Dunkirk recensione

Recensione del film Dunkirk di Christopher Nolan con Kenneth Branagh, Mark Rylance, Cillian Murphy, Tom Hardy ed Harry Styles.

Dunkirk
Dunkirk di Christopher Nolan.

Are you watching closely?

Questa volta non c’è dubbio: guardando Dunkirk non si può fare altrimenti. Si può essere disorientati, si può essere sulle spine, ma non ci si distrae un attimo, anzi, magari si potesse, ci si sorprende a boccheggiare, pregando per un momento di tregua dalla continua tensione. Se bastano Christopher Nolan e Hans Zimmer a farci sentire così, chissà come dev’essere stato trovarsi davvero su quel molo a Dunkerque, in fila con migliaia di altri soldati inglesi, sperando che una nave amica arrivi a portarci via prima che lo facciano le truppe o le bombe nemiche.

Quando Dunkirk venne annunciato, un film storico sembrava una scelta inusuale per Nolan: noto per le sue narrazioni non lineari, come si sarebbe trovato alle prese con una ‘straight story’?

Considerazione miope, che confonde la forma con la sostanza: è risaputo che le storie preferite da questo regista hanno per protagonista un uomo alle prese con una missione (un’ossessione, direbbe qualcuno), e che cos’è un war movie se non la storia di (parecchi) uomini con una (stessa) missione? Che siano sul suolo francese, in aria o per mare, Kenneth Branagh, Mark Rylance, Cillian Murphy, gli occhi di Tom Hardy, Harry Styles e decine di uomini senza nome hanno tutti lo stesso obiettivo: fare in modo che le truppe britanniche riescano ad attraversare la Manica e tornare a casa, così vicina eppure irraggiungibile.

Un obiettivo non facile da ottenere, ma lineare, chiaro, immediato, e che richiede azione più che riflessione, ed il risultato è una sceneggiatura snella (il film dura meno di due ore), in continuo movimento, viscerale.

Tutto il film è progettato nei minimi dettagli per renderci partecipi, e all’incalzante colonna sonora si aggiungono inquadrature che ci costringono in spazi angusti, fianco a fianco con i soldati, per poi rivelare quanto piccoli siano gli uomini – e i loro fragili mezzi di trasporto – rispetto all’immensità del mare. Immagini che paradossalmente ci stupiscono, con la loro semplicità, molto più degli effetti speciali di Interstellar.

Coinvolgimento dei sensi ed immediatezza, sì, ma Nolan non si smentisce, e trova comunque il modo di farci partecipare alla tessitura della sua trama: se i tre filoni principali d’azione sono etichettati ‘il molo – una settimana’, ‘il mare – un giorno’, ‘l’aria – un’ora’, ci sarà un perché.

I Nolanisti incalliti non mancheranno di riconoscere alcuni segni distintivi, da Murphy e Hardy (e un cameo di Michael Caine, ma solo per i solutori anglofoni più che abili), a una distesa di copricapi.

E più di una volta si troveranno a pensare a una vecchia storia di marinai…

I knew a sailor once, got tangled in the rigging. We pulled him out, but it took him five minutes to cough. He said it was like going home.