Before Next Spring recensione film di Li Gen con Qi Xi, Xie Chengze, Niu Chao, Qiu Tian e Song Ningfeng presentato al Far East Film Festival 23
Diretto da Gen Li e presentato in concorso al Far East Film Festival 23, Before Next Spring è un delicato e autentico spaccato di vita quotidiana.
Quanto può essere difficile ambientarsi in un paese diverso da quello in cui sei nato, quando hai difficoltà a imparare la lingua e sei estremamente introverso? Questa è la situazione di un gruppo di studenti cinesi che vivono nei sobborghi di Tokyo e lavorano al ristorante Nankokute.
La manager del Nankokute (Xi Qi) vive ormai in Giappone da molti anni, è sposata e desidera un figlio, ma la complicata relazione con suo marito e un problema di salute sembrano complicare la situazione. Suo fratello è un timido studente di scambi internazionali, ha lasciato il Giappone dopo la malattia del padre e fa fatica a integrarsi, anche a causa dell’atteggiamento ostile di Zhao Aoki (Chao Niu), ragazzo difficile con un padre alcolizzato e violento, e innamorato di una collega di lavoro. Al Nankokute si ritrovano spesso anche una coppia di anziani che dispensano saggi consigli agli avventori, mentre il cuoco del ristorante spera di poter finalmente portare in Giappone il resto della sua famiglia, ancora in Cina.
Before Next Spring racconta le loro storie, intrecciandole abilmente e mostrando come, molte volte, la definizione di casa non coincide con un luogo fisico, ma piuttosto con un sentimento di sicurezza e familiarità. Un film intimo, non innovativo nella messa in scena, ma che ha una sua personale poesia interiore da raccontare e lo fa con grande abilità, facendo leva sui sentimenti più genuini e riuscendo a dare voce alle difficoltà di una generazione di giovani che emigra dalla Cina e fa fatica a integrarsi, molto spesso a causa della barriera linguistica e dei pregiudizi nei confronti degli stranieri.
La decisione di andar via è essenzialmente dovuta a una mancanza di possibilità economiche nel paese d’origine e da un desiderio di allontanarsi da luoghi in cui non si hanno legami veri. Ed è così che un piccolo ristorante nel cuore della città, tra migliaia di altri tutti uguali, diviene un centro di gravità per coloro che sentono di non avere un luogo a cui tornare, un rifugio su cui contare e che il regista Gen Li dipinge con colori caldi e accoglienti, con un’aria squisitamente familiare e raccolta, esattamente come l’intero film, che offre attimi di tenerezza e autenticità, senza sfociare nel patetico, ma dosando la dolcezza, come si fa con lo sciroppo di mandorle sui dolcetti di tofu.