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France recensione film di Bruno Dumont con Léa Seydoux [Cannes 74]

France recensione film di Bruno Dumont con Léa Seydoux, Blanche Gardin, Benjamin Biolay, Emanuele Arioli, Juliane Köhler, Gaëtan Amiel e Marc Bettinelli

Un incidente frontale (e fatale)

Anche considerando lo stile mai incline a sottigliezze e moderazione proprio del regista francese Bruno Dumont, France è un film esagerato ed eccessivo, persino per lui. Che intenzioni abbia, cosa voglia dire e come voglia trasmettere tutto questo al suo pubblico non è ben chiaro, così come uno schianto automobilistico frontale è evidente nei suoi risultati (macchine accartocciate, vetri rotti) ma non istantaneamente comprensibile nelle sue dinamiche.

La visione di questo lungometraggio è stata un tale supplizio che non viene nemmeno voglia di mettersi a dissezionarne le parti per trovare cosa gli sia stato fatale, ma la lista dei sospetti è lunga, a cominciare dalla protagonista. La bionda e algida Léa Seydoux (volto di riferimento del cinema francese oggi, con ben quattro film a Cannes 74 in una sola edizione) interpreta France, una sorta di Lilli Gruber d’Oltralpe con un talk politico in prima serata e la fissazione per girare in prima persona reportage da zone di guerra situate in non meglio specificate aree del nord Africa. D’altronde il grado d’approssimazione di questo film è pari solo alla sua superficialità.

Léa Seydoux
Léa Seydoux
France recensione film di Bruno Dumont con Léa Seydoux Cannes 74
France di Bruno Dumont con Léa Seydoux al Festival di Cannes 2021

Il film si apre con lei che, in primissima fila all’Eliseo durante una conferenza stampa dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron, ridacchia a distanza con la sua PR dopo aver posto la domanda d’apertura. Oltre a una vaga nota di malessere che provoca vedere la manipolazione del vero girato del presidente francese utilizzato per una scena così accessoria e fine a se stessa, già in apertura il personaggio di France sembra figlio di una fantasia più che un ritratto realistico di un volto televisivo. Il film forse vuole suggerirci che il giornalismo moderno metta sulla scena cronisti con manie di protagonismo che tagliano la notizia per mettersi al centro della scena, ma lo svolgimento di questo tempo è ben misera cosa rispetto a quanto visto in un (comunque imperfetto) Lo sciacallo – Nightcrawler di Dan Gilroy (2014), sempre a proposito di registi con la mano pesante.

Una lacrima sul viso di Seydoux

Dumont poi sembra cambiare idea ed ecco che France da bella arrivista diventa moglie e madre infelicissima, tormentata da una serie tale di sventure da far scivolare il film nel territorio della soap opera. La povera Seydoux, già incolpevole vittima di un film fallimentare come The Story of My Wife di Ildikó Enyedi, qui diventa parte attiva del problema, costretta a continui primi piani in cui lacrima sconsolata e inconsolabile. Bella e anche discretamente capace, Seydoux non ha la caratura d’attrice necessaria a sopravvivere a un pressing così marcato da parte della cinepresa.

Léa Seydoux
Léa Seydoux
Léa Seydoux
Léa Seydoux

Alla ricerca di cosa poi? Il film si risolve in una serie di blande considerazioni sull’ira passeggera dei social, l’eterna transitorietà della fama e la solita constatazione del fatto che anche i ricchi, belli e famosi piangono, anche se non si sa bene perché siano tanto depressi. Un titolo tanto ambizioso si risolve in un pugno di scene che spesso perforano la barriera dello scult, come quella dell’incidente autostradale. Non pago di ricorrere a un mezzuccio narrativo non proprio delicato per portare avanti la storia, Dumont si accanisce sui personaggi coinvolti con lunghe sequenze al rallentatore in cui il veicolo in cui si trovano, nell’ordine, fora una ruota, si ribalta, viene investito a un camion, esce fuori strada e, ancora, prende fuoco.

La presenza di Dumont in concorso a Cannes somiglia un po’ all’obolo al cinema italiano non proprio di alto livello che Venezia è costretta a pagare ogni anno a Rai Cinema. Il suo film è terribile ma affascinante a modo suo, proprio come un incidente stradale che non puoi smettere di fissare, pur generando raccapriccio. Almeno France toglie d’impiccio Nanni Moretti dall’aver presentato il film meno gradito alla critica.

Sintesi

Esagerato ed eccessivo persino per Bruno Dumont, France è un'opera incerta ed approssimativa, figlia di una fantasia più che un ritratto realistico di un volto televisivo, che si risolve in una serie di blande considerazioni sull'ira passeggera dei social network, l'eterna transitorietà della fama e la solita constatazione che anche i ricchi, belli e famosi piangono, attraverso un pugno di scene che spesso perforano la barriera dello scult.

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