Giuseppe Tornatore: lezione di noir alla Festa del Cinema di Roma

Abbiamo incontrato Giuseppe Tornatore alla Festa del Cinema di Roma, e assistito alla sua lezione sul cinema noir e alla classifica sui suoi film noir preferiti

Quella che mi accingo a fare ora non è la solita banale, sterile recensione: perché quella a cui ho assistito oggi, nel corso dell’ottava giornata del Festival del Cinema di Roma, non è stata soltanto una conferenza stampa, bensì una vera e propria lezione di cinema; e mi trovo a riordinare gli appunti presi sul blocknotes esattamente come mi capitava di fare all’università prima di sostenere un esame di storia del cinema.

E, in effetti, un grandissimo numero di giovani si affolla di fronte all’ingresso della sala Petrassi in attesa del Maestro: Giuseppe Tornatore; oltre all’Oscar al miglior film straniero e al Golden Globe per il film Nuovo Cinema Paradiso, è stato premiato con quattro David di Donatello come miglior regista italiano: nel 1996 per L’uomo delle stelle; nel 1999 per La leggenda del pianista sull’oceano; nel 2007 per La sconosciuta e nel 2013 per La migliore offerta.

Ed ecco che oggi, al Festival del cinema di Roma, ci regala una “lezione di noir”… poiché il noir è il tema annuale scelto dal Festival. E chi meglio di lui potrebbe parlarne? Tornatore è stato, in effetti, uno dei pochissimi cineasti italiani ad essersi cimentato con questo genere cinematografico, peraltro così difficile da definire. Cosa differenzia, ad esempio, il genere giallo dal genere noir? Tornatore ce lo spiega in due parole: il primo inizia a delitto compiuto, il secondo racconta i fatti – criminosi – nel loro pieno svolgersi.

Ora, per spiegare al vasto pubblico – più o meno colto – di cosa in effetti si tratti quando si parla di film noir, Tornatore sceglie una top eight di film, e analizza in particolare alcune sequenze di vecchie pellicole, per lo più film degli Anni 40, l’età dell’oro del cinema.
L’elenco prescelto annovera: La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder, La donna del ritratto (1944) di Fritz Lang, Lo specchio scuro (1946) di Robert Siodmak, Crime and Punishment – Ho ucciso! (1935) di Josef von Sternberg, Le catene della colpa (1947) di Jacques Tourneur, Detour (1945) di Edgar G. Ulmer, il francese Le Trou – Il buco (1960) di Jacques Becker e Il delitto perfetto (1954) di Alfred Hitchcock.

Si comincia con un vero e proprio cult: La Fiamma del peccato di Billy Wilder, che Tornatore definisce “uno dei noir più belli di tutta la storia del cinema”; per raccontarcelo, il Maestro sceglie due sequenze collegate a due curiosi aneddoti:

a) La macchina che non si accende, ad oggi un vero cliché del genere, tanto che “comunque tutti ci aspettiamo che accada”. Ecco, in questo film è la prima volta in assoluto che la cosa accade, la si potrebbe definire la nascita del cliché. La scena racconta il momento in cui la donna e il suo amante buttano sui binari il cadavere del marito morto, e poi devono andare via dalla scena del delitto… in macchina, per l’appunto.
Billy Wilder girò e rigirò più volte la scena, ma era insoddisfatto: sentiva che qualcosa mancava, ma non riusciva a comprendere appieno cosa fosse. Così interruppe la lavorazione, congedò troupe e cast tecnico e si accinse a tornare a casa a riposare. Ma, sorpresa sorpresa!, la sua macchina non partiva. Fu allora che comprese: ecco qual era l’ingrediente mancante. E fu proprio così che la girò il giorno successivo: “Fu un’intuizione straordinaria che in seguito venne usata migliaia di volte” commenta Tornatore.

b) Il secondo aneddoto riguarda una scena in cui una donna si nasconde dietro una porta per ascoltare una conversazione… solo che la porta si sarebbe dovuta aprire verso l’esterno, mentre nel residence che era il set della scena (come in ogni altro residence al mondo) la suddetta porta si apriva esclusivamente verso l’interno. Dopo averci riflettuto a lungo, la porta fu smontata dai cardini, e la scena girata come da copione: “Il mio deve essere l’unico albergo al mondo dove la porta apre verso l’esterno” disse Wilder.

Le proiezioni proseguono con La donna del ritratto di Fritz Lang, c’è un vero classico del noir: l’ eroe è un esperto di criminologia che si trova egli stesso a commettere un crimine.
Questa pellicola fu molto amata, seppure il finale fosse controverso e, per questo, sia stato criticato e contestato: l’eroe, in preda alla propria coscienza, si suicida sulla poltrona di casa propria; e poi, appena pochi secondi dopo, il cameriere del circolo da lui frequentato lo risveglia dal proprio sogno omicida/suicida, perché nulla è davvero accaduto. Nella medesima inquadratura si passa dunque dal piano onirico a quello realistico, con una “bellissima, straordinaria idea realizzata in modo estremamente semplice (un cambio luce, ndr): aggiungerei che l’uso del bianco e nero l’abbia resa più facile ed efficace; fosse stata a colori avremmo obiettato magari che la poltrona di casa del protagonista fosse identica a quella del circolo dove si risveglia” commenta il Regista, che spiega come i migliori film siano proprio e per molti motivi in bianco e nero.

“Se dovessi scegliere fra il noir di Billy Wilder e il noir di Fritz Lang sarei in crisi” afferma Tornatore: “Wilder sa fare qualsiasi cosa… Lang sa fare il noir”.

Quindi passiamo al film The dark mirror – Lo specchio scuro di Robert Siodmak, ed un altro tema caro e frequente nel genere noir: quello del doppio, che in questo caso ha al centro un delitto e due gemelle identiche.
Per terzo troviamo il poco amato dalla critica Ho ucciso! di Joseph Von Sternberg, adattamento del romanzo di Dostoievskij “Delitto e castigo”, che forse proprio per questo paragone col suo genitore letterario esce poco vittorioso, ma che per Tornatore “ha delle idee di regia formidabili. C’è una tensione, un’ansia che in molti noir non si sente”.

Segue Le catene della colpa di Jacques Tourneur, che per Tornatore è anch’esso “un film che è stato riscoperto prima di essere definito il più grande noir di tutti i tempi (…) Io ho sempre amato molto i dialoghi di questo film” prosegue il Regista “che sono molto letterari, molto secchi, un modo di parlare che mi ricorda certi western che arriveranno soltanto anni dopo: battute ciniche, secche, roba come la frase finale della protagonista: Noi siamo dello stesso stampo, siamo cattivi, per questo andremo d’accordo”.

Al quinto posto si piazza Detour di Edgar G. Ulmer, il primo dei film restaurati appositamente per il Festival del Cinema di Roma, pellicola che la leggenda vuole essere stata realizzata in soli 7 giorni; “In realtà non furono proprio sette… ma qualcuno di più” sorride Tornatore, che prosegue “è un film riscoperto ma in esso c’è qualcosa di molto speciale (…) Si vede che è un film fatto con quello che c’era, ma la storia è forte: anche qui c’è il desiderio di fare i conti con la sfera letteraria. L’incipit è questo: un personaggio in un locale che urla perché il proprietario ha messo un disco che lo disturba; la scena viene resa con un carrello, molto ingenuo e molto teatrale, ed un semplice cambio luce (…) Attraverso un vortice di elementi narrativi, tutti tipici del noir – come la dark lady, la donna maledetta che ti porta alla perdizione – si dipana la vicenda del protagonista.

Per penultimo viene poi analizzato il “noir colto, maniacale” Il buco di Jaques Becker, dove intorno ad un piccolo, semplice, apparentemente trascurabile oggetto (un periscopio fatto a mano dai carcerati, utilizzando uno specchietto montato su uno spazzolino da denti, ndr) in apparenza inutile ruota l’intera narrazione: e sarà proprio esso a svelare il finale.

L’ultima proiezione è anche un voluto omaggio al genio di Alfred Hitchcock ed il suo Delitto Perfetto, film che a Tornatore è caro perché – come rivela al pubblico in sala – vide per la prima volta a 15 anni, quando ancora faceva il proiezionista, e lo visionò “per otto volte di seguito in due giorni”. La trama è semplice, quasi banale: un uomo trova un complice per uccidere la moglie (per una volta una biondina innocente e non la tipica lady noir); un delitto che – parafrasando il protagonista – avrebbe “potuto essere perfetto… su carta”. La sequenza che Tornatore sceglie di mostrarci è quella in cui l’Ispettore, affacciato alla finestra, racconta le azioni del personaggio che guarda, che cosa fa, i suoi pensieri, eccetera.

Tornatore ci guarda e domanda: “Avete capito cosa fa l’Ispettore? Fa il regista” risponde poi alla propria stessa domanda: “ovvero sia non solo racconta delle azioni, ma crea emozioni, ansia, voglia di vedere come va a finire l’azione (…) è il regista che racconta la scena al produttore, e all’attore, e allo sceneggiatore”. Ed anche al pubblico. Perché, in fondo, è questo che un regista dovrebbe fare. È questo che il cinema dovrebbe fare. “Più che un delitto perfetto è una geometria perfetta” sentenzia Tornatore. E formalmente perfetto è stato anche questo incontro.

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