Anatomy of a Fall recensione film di Justine Triet con Sandra Hüller, Swann Arlaud, Milo Machado-Graner, Jehnny Beth, Saadia Bentaieb e Samuel Theis
Anatomy of a Fall: anatomia di una Palma d’Oro
Justine Triet è avara di metafore e momenti meta-narrativi in un momento storico e in un Festival di Cannes che invece ne sono ricchissimi. Anatomy of a Fall è un thriller di grande scrittura sulle due facce di un matrimonio, camuffato da rigorosa analisi processuale. Un po’ Un giorno in pretura, un po’ Lydia Tár, un po’ Basic Instinct, ma con qualcosa che sfugge a tutti e tre i titoli a cui è paragonato: qualcosa che ci mette dentro la regia, la francese Justine Triet.
Una metafora Triet se la concede, proprio in apertura di film: un pallina cade dalle scale interne dello chalet dove si consumerà la morte (il delitto?) al centro del film. Non vediamo cosa è successo, se qualcuno ha lanciato il giocattolo al cane di casa o se invece è caduto per sbaglio.
In pochi secondi, anche se ancora non lo sappiamo, il film ci ha mostrato cosa farà nelle due ore successive: dissezionerà un’altra caduta fin nei più micragnosi dettagli, senza però mai mostrarci cosa sia successo prima e quale sia di fatto l’interpretazione corretta degli avvenimenti. La verità, si potrebbe dire, se non fosse che film come questo ci ricordano che la verità personale e sentita da ognuno in maniera differente, a partire da fatti comuni che si dimostrano straordinariamente permeabili a letture differenti.
Insieme al compagno Arthur Harari (a sua volta eccellente regista), Triet ha portato avanti la scrittura del copione, vero punto di forza di un film compatto in ogni comparto, che non ha rilevanti debolezze. In seguito, da regista, Triet ha tirato fuori un lavoro davvero eccellente per come segue il racconto verbale in un’aula di tribunale, senza mai smettere di raccontare per immagini l’ambiguità della verità ricostruita a posteriori.
In sostanza è come rivedere Basic Instict, ma calato in un mondo reale in cui le bionde belle e stronze sono tutt’altro che intoccabili. La bionda protagonista è Sandra, scrittrice tedesca di successo sposata a un francese. A interpretarla in un film che salta continuamente dall’inglese al francese (fatto molto inusuale per un film francese) è la tedesca Sandra Hüller, rivelatasi la regina di questa Cannes. Un talento per la recitazione enorme già rilevato in Ti presento Toni Erdmann. Un aneddoto dal set dà l’idea della sua mostruosa bravura: Triet ha rivelato di essere rimasta spiazzata dalla capacità dell’attrice di emanare la forza richiesta dalla parte sin dal primo ciak, inanellando una serie di “buona la prima” che hanno costretto la regista a rivedere un po’ il suo processo di lavorazione sul set, più lento della reazione della protagonista.
Hüller qui interpreta una nuova Lydia Tar, una donna che ha una presenza pubblica importante ottenuta grazie al suo lavoro, che si trova a essere messa in discussione a 360° (come donna, amante, madre e anche scrittrice) durante un processo in cui è imputata per il presunto omicidio del marito.
Sandra infatti era presente nel momento in cui suo marito è caduto dal terzo piano del loro chalet in fase di ristrutturazione. Dormiva in camera sua, dopo aver lavorato un po’, nonostante il marito sparasse a tutto volume la musica. E che musica: spiazzante ma graffiante la presenza della versione strumentale di P.I.M.P. di 50 Cent come canzone simbolo del film, protagonista delle perizie e poi sparata a tutto volume anche in fase dibattimentale.
Il marito di Sandra è caduto per errore? Improbabile, data l’altezza del parapetto? Si è quindi suicidato? Forse, ma alcuni elementi nella prima ricostruzione lasciano spazio al dubbio che sia stata Sandra a buttarlo giù dalla finestra.
Il processo però si fonda su prove così indiziarie e inconclusive che non può che trasformarsi in un dibattimento non sull’omicidio, bensì su Sandra. Pian piano il marcio viene a galla e tutto viene messo in dubbio.
Potrebbe aver copiato l’idea migliore del suo libro da un tentativo abortito del marito senza il suo permesso. In quanto bisessuale, potrebbe aver tradito il compagno più di una volta, scatenandone l’ira. Potrebbe essere una cattiva madre, avendo scaricato sul marito gran parte del lavoro d’educativo del figlio.
Per giunta Sandra ha chiesto di difenderla a un amico avvocato (Swann Arlaund) che è palesemente innamorato di lei da tempo immemore, rivelando un certo grado di manipolazione nella relazione con lui, con il figlio, con la laureanda che vuole intervistarla per la tesi.
Sandra però ha una risposta e una spiegazione per tutto, anche perché il marito è un suo doppio, una persona complementare: uno che spara a tutto volume P.I.M.P. di 50 Cent durante un’intervista della moglie e registra di nascosto le litigate con lei non suona esattamente come una vittima, ma questo non significa che meritasse di morire. Lui è in una bara, non a processo come Sandra.
Processo che scuote le poche certezze del figlio della coppia (un ottimo Milo Machado Graner), a cui il film, come a noi, chiede di scegliere. Non potendo sapere come sia veramente andata, decidi consapevolmente a che versione credere. Anche il cagnolino di casa (protagonista di una scena incredibile di grande recitazione) rischia di essere una vittima di un ultimo tentativo disperato di capire cosa sia vero e cosa no.
L’unica verità che emerge da Anatomy of a Fall è che è difficile da fuori valutare la tenuta di un matrimonio e le dinamiche di potere dentro una relazione, forse è anche inutile farlo. Tanto che l’avvocato della difesa continua a essere irretito da Sandra, anche se è chiaro che anche lui ha qualche dubbio in merito alla sua innocenza. La verità è soggettiva e va accettata nel suo essere percepita in modo diverso da persone diverse. Lo ricordiamo però solo quando ci scappa il morto e le circostanze e la legge ci impongono di decidere da che parte stare.