Hypnosen recensione film di Ernst De Geer con Herbert Nordrum, Asta August, Andrea Edwards e David Fukamachi Regnfors
Il fastidio che è capace di generare il cinema nordeuropeo ha pochi rivali. Si può paragonare al ronzio notturno delle zanzare intorno alle orecchie, un qualcosa di non lineare ma capace di indurre lentamente all’esplosione. Non necessariamente fragorosa e appariscente, ma anche compita e all’insegna dell’understatement.
Hypnosen si inserisce in questa nicchia immaginando che l’ipnoterapia – alla quale si era rivolta per smettere di fumare – sblocchi l’essenza di una donna davanti agli occhi increduli del suo compagno durante un evento dedicato allo sviluppo di promettenti start-up.
André (Herbert Nordrum) e Vera (Asta August) presentano Epione, una app dedicata alla salute delle donne, ma lo stato d’animo e la “presenza” dei due non potrebbe essere più diversa.
Il regista Ernst De Geer sembra costruire un racconto con il ritmo di un disco sospeso tra la musica dub e il downtempo. C’è una sorta di freno a mano tirato che rende la progressione narrativa disturbata, con situazioni che crescono lentamente per sgonfiarsi sul più bello e tornare indietro.
Start and stop, come nelle auto più recenti, per giocare con la frustrazione delle attese di chi guarda e instillare una comicità caustica ma rarefatta in una storia altrimenti tranquilla. Soltanto così può montare il disagio contemporaneo di chi vuole aderire ad un canone e di chi invece sente la socialità come una pratica imposta e dalle regole troppo stringenti.
In questa morsa si viene stritolati e l’unica via d’uscita è rappresentata dal mantenere viva la capacità di far saltare il banco. L’ipnosi che appare nel titolo può essere un evento scatenante, ma ci vuole l’innesco che dia il via alla scintilla e, secondo Hypnosen, non può essere altro che quello umano.
Nell’epoca della precisione e del design della socialità – la vera grande seduta a cui siamo sottoposti ogni giorno – è forse meglio giocare con un cucciolo immaginario e fare pipì sul tappeto di tua suocera per conservare quella vitalità umana che è necessaria.