Aquaman e il Regno Perduto recensione film di James Wan con Jason Momoa, Patrick Wilson, Amber Heard, Yahya Abdul-Mateen II e Nicole Kidman [Anteprima]
Ci sono tanti supereroi che hanno invaso la DC Universe. Ognuno di loro con poteri sovrumani: Batman, Superman, Wonder Woman i più sentiti. E chi non ha desiderato almeno una volta di acquistare dei superpoteri per assomigliare al proprio idolo e diventare come lui.
C’è un eroe però che non vuole proprio sentir parlare di poteri miracolosi, costretto a dover combattere per salvare se stesso e governare il Regno di Atlantide.
Tanti anni fa Arthur (Jason Momoa) era un uomo che viveva sulla terra, figlio illegittimo della regina Atlanna (Nicole Kidman) e dell’umano Thomas Curry (Temuera Morrison), destinato suo malgrado a diventare il futuro re di Atlantide. Ora Aquaman è un uomo che vive a metà tra terra e mare, con una famiglia a carico e il suo “lavoro” da re del regno sottomarino che non gli piace abbastanza.
Ci pensa James Wan nel secondo e ultimo capitolo della dilogia a risvegliare Aquaman dalla sua routine quotidiana e a imbracciare il Tridente D’oro per proteggere la famiglia e il mondo intero dall’inevitabile distruzione.
C’è il supereroe, bello e possente. C’è l’eroina, rossa con occhi azzurri. C’è la famiglia: madre, padre e il fratellastro ex re di Atlantide. C’è il Tridente Nero che scatena una forza oscura e malvagia. C’è il nemico da sconfiggere.
Sulla stessa lunghezza d’onda del primo Aquaman (2019), il secondo capitolo riprende da dove la storia si era conclusa, ripartendo con le stesse caratteristiche del genere. Il regista – famoso per i suoi film horror (le saghe di Saw, Insidious e The Conjuring) – lascia tutto al suo posto: le battute comiche del protagonista, la principessa Mera (Amber Heard) che interviene sempre al momento giusto, cavallucci marini che si trasformano in bestie da combattimento, il re di Atlantide acrobata con il suo Tridente sul campo di battaglia.
Tuttavia, Wan aggiunge un qualcosa in più ‒ seppur minimo ‒ rispetto al primo Aquaman. Orm (Patrick Wilson), non più Ocean Master, si arrende, stringe la mano al fratello in nome di un bene comune. Capisce, scopre, getta le armi per la famiglia e prova finalmente un sentimento puro, di rispetto, di fratellanza sentita e venerata.
In mezzo alla sontuosa costruzione scenografica di effetti speciali che dividono la superficie terrestre da quella marina, il regista ci porta in un’altra dimensione per leggere tra le righe. Aquaman e il Regno Perduto è solo un enfatico sequel del primo capitolo? Che cosa ha voluto dirci James Wan con la sua conclusione?
Certo, il secondo capitolo ha qualche snodo narrativo fin troppo inspiegabile, risolto troppo alla leggera. Eppure si rivolge a noi spettatori. Noi umani che stiamo danneggiando il nostro pianeta con il cambiamento climatico e il surriscaldamento globale.
Serve un supereroe che vive in terra e in mare a darci una regolata per salvaguardare il posto in cui viviamo?
In un mondo fantastico terra e mare convivono in maniera pacifica, con al centro la famiglia motore della vita (Avatar docet). È nel mondo reale che i due elementi non coesistono. Magari il cinema d’intrattenimento può fare la differenza.