The Wonderful Story of Henry Sugar recensione film scritto e diretto da Wes Anderson con Benedict Cumberbatch, Dev Patel, Richard Ayoade e Ben Kinglsey
Presentato Fuori Concorso a Venezia 80, The Wonderful Story of Henry Sugar è un mediometraggio di 37 minuti scritto e diretto da Wes Anderson, che torna a collaborare con Netflix, dando vita al suo personale adattamento dell’omonimo racconto dello scrittore Roald Dahl.
Il ricchissimo e annoiato Henry Sugar (Benedict Cumberbatch), che trascorre le sue giornate tra auto di lusso e gioco, trova per caso un libricino sottile – “di quelli che usano i bambini a scuola” – che riporta il resoconto di un medico indiano (Dev Patel) spettatore di un insolito racconto. Quello della storia di un uomo in grado di vedere il mondo intorno a sé senza l’uso degli occhi (Ben Kingsley). Incuriosito da ciò che sta leggendo, Henry Sugar deciderà di apprendere la tecnica necessaria a padroneggiare l’arte di vedere senza davvero usare la vista. Il suo intento è, infatti, quello di poter imbrogliare i casinò, sfruttando questo talento e diventare ancora più ricco.
Un progetto a lungo coltivato
The Wonderful Story of Henry Sugar è parte di una raccolta di altri sei racconti di Dahl. Il regista corteggiava da un ventennio l’idea di poter adattare una delle sue storie preferite per il grande schermo, tanto che gli eredi della famiglia hanno tenuto da parte i diritti per lui. Anderson ha svelato di essere sempre stato interessato non tanto alla storia in sé, quanto al modo in cui Dahl decide di raccontarla.
Si tratta, infatti, di un racconto a incastro: tre storie una dentro l’altra e un narratore (Ralph Fiennes) a collegarle tutte. La scelta del regista di adattare il testo per un mediometraggio (solo 37 minuti di durata) e di girarlo su una pellicola da 16mm contribuisce a rendere distintiva l’opera. Anderson crea, così, servendosi di un impianto scenografico teatrale, tangibile (“nessun uso della CGI sul mio set”), un piccolo marchingegno da attivare ogni volta che lo si desideri.
Manierismo eccessivo: un racconto esteticamente accattivante, quanto privo di anima
Qual è la differenza tra autorialità e puro manierismo? La risposta è ben rappresentata da The Wonderful Story of Henry Sugar: il mediometraggio è una giostra di suoni, colori, scenografie dipinte nei minimi particolari e un cast di ottimi interpreti, tutti impegnati a reggere le fila non di una storia, ma di tre. Ma è soltanto un divertissement puro e semplice, fine a se stesso, senza un minimo di coinvolgimento.
È puro Wes Anderson, con la sua maniacale costruzione delle scenografie (Adam Stockhausen), ricreate attraverso un gioco di transizioni ed effetti teatrali, con la sua palette di colori pastello, i dialoghi rapidi ed incalzanti dei personaggi, la rottura della quarta parete. C’è tutto Wes Anderson e forse il vero limite del film è proprio questo. Il mediometraggio è un puro esercizio di stile, una ricostruzione di un’opera amatissima dal regista e certamente resa con le migliori intenzioni, con una personale visione, ma che resta lì sullo sfondo, come una graziosa matrioska da osservare. Priva di qualsivoglia anima. Prodotto da Netflix, The Wonderful Story of Henry Sugar arriverà direttamente in piattaforma il 27 settembre.