Caleidoscopio

Caleidoscopio recensione serie TV di Eric Garcia con Giancarlo Esposito [Netflix]

La recensione di Caleidoscopio: un prodotto con una struttura peculiare con la quale Netflix ha voluto stupire gli spettatori.

Caleidoscopio recensione serie TV di Eric Garcia con Giancarlo Esposito, Rufus Sewell, Paz Vega, Jai Courtney, Tati Gabrielle, Rosaline Elbay e Niousha Noor

Vivo come uno che sta sul bordo di un precipizio […] So che non è giusto chiedervi di vivere in questo modo, voglio farvi camminare su un terreno solido.
(Giancarlo esposito in Caleidoscopio)

C’è modo e modo di raccontare una storia al cinema o sul piccolo schermo. Si può iniziare, come di consueto, partendo dall’inizio e arrivando alla fine. Ma non è l’unico modo di procedere. Si può, infatti, partire dalla fine e ginugere all’inizio: uno degli esempi che rientrano in questo modus operandi è quello di Memento (2000) di Christopher Nolan.

Oppure si può raccontare la storia dal punto di vista dei personaggi, passo dopo passo, e qui i precedenti sono diversi: al cinema esempi classici sono Rashomon (1950) di Akira Kurosawa (che dà vita all’escamotage narrativo denominato, per l’appunto, Effetto Rashomon) e Rapina a Mano Armata (1956) di Stanley Kubrick; oppure esempi più moderni come Le Iene (1992) di Quentin Tarantino e L’Amore Bugiardo (2014) di David Fincher; e, ultimo arrivato, uscito al cinema ma pensato anche alla distribuzione come miniserie, troviamo Esterno Notte (2022) di Marco Bellocchio.

Ma un’altra forma di narrazione, quella “ad incastro”, è stata adottata da una delle prime serie distribuite nel 2023 dalla piattaforma di streaming Netflix: Caleidoscopio, firmata dall’autore statunitense Eric Garcia.

Jordan Mendoza, Peter Mark Kendall, Giancarlo Esposito, Jay Courtney e Rosaline Elbay
Jordan Mendoza, Peter Mark Kendall, Giancarlo Esposito, Jay Courtney e Rosaline Elbay (Credits: Netflix)

I mille volti di una rapina

Ci troviamo nel campo dell’heist story, che si inserisce nel macro-filone dei caper movie (traducibile in italiano come “film del colpo grosso”).

E abbiamo parecchi esempi di opere dedicate alle rapine nel mondo del cinema: si va dalla commedia scanzonata de I soliti Ignoti (1958) di Mario Monicelli, al capolavoro d’azione e thriller poliziesco firmato da Micheal Mann Heat – La Sfida (1995), fino ad arrivare all’opera corale di genere in Ocean’s Eleven (2001) di Steven Soderbergh (e nei suoi numerosi seguiti) e al successo su Netflix (con esiti qualitativi però decisamente altalenanti) della serie TV spagnola La Casa di Carta (2017-2021) di Álex Pina.

La peculiarità della serie in oggetto, rispetto a tutte le opere sopra citate, è quella di non affrontare la rapina in modo direttamente consequenziale, ma di affrontare la vicenda come una sorta di indagine, raccogliendo le tracce e gli indizi disseminati. Ogni episodio funge infatti da pezzo per riscostruire il puzzle finale: una volta assemblati tutti al posto giusto, avremo un quadro completo della vicenda sotto ogni aspetto.

Giancarlo Esposito e Tati Gabrielle
Giancarlo Esposito e Tati Gabrielle (Credits: Netflix)

La metafora del caleidoscopio

La serie TV sfrutta un particolare meccanismo narrativo: ogni parte rappresenta una porzione della storia, ma non necessita di una visione lineare. Ogni pezzo del puzzle, infatti, può essere incastrato al posto giusto senza che uno abbia precedenza sull’altro (ad eccezione del finale, come precisato dagli autori della serie).

Si tratta di un escamotage strutturale già sperimentato in letteratura: ad esempio ne Il Birraio di Preston (1995) di Andrea Camilleri, dove ogni capitolo può essere letto senza precludere la comprensione del successivo o del precedente: l’ordine di lettura dei capitoli può essere variato senza che si perda così il senso della trama.

Caleidoscopio di Eric Garcia aderisce a questa struttura narrativa: ogni puntata affronta un diverso momento della rapina, sia dal punto di vista narrativo sia dal punto di vista temporale. Andiamo infatti dalla progettazione del colpo, parecchi anni prima, fino alle conseguenze a posteriori.

E lo fa attravero un curioso espediente utilizzato come metafora: quella del caleidoscopio, lo strumento ottico che si serve di specchi e frammenti di vetro o plastica colorati per creare una molteplicità di strutture simmetriche.

Ed è attraverso questi colori che si sviluppa simbolicamente l’intreccio: dopo il brevissimo incipit denominato Nero (che rappresenta il colore dalla luminosità teoricamente nulla, senza tinta, e quindi acromatico) ogni episodio ha il proprio colore di appartenenza, come una piccola parte dell’intero caleidoscopio.

Ed anche per questo motivo l’episodio Bianco (il colore che contiene globalmente tutti gli altri) dev’essere guardato per ultimo: si tratta del capitolo dedicato al giorno della rapina e funge da chiave di lettura e collante a tutti i precedenti.

Giancarlo Esposito e Peter Mark Kendall
Giancarlo Esposito e Peter Mark Kendall (Credits: Netflix)

Un esperimento riuscito?

Fin qui le premesse sono ottime: prima dell’uscita Caleidoscopio è stata una delle serie più chiacchierate e attese su Netflix con l’avvento del nuovo anno. Ma questi presupposti narrativamente rivoluzionari sono stati rispettati?

Dal punto di vista della struttura la risposta è affermativa: siamo comunque di fronte ad un meccanismo curioso, che porta lo spettatore ad uno sforzo superiore rispetto alla media. Chi inizialmente può trovarsi spaesato guardando i primi episodi, procedendo nella visione, finirà per possedere sempre maggiori strumenti per la comprensione finale.
E fin qui, possiamo dire, la missione è compiuta.

Tuttavia, a parte questo interessante espediente, ci troviamo comunque di fronte ad un prodotto nella media mainstream.

La storia nel complesso funziona, e in alcuni momenti tocca anche buoni momenti e picchi di intensità, ma in altri scade leggemente. Questo è dovuto ad episodi decisamente sopra la media (come ad esempio Viola, che narra come tutto iniziò) che tuttavia si accostano ad altri che risultano tediosi e scarsamente rilevanti anche per la trama finale.

A tratti si percepisce eccessivamente l’ispirazione ai vari film della trilogia Ocean’s e derivati di Steven Soderbergh, mentre altrove la narrazione diventa anche più avvincente con sprazzi di brillantezza alla Guy Ritchie, pur senza eguagliarne il livello.

L’impressione è che senza la narrazione ad incastro, che rende comunque questa serie un prodotto decisamente peculiare, ci saremmo trovati di fronte a qualcosa di già visto e rivisto, e saremmo scaduti in un prodotto di livello non più che sufficiente.

Caleidoscopio recensione serie TV di Eric Garcia con Giancarlo Esposito
Giancarlo Esposito (Credits: Netflix)

Un cast nel complesso buono ma non perfetto

I ruoli offerti dal casting sono stati affidati ad attori di buon livello, tra i quali spicca ovviamente Giancarlo Esposito, vero protagonista e catalizzatore di questa miniserie.

L’attore italo-emericano, emerso al cinema grazie a Fa’ la cosa giusta (1989) di Spike Lee e diventato noto a tutti grazie alle sue magistrali interpretazioni in Breaking Bad (2008-2013) e Better Call Saul (2015-2022, vincitore peraltro dei nostri Maddy Awards 2022 nella categoria Migliore serie TV) di Vince Gilligan e per la recente apparizione nell’universo di Star Wars in The Mandalorian (2019 – in produzione) di Jon Favreau, si fa notare ancora una volta per la sua bravura e la sua presenza scenica.

Ed è proprio attorno a lui che ruotano anche tutti i momenti migliori della serie, con uno sviluppo del personaggio durante i vari archi temporali che lo rendono senz’altro il protagonista più interessante.

Tra i comprimari si fanno notare Rufus Sewell, Jai Courtney e Niousha Noor (che emerge con la sua Nazan Abbasi), con buone interpretazioni che risultano funzionali allo sviluppo della trama.

Accanto a loro, però, ci troviamo di fronte a personaggi decisamente più stereotipati e sotto la media, come quelli interpretati da Paz Vega, Rosaline Elbay e Peter Mark Kendall che sembrano scritti in maniera poco approfondita e carente. Una migliore caratterizzazione di questi ultimi avrebbe aggiunto maggiore profondità anche a tutto l’insieme.

Una cast in definitiva che si affida un po’ troppo alla bravura di Esposito, nel complesso comunque sufficiente a portare a casa un risultato discreto. Come la serie stessa.

Sintesi

Caleidoscopio è un prodotto gradevole e godibile, e la peculiare narrazione "ad incastro" la rende un esperimento interessante nel panorama seriale odierno. Tuttavia, senza questo escamotage nell'intreccio, la miniserie di Eric Garcia risulterebbe qualcosa di già visto. A migliorare le cose ci pensa l'ottima prova di Giancarlo Esposito, che ancora una volta dimostra di essere un attore sopra la media e racchiude nel suo sviluppo personale l'intero spirito della serie.

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