Beautiful Boy

Beautiful Boy recensione

Beautiful Boy: la recensione del film sulla dipendenza con Steve Carell e Timothée Chalamet, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma

La drammatica storia della tossicodipendenza di un giovane, vista dagli occhi di un padre disperato. Ecco la recensione di “Beautiful Boy”, visto per voi al Festival del Cinema di Roma.

Non c’è niente di peggio di vedere un figlio che si autodistrugge lentamente e non c’è niente di peggio di non poter fare nulla, di essere incapaci di salvarlo.

Questo è il nodo narrativo alla base dell’ultima fatica di Felix Van Groeningen, regista e sceneggiatore belga, famoso per aver diretto quel piccolo capolavoro di Alabama Monroe, nominato agli Oscar del 2014.

I protagonisti sono Steve Carell, ottimo come sempre anche nel drammatico, che interpreta David Sheff, padre di Nic Sheff, un ragazzo dipendente dalle metanfetamine, interpretato da un eccellente Timothée Chalamet, giovane stella scoperta recentemente con Chiamami col tuo nome.
I genitori di Nic si sono separati ed il ragazzo abita a San Francisco col padre, mentre la madre è lontana a Los Angeles.
Prima di andare al college, dopo aver provato ogni tipo di droga, Nic rimane incastrato nella dipendenza da metanfetamina.
Non servono a nulla i centri di riabilitazione, poterlo salvare dipende solamente dalla perseveranza del padre, messa a dura prova dalle varie ricadute del figlio nel tunnel oscuro della droga.

La trama non è lineare, ma è ricca di salti temporali, con flashback che mostrano l’amore paterno nei confronti del figlio, nelle varie tappe della sua vita.
La scelta di casting è forse rischiosa: siamo abituati a vedere Steve Carell in ruoli comici, in cui riesce brillantemente, ma è nei ruoli drammatici a dare il meglio di sé.
Carell interpreta il ruolo di un padre, perennemente attanagliato dalla paura di ricevere una chiamata nel cuore della notte, che lo avverte della morte del figlio per overdose; un ruolo che gli calza a pennello; Carell riesce ad entrare nel cuore dello spettatore, ma soprattutto di ogni genitore preoccupato per la vita di un figlio problematico.

Chalamet non è da meno: il ruolo di Elio in Chiamami col tuo nome ci aveva aperto gli occhi sul talento di questo ragazzo, ma in Beautiful Boy ci regala una performance quasi perfetta. Nic è un ragazzo inquieto, aggressivo e paranoico, che vuole scappare da quel mostro che è la dipendenza da droghe, ma ogni volta che cerca di farlo, viene inghiottito di nuovo in quell’oscurità. Entrambi andranno tenuti d’occhio per i prossimi Acadamy Awards.

Togliendo le interpretazioni eccellenti dei due protagonisti, troviamo una trama sottotono, che aveva tutte le prerogative per essere un capolavoro, ma a cui manca qualcosa.
Nonostante i flashback ci diano la possibilità di vedere la crescita di Nic, da bambino innocente a ragazzo con dipendenza, manca quel quid in più, che non fa empatizzare totalmente lo spettatore con la storia.

Esistono decine, forse centinaia, di film che trattano la dipendenza dalla droga. Questo non è sicuramente uno dei migliori, ma se solitamente vediamo il punto di vista del drogato, questa volta il racconto ha un focus diverso e viene da un esterno quasi interno: un padre che vuole riavere indietro il figlio, che la metanfetamina sta portando via.

Beautiful Boy vale il biglietto anche solo per le interpretazioni di Carell e Chalamet, che creano un’alchimia speciale, un rapporto quasi reale tra un padre ed un figlio.
Un film che, comunque, profuma di Oscar.

P.s. per un’altra opinione sul film, leggete la recensione di Gabriela

Sintesi

Alle eccellenti interpretazioni dei protagonisti fa da contraltare una trama sottotono che non fa empatizzare totalmente lo spettatore con la storia. Steve Carell e Timothée Chalamet da Oscar.

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