Yves Montmayeur e Kim Jin-yeoul intervista ai registi di Citizen Kitano e Kim Jong-boon of Wangshimni [FEFF 24]

L'incontro in occasione della ventiquattresima edizione del Far East Film Festival con Kim Jin-yeoul, regista del documentario Kim Jong-boon of Wangshimni e Yves Montmayeur, regista di Citizen K (Citizen Kitano) è stato moderato da Anderson Le, collaboratore per la sezione Documentari del Festival

Yves Montmayeur e Kim Jin-yeoul: intervista ai registi di Citizen Kitano e Kim Jong-boon of Wangshimni durante il Far East Film Festival 24

Yves Montmayeur: Quale è stata l’ispirazione, che cosa avevi intenzione di comunicare quando hai deciso di dirigere Citizen K? Hai un passato da critico di film e giornalista ma hai realizzato molti documentari sui film asiatici e su registi asiatici, cosa ti fatto pensare che il documentario era la cosa giusta da fare?

Yves Montmayeur: Per quanto riguarda Citizen K, come dici, anni fa ho iniziato la mia carriera in questo mondo come giornalista, realizzando nel corso del tempo interviste, soprattutto con registi asiatici, mi sono reso conto che avrebbe potuto essere interessante realizzare un film documentario e perciò ho deciso di intraprendere questa strada e procedere in questo modo. La prima volta che ho incontrato Takeshi Kitano era il 1998, al Festival di Cannes: si trattava della mia prima intervista tv per una televisione francese. Da quella volta in poi ci siamo incontrati nuovamente numerose volte ai festival cinematografici sia in Asia che in Europa. Ho avuto l’idea di fare un film su di lui, l’ho immaginato a lungo ed alla fine è arrivato il momento ideale intorno al 2010, la mia intenzione era di realizzare un film sull’uomo e sull’artista. Purtroppo, come ben sapete adesso (ride), non è facile avvicinarsi a Kitano, in generale non è semplice avere a che fare con lui ma, in particolare, per qualcosa del calibro di un documentario bisogna tenere a mente molti fattori, anche il tempo che è disposto a dedicarti. Alla fine, ho impiegato dieci anni per realizzare il film.

Yves Montmayeur e Kim Jin-yeoul al Far East Film Festival 24
Yves Montmayeur e Kim Jin-yeoul al Far East Film Festival 24 (Credits: Alice BL Durigatto/FEFF)

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Kim Jin-yeoul: Quale è stata la principale spinta per farti andare avanti nel progetto di Kim Jong-boon of Wangshimni?

Kim Jin-yeoul: Sono passati più di dieci anni da quando ho iniziato a pensare e poi progettare questo documentario. Ritenevo che fosse molto interessante parlare con genitori di quelle persone che si sono dedicate a tempo pieno a cercare di democratizzare il nostro Paese. Sono argomenti inediti che nessuno prima d’ora aveva trattato, in particolare ho deciso di concentrarmi sulla vita delle persone che gravitano intorno a coloro che hanno dato la vita per la libertà del nostro Paese. La mia intenzione era di raccontare la storia di una donna, madre di una ragazza morta nel 1991: i media avevano presentato la ragazza come figlia di un commerciante di una bancarella, facendo passare l’idea che fosse quindi di un rango “inferiore” in qualche modo. Ho voluto creare questo documentario quando ho scoperto che la madre della ragazza ancora abita nello stesso posto, a trent’anni di distanza, la notizia mi colpì molto al tempo.

Kim Jin-yeoul: Yves Montmayeur ha detto che ci sono voluti dieci anni per realizzare il suo lavoro, partendo da un retroterra di giornalismo e critica cinematografica.
Quanto tempo ci è voluto per documentare la vita e le storie di tutte queste persone coinvolte in un movimento così importante per il Paese?

Kim Jin-yeoul: Di solito, facendo un discorso generale, in Corea per portare a termine un documentario servono in media due o tre anni; se invece vengono affrontati temi più impegnativi si arrivano a tempi di produzione che coprono dieci o anche vent’anni. In questo caso, a me sono serviti un anno e sei mesi, non perché l’argomento fosse facile, ma perché il tempo era già stato stabilito, essendoci una scadenza molto importante, il trentesimo anniversario della morte della ragazza. In Corea, i registi di documentari, non svolgono questo lavoro a tempo pieno, per sostentarci di solito facciamo altri lavori di supporto. Stavolta, però, essendoci una scadenza così stringente, non ho potuto fare nessun altro lavoro e mi sono dovuta dedicare unicamente al documentario, per questo motivo sono arrivata a completarlo in poco tempo. Si è trattata di una produzione molto impegnativa perché il momento stabilito, il trentesimo anniversario, era una data cruciale da rispettare.

Citizen K di Yves Montmayeur
Citizen K di Yves Montmayeur (Credits: FEFF)
Kim Jong-boon of Wangshimni di Kim Jin-yeoul
Kim Jong-boon of Wangshimni di Kim Jin-yeoul (Credits: FEFF)
Yves Montmayeur, Kim Jin-yeoul: Quale è stata la routine di tutti i giorni? Come siete riusciti a mettere a loro agio i soggetti dei documentari per parlare di fronte ad una telecamera?

Yves Montmayeur: Per quanto riguarda Kitano, entrare in confidenza è stato un processo lunghissimo. Adesso capisco perché ci sono così pochi documentari su di lui! È stata una sfida perché le brevi interviste ricavate dai festival cinematografici, ad un certo punto, non bastavano più: avevo moltissimo di questo materiale ma da un certo momento in poi è venuto fuori il bisogno di un’intervista lunga, che ho avuto la possibilità di ottenere a Tokyo, cosa che però sarebbe stata impossibile se non avessi iniziato ad avere con Kitano un rapporto privato e non solo professionale. È stato necessario rompere alcune barriere e avvicinare tutte le persone intorno a lui. Non è stato semplice ma dopo tutti questi anni sono riuscito ad andare oltre ed avvicinarmi al regista.

Kim Jin-yeoul: Prima di girare il documentario Kim Jong-boon of Wangshimni frequentavo un gruppo in cui facevano video e montaggi e ho imparato da loro che per fare qualsiasi tipo di lavoro documentario, anche solo un video, bisogna ritrovarsi dentro la quotidianità del soggetto e viverla insieme. Ho preso i loro insegnamenti, anche mentre giravo il documentario, e li ho fatti miei: proprio il fatto di entrare nella vita dei soggetti del film è stato di grande aiuto, ha favorito molto tutti i procedimenti per creare un rapporto di fiducia, rapporto necessario perché in mancanza di questo nessuno si apre di fronte alla telecamera. Sono entrata nella vita della signora e abbiamo fatto molte cose quotidiane insieme. È stato un grande privilegio ascoltare tutta la storia che ha avuto da raccontarmi, da inizio a fine. È progressivamente emerso che alla signora piaceva parlare ed avere rapporti con gli altri, soprattutto in tutti questi anni in cui è rimasta legata alla sua bancarella. Entrarci in contatto non è stato difficile perché avevamo conoscenze in comune; mi sono sempre interessata alle persone e ai movimenti di democratizzazione del paese, perciò, il fatto che conoscessi già l’ambiente ed il contesto si è rivelato molto d’aiuto nel creare e sviluppare un rapporto di fiducia. Sicuramente è difficile aprire il cuore ad una persona che ha una telecamera davanti accesa ma ormai la persona ci aveva fatto abitudine, d’altronde eravamo sempre insieme e, ad un certo punto, è sembrato come se la telecamera non ci fosse neanche. Forse, il segreto prima di accendere la telecamera è passare molto tempo insieme alle persone.

Yves Montmayeur al Far East Film Festival 24
Yves Montmayeur al Far East Film Festival 24 (Credits: Alice BL Durigatto/FEFF)
Yves Montmayeur, Kim Jin-yeoul: I vostri soggetti sono agenti del cambiamento: entrambi i film sono un simbolo di situazioni cruciali per la vita politica e culturale dei Paesi di riferimento. A tal proposito, come si realizza un documentario tenendo di conto della cronologia di eventi socio-politici che si sono susseguiti in un Paese, spiegando quindi, in breve, la storia della Corea e del Giappone?

Yves Montmayeur: Se consideri una personalità del calibro di Kitano, devi tenere a mente che realizzare un film su di lui è come realizzare un film sul Giappone: infatti, ha iniziato ad andare in tv molto presto ed ancora lavora nel settore come tv producer, commentatore e regista. Kitano, con il suo lavoro, riesce a restituire un’immagine del Giappone oggi e, in generale, della società giapponese per un arco di tempo che copre quasi cinquant’anni, fatto di grande interesse. Negli anni Settanta l’economia del Giappone conobbe uno sviluppo senza precedenti, era molto fiorente e il contesto culturale ne ha risentito molto. Andando ad indagare le personalità che costituivano i principali media del Paese, per forza di cose si finisce a parlare anche dei contesti che hanno fatto sì che certi progetti venissero realizzati. Ho provato a concentrarmi non solo sulla persona di Kitano ma anche sul contesto, notando che, effettivamente c’era un ampio margine per portare avanti un discorso più generale sulla società giapponese.

Kim Jin-yeoul: Per quanto riguarda il contesto che fa da sfondo alla storia raccontata nel documentario, si tratta di fatti che si sono verificati nel 1991, precisamente a maggio, quando in realtà i ventenni e trentenni non potevano testimoniare niente di quanto accaduto. Erano troppo giovani e non hanno avuto questa esperienza diretta, non hanno toccato con mano quella parte di storia. Solo i miei coetanei, cinquantenni e persone con qualche anno in più, hanno avuto occasione di sentirlo e sperimentarlo e capire che cosa sia successo veramente. Mi sono trovata davanti molti limiti quando sono arrivata a raccontare questa storia, così ho iniziato a girare il film mettendo al centro la signora Kim Jong-boon, i figli, però, erano in grado di parlarmi della situazione passata ma non avevano esperienza diretta di quanto accaduto, la sorella aveva esperienza diretta e loro mi hanno parlato principalmente di lei. Da qui mi è venuta l’idea di far partecipare gli amici della ragazza che avevano condiviso con lei questo mondo. È stato possibile ricostruire questo quadro storico attraverso le loro testimonianze, credo sia stato molto importante far vedere le sensazioni della madre e degli amici e che cosa stesse capendo della situazione al tempo. Piano piano sono riuscita a risalire all’origine degli avvenimenti, inizialmente non avevo messo sottotitoli o spiegazioni sul fatto storico e sugli antecedenti ma, al momento del montaggio, ho sentito come necessaria una spiegazione della storia, senza metterci troppo di personale o le mie idee ma raccontando solo la storia così com’è avvenuta.

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