Toy Story 4: la recensione del film di Josh Cooley con Angelo Maggi, Massimo Dapporto, Cinzia De Carolis, Luca Laurenti, Corrado Guzzanti, Rossella Brescia
Andrea non sta più nella pelle. Di nuovo. È un po’ strano, dopo quasi vent’anni.
La prima volta che ha visto Toy Story nemmeno se la ricorda. Eppure, la mamma sa benissimo che quel film d’animazione sorprendente è stato il suo film preferito da bambino, sa quante volte ha consumato il VHS originale per andare verso l’infinito e oltre. Erano gli anni ’90 e lo sceriffo Woody e Buzz Lightyear prendevano vita in un mondo fantastico ma estremamente realistico davanti ai suoi occhi increduli. Come dargli torto? Da quel momento in poi sarebbe cominciata un’attesa spasmodica per averne ancora, non importa se avrebbe dovuto aspettare tre (Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa), undici (Toy Story 3 – La grande fuga) o ventitre anni (Toy Story 4) per assistere alle nuove avventure della banda di giocattoli.
Dopo tutto questo tempo, ancora segue dei giocattoli?! Andrea sorride, ecco la famigerata domanda.
Se dovesse provare a spiegare a qualcuno cosa renda Toy Story ancora così irresistibile, di certo partirebbe da quell’accezione negativa che proviene da faciloni e profani. Sì, sullo schermo ci sono pupazzi antropomorfizzati alle prese con avventure rocambolesche. Esplorano, però, lo spettro esistenziale con una raffinatezza e una profondità tali da renderli più umani dell’uomo. La forma-giocattolo è il contenitore ideale per scandagliare i confini dell’animo senza dover preoccuparsi di essere necessariamente nel tempo e nello spazio presente.
Quando Andrea si trova di fronte al franchise Disney–Pixar, è facile che non faccia troppo caso ad una forchetta con un filo di lana come mani e due stecchette da gelato come piedi o ad un cane a molla. Riconosce in quella forma specifica le esperienze, i toni, i significati che mancano o corrispondono alla vita reale. Lo fa adesso, nel 2019, con gli strumenti di comprensione e critica dell’età adulta, lo ha fatto in maniera semplificata ma altrettanto valida quando era bambino. È una bella risposta. Viene da ringraziare intuitivamente chi queste avventure le ha messe per iscritte (lode a Pete Docter ed Andrew Stanton, un po’ meno a John Lasseter), ma l’efficacia e la trasversalità di Toy Story sono il risultato di uno sforzo tecnico-artistico globale in cui le competenze di ognuno sono state fondamentali.
Torniamo però un momento ad Andrea, che non vede l’ora che arrivi il 26 giugno. Se il cerchio sembrava chiuso nel 2010, cosa avranno tirato fuori dal cilindro in Toy Story 4? È arrivato il momento di fare i conti con sé stessi, non in quanto giocattoli (la questione era stata già affrontata con il personaggio di Buzz Lightyear nel primo capitolo), ma come essere dotati di aspirazioni, sogni e destini da compiere. È il momento della maturità, con la leggerezza di sempre, in cui sembra che venga alzata la posta in gioco per lo spettatore. Non si tratta soltanto, però, di chi ha seguito la saga dal 1996, ma anche di chi oggi sta costruendo la propria identità e trova un mondo completamente nuovo, con problemi ed esigenze diverse.
Ci sono tutti i nostri beniamini, ma ci sono anche nuovi arrivati. Da Duke Caboom, l’acrobata su due ruote con la sindrome dell’abbandono (con la voce italiana di Corrado Guzzanti) a Forky, il giocattolo artigianale nevrotico creato da Bonnie con materiali di scarto (un perfetto Luca Laurenti), passando per la metamorfosi survival di Bo Peep (doppiata da Cinzia de Carolis), c’è soltanto da scegliere su quale sia il focus della narrazione. Il piatto è ricco e, a seconda delle papille gustative di ognuno, ci sarà qualche sapore che prevarrà sugli altri. La base, ovviamente, è dettata dall’inconfidibile tappeto musicale di Randy Newman.
Non c’è pericolo per Andrea, quindi. Non rimarrà deluso. Sarà come rivedere dei vecchi amici dopo un sacco di tempo. Qualcuno sarà cambiato, qualcosa cambierà dopo, ma fino a quando resteranno nella sua vita, in qualche modo se la caverà sempre.