non riesce nel tentativo di far combaciare i due poli stagliandosi nel limbo tra il mostrare e l’oscurare. L'accusa si rivela un dramma processuale senz'anima e con poco spessore, che incespica nel momento in cui deve prendere posizioni.

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