A Shot Through The Wall recensione film di Aimee Long con Kenny Leu, Ciara Renée, Tzi Ma, Fiona Fu e Lynn Chen Fuori Concorso al Torino Film Festival
Tu non sai cosa si prova a crescere in un mondo in cui, se parli a un poliziotto,
rischi di morire solo per il colore della tua pelle.
(Ciara Renée in A Shot Through The Wall)
In epoca di Black Lives Matter, il movimento attivista impegnato contro il razzismo verso le persone nere che ha acquisito suo malgrado rinnovato vigore dopo l’assassinio di George Floyd da parte di agenti di polizia di Minneapolis, l’esordiente Aimee Long ritorna sull’argomento della discriminazione razziale con l’opera prima A Shot Through The Wall che, attraverso il suo incipit frenetico, strozza il fiato in gola dello spettatore fino all’accidentale colpo di arma da fuoco che uccide un ragazzo di colore inerme per mano di un agente di polizia di origini asiatiche.
Il gesto maldestro di un poliziotto colpevole di una sciagurata disattenzione spezza il futuro di un giovane ragazzo di colore brillante e rispettabile, e con esso la vita dei suoi familiari, in una storia liberamente ispirata al vero omicidio dell’afromaericano Akai Gurley da parte del poliziotto asiatico Peter Liang.
Aimee Long mostra una messa a fuoco sugli eventi drammatica e sempre tesa, vibrante ed emozionale, in un racconto che segue la discesa negli inferi del protagonista tra crisi personale, sentimentale e professionale.
Il protagonista Mike, interpretato da Kenny Leu, è abilmente ritratto come un uomo immaturo, viziato e maldestro, da biasimare piuttosto che supportare, e circondarlo di volti ingombranti del cinema asiatico come Tzi Ma (Mulan) e Fiona Fu (Away) e legarlo alla figura prestante della compagna Candace, interpretata da Ciara Renée (Legends of Tomorrow), non fa altro che sminuirlo in modo subliminale sia all’interno del contesto narrativo che ai nostri occhi di spettatori e giudici, in un processo dove è l’immagine a contare più della sostanza, in un caso razziale che offre un capro espiatorio sacrificabile – di razza cinese – da dare in pasto ai lupi per mettere a tacere le polemiche contro il dipartimento di polizia, affinché un uomo solo paghi per tutti i poliziotti razzisti sulle strade.
La seconda parte della pellicola perde tuttavia vigore, rimanendo sfocata sia nel delineare i contorni della posizione politica del dipartimento di polizia – oltre che dell’autrice – che nel declinare la crisi del protagonista, confusionale e contraddittoria, fino al tardivo ravvedimento e alla presa di coscienza a ridosso del climax finale lanciato forse fuori tempo, in una fase calante della narrazione che ne depotenzia il significato finale e non fa emergere al meglio il tema dell’incomunicabilità che il razzismo suscita, centrale nelle intenzioni della regista.
Opera sul razzismo e sul pregiudizio che cerca di esplorare le aree grigie del tema spingendo all’apertura di un dibattito che includa anche la comunità asioamericana, A Shot Through The Wall dimostra la grande capacità di Aimee Long di sentire e trasferire le emozioni umane sullo schermo, attraverso un’abile equilibrio di parole, espressioni e silenzi.