Intervista a Yeung Chiu-hoi regista di The First Girl I Loved [FEFF 24]

Intervista al regista di The First Girl I Loved, storia di formazione adolescenziale, presentata in anteprima italiana durante la ventiquattresima edizione del Far East Film Festival.

Conoscevi già Udine o avevi già programmato di venire qui al festival?

Yeung Chiu-hoi: Conoscevo Udine ma è la prima volta che vengo al festival, spesso ho pensato di poter far visita al festival in veste di attore ma non di regista, è un sogno essere qui nei panni di un regista. È stata una bella transizione, passare da recitare a dirigere, ho cambiato prospettiva dato che mi sono ritrovato davanti e adesso dietro la cinepresa. Quando sei un attore aspetti sempre che qualcosa succeda mentre da regista sei in grado di poterlo far succedere, di decidere le cose. Sono stato un attore per cinque, quasi sei anni, durante questo tempo mi sono reso conto che desideravo intensamente far succedere qualcosa, non soltanto aspettare le indicazioni. Durante le riprese capivo quando c’era qualcosa che non andava e mi impegnavo affinché le scene potessero essere girate nuovamente per migliorarle mentre, nella mia esperienza di attore, ho sempre avuto a che fare con situazioni in cui le riprese dovevano essere veloci di modo da rispettare scadenze stringenti ma il punto, secondo me, è farle meglio, non velocemente! Quando stavo ancora il film con Candy, co-regista, le dicevo di voler scrivere la sceneggiatura per poter poi girare le scene a mio piacimento ed era pienamente d’accordo. Abbiamo studiato insieme all’università ed abbiamo intrapreso insieme questo percorso per realizzare un film, abbiamo dovuto seguire tutti gli step necessari dalla ricerca di fondi statali – che fortunatamente sono stati sbloccati da alcuni investitori per noi – alla scrittura ed infine alla produzione finale.

The First Girl I Loved
The First Girl I Loved (Credits: FEFF)
Da quanto hai detto mi sembra di capire che, durante le riprese, hai cercato di creare un clima in cui tutti gli attori potessero sentirsi a proprio agio, cercando di riprendere situazioni con naturalezza e senza fretta, cercando, più che dirigere dando istruzioni, lasciare che le cose succedessero liberamente.

Yeung Chiu-hoi: Questa è una bella osservazione! Dunque, le due attrici protagoniste sono molto giovani e certo non posso imporre loro qualcosa che non si sentono di fare, anche se la sceneggiatura lo prevede. Ho cercato di lasciare loro la massima libertà possibile e, a volte, ho lasciato accesa la cinepresa anche quando finivamo di girare una scena per cogliere maggiore spontaneità e naturalezza nei loro gesti. Volevo che la loro relazione fosse naturale e non imposta o forzata, ci tenevo davvero che potessero sviluppare e coltivare un rapporto di amicizia reale, non soltanto nella finzione del film. Se, guardando questo film, il pubblico ha l’impressione che siano davvero amiche è perché con il tempo sono riuscite a diventarlo, è quello che volevo trasmettere fin dall’inizio. Prima di girare abbiamo avuto molti incontri con le attrici, abbiamo avuto lunghe conversazioni per conoscerci meglio e per instaurare un rapporto di fiducia che non si limitasse soltanto alla giornata di riprese ma che potesse durare nel tempo. Anche io provengo da un retroterra attoriale per cui so bene che cosa pensano e che cosa sentono quando arriva il momento di girare una scena particolarmente intensa. È molto importante creare questo rapporto di fiducia di modo da poter dirigere nel modo più libero e naturale possibile un film: l’attore deve potersi fidare e accettare di essere guidato, non necessariamente diretto, in questo progetto. Spesso davo loro suggerimenti che loro hanno seguito, ci siamo incontrati a metà strada per realizzare quella che era la mia idea di film. Alcune scene che alla fine sono state inserite nel film sono state registrate “inconsapevolmente”, d’accordo con il cast ho lasciato la cinepresa accesa per catturare i piccoli dettagli e gesti quotidiani che non sempre vengono scritturati o su cui non si pone sempre la giusta attenzione ma che, alla fine, fanno davvero la differenza. Ci sono molte scene in cui gli attori stanno semplicemente interagendo tra di loro, non stanno recitando e, alla fine, abbiamo deciso di inserirle nel film. In particolare, le attrici protagoniste che sono ancora alle prime armi, quando arrivavamo a girare una scena cambiavano leggermente atteggiamento pensando di dover seguire alla lettera il copione. Dato che nel film sono stati realizzati molti primi piani, la naturalezza era l’elemento chiave, ho lasciato loro molta libertà di interpretazione, libertà che doveva arrivare al pubblico.

Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved
Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved (Credits: FEFF)
Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved
Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved (Credits: FEFF)
Quando hai pensato alla storia, il tuo intento era di arrivare a coinvolgere in particolare il pubblico LGBT+?

Yeung Chiu-hoi: È una domanda interessante perché moltissime persone me lo hanno chiesto, ma, in realtà, ho semplicemente voluto realizzare una storia d’amore e di amicizia. Non ho pensato nel dettaglio all’aspetto LGBT+, sono rimasto, a dire la verità, un po’ sorpreso nel vedere questo film etichettato come “film LGBT+”, per me è solo una storia d’amore. Potrei dirti che con questo film mi sono attivamente impegnato in una campagna, come molte volte mi è capitato di sentirmi dire, ma la verità è che ho voluto raccontare una storia d’amore come tante e l’amore ha molte sfaccettature. Il mio intento è di mostrare una storia che mi ha toccato e che, spero, possa toccare anche gli spettatori.

Nella storia, però, molti personaggi, soprattutto quelli di una certà età (genitori, preside della scuola che le ragazze frequentano) non vedono di buon occhio la relazione tra le due protagoniste. Immagino che il pubblico lo veda come una sorta di problema sociale, data la reazione della generazione più vecchia alla notizia di questo amore.

Yeung Chiu-hoi: Penso che la reazione degli adulti vada ricercata nello specifico contesto in cui la storia è inserita. Abbiamo ambientato le vicende delle due ragazze in una scuola cattolica femminile ed in questo caso è la religione ad ostacolare questo amore, ma si tratta comunque di uno sfondo. Con questo film non intendevo mettere in risalto lo scarto generazionale tra mentalità dei genitori e dei figli, ma capisco la tua domanda. I genitori, alla fine, non sono così contrari alla relazione.

Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved
Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved (Credits: FEFF)
Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved
Hedwig Tam e Renci Yeung in The First Girl I Loved (Credits: FEFF)
Vero, però comunque i genitori cercano di minimizzare quella che è una relazione importante nella vita delle rispettive figlie.

Yeung Chiu-hoi: Sì, hai ragione, cosa che, in un certo senso equivale a disincentivare la relazione o comunque separare le ragazze. Non cercano attivamente di interrompere questo rapporto che si è creato, cercano di minimizzarlo perché comunque, alla fine, sono dell’opinione che gli amori adolescenziali facciano presto ad iniziare ma anche a finire, come una scintilla che si accende improvvisamente ma che, alla fine, brucia per poco tempo. I genitori vorrebbero incarnare questa prospettiva di saggezza, data dall’esperienza e dagli anni che hanno vissuto ma, alla fine, finiscono per non dare grande peso all’accaduto.

Yeung Chiu-hoi presenta The First Girl I Loved al Far East Film Festival 24
Yeung Chiu-hoi presenta The First Girl I Loved al Far East Film Festival 24 (Credits: FEFF)
Come la vivi l’esperienza del Festival? Pensi che dia un grande contribuito alla distribuzione e diffusione del film poterlo presentare così lontano da casa?

Yeung Chiu-hoi: È la prima volta che vengo ad un festival cinematografico fuori da Hong Kong. Ci sono stati molti altri festival, nel frattempo (Osaka, Londra, Melbourne…) ma non sono riuscito ad andare in nessuno di questi per colpa del covid; adesso che sono riuscito a venire sono molto contento, sono qui per farmi nuovi amici, incontrare nuove persone e parlare del mio film. Penso che sia molto importante che questo film venga presentato ad un festival allestito in una città molto lontana da Hong Kong, ho trovato questo festival un’esperienza davvero positiva sotto ogni punto di vista e, soprattutto, culturalmente arricchente: ho avuto la possibilità di incontrare registi, parlare con loro, confrontarmi su diversi aspetti del mestiere. È un grande trampolino di lancio per conoscere meglio il settore e conoscere anche culture e usanze lontane da quella che può essere la mia sensibilità.

Sei qui in Italia ma vieni da molto lontano. Hai visto differenze nell’accoglienza da parte del pubblico tra Hong Kong e Udine?

Yeung Chiu-hoi: Sorprendentemente no! I commenti che ho sentito erano molto simili tra di loro, nonostante la grande distanza che separa questi due Paesi. Il pubblico si è molto emozionato, mi colpisce sempre vedere il film insieme agli spettatori al cinema e sentire il suono dei pacchetti di fazzoletti che iniziano ad aprirsi! Forse, l’unica differenza, se proprio devo dirtene una, è che a Hong Kong iniziano a piangere molto prima, verso metà film, mentre qui le lacrime sono scese soprattutto nella scena finale. Mi soprende sempre – positivamente, certo – sentire in quanti si soffiano il naso durante la proiezione!

Yeung Chiu-hoi presenta The First Girl I Loved al Far East Film Festival 24
Yeung Chiu-hoi presenta The First Girl I Loved al Far East Film Festival 24 (Credits: FEFF)
Quali sono state le tue principali fonti di ispirazione nella realizzazione del film?

Yeung Chiu-hoi: Domanda difficile… dunque, tutti hanno una top ten di movie, no? Se però dovessi dirti una precisa fonte di ispirazione ti direi che il desiderio di realizzare questo film nasce da un’esigenza concreta, dato che durante i primi anni duemila erano usciti numerosi film adolescenziali o comunque mirati ad un pubblico di young adults in molti paesi dell’Asia ma non a Hong Kong. In quanto cittadino, nato e cresciuto ad Hong Kong, non vedendo uscire niente di simile nel mio Paese, ho subito sentito l’esigenza di colmare questo vuoto. Mi sono confrontato con Candy sulla possibilità di realizzare un film che avesse come protagonisti ragazzi del liceo, ambientati a inizio anni duemila, esattamente nel periodo in cui noi eravamo studenti liceali.

Sì, ho notato l’ambientazione durante l’epidemia SARS.

Yeung Chiu-hoi: Davvero? Che occhio! Sì, ad Hong Kong è stata una tragedia, diversa da quella dal covid che ha colpito il mondo su scala molto più larga ma comunque si è trattato di un periodo drammatico che ho voluto ricordare nel film con il dettaglio delle mascherine a scuola. Adesso siamo molto più abituati, purtroppo, a questo tipo di scenario, ma al tempo non sapevamo minimamente come comportarci e tutti i miei esami di maturità prevedevano l’obbligo di indossare la mascherina, così come capita alla scuola in cui il film è ambientato. Sono stati anni molto memorabili senza ombra di dubbio e io e Candy volevamo regalare un ricordo della nostra generazione realizzando questo film proprio perché a Hong Kong siamo cresciuti senza pellicole del genere – a meno che non provenissero da altri paesi. Ho solo voluto “trascrivere” i miei ricordi del liceo, quindi penso che questa sia la principale fonte di ispirazione. Se però ti dovessi dire un titolo che mi ha in qualche modo guidato, ti direi You Are the Apple of My Eye, realizzato dal regista taiwanese Giddens Ko. È una storia molto semplice e schematica: un ragazzo innamorato di una ragazza che non lo considera, anche se entrambi starebbero molto bene insieme. La storia mi colpì molto e mi fece sentire molto coinvolto nella storia, arrivando a condividere le stesse emozioni del protagonista per cui volevo che anche il mio film potesse provocare la stessa reazione nel pubblico.

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